La Politica Agricola Comune: opportunità europea o trappola per l’agricoltura italiana?

di Alice Salvatore

La Politica Agricola Comune (PAC) è nata per garantire cibo e sostenere gli agricoltori ed è da decenni il pilastro dell’agricoltura europea. Oggi, a più di 60 anni dalla sua creazione, bisogna però chiedersi: è ancora un’opportunità per l’agricoltura italiana o si sta trasformando in un freno?

In un’Europa dove la parola d’ordine è “sostenibilità” è una domanda più che urgente: il rischio concreto di lasciare ai margini una parte importante del nostro settore agricolo.

I numeri parlano chiaro. Nel 2021, l’Italia ha ricevuto circa 6 miliardi di euro dai fondi PAC, appena il 10,5% del totale. La Francia 9,8 miliardi (17,1%), la Spagna 7,2 miliardi (12,5%) e anche la Germania ci supera con 6,4 miliardi (11,2%).

Perché questa disparità? I criteri di assegnazione premiano le grandi coltivazioni continentali rispetto alle eccellenze mediterranee italiane – olio d’oliva, vino, ortofrutta – e ignorano il loro valore economico e culturale. Così Francia e Germania galoppano, mentre l’Italia fatica a tenere il passo.

Ma non è solo una questione di numeri. Il vero problema è l’impatto di questa distribuzione iniqua. Le piccole e medie imprese agricole italiane, vero cuore pulsante del nostro settore, sono soffocate dalla burocrazia e dalle regole pensate per i giganti del Nord Europa. Mentre Francia e Germania sfruttano la PAC per finanziare innovazione e grandi imprese, l’Italia è frenata da vincoli che bloccano chi vuole innovare e competere. Così, quella che dovrebbe essere una leva di crescita si sta trasformando in un boomerang.

Le riforme della PAC del 2023-2027, promettono sostenibilità e riduzione delle disuguaglianze regionali, ma rischiano di essere solo slogan, senza una vera politica inclusiva di aziende medio-piccole.

Serve analizzare i dati, comprendere le esigenze di chi lavora sul campo e costruire una visione per il futuro. Solo così potremo capire se la PAC sarà finalmente il motore di sviluppo che l’Italia merita o se rimarrà in una grande occasione sprecata.

Le radici di una disparità

 

Olio d’oliva, vino, ortofrutta, legumi: le coltivazioni mediterranee sono la spina dorsale di una cultura millenaria e il simbolo del Made in Italy in tutto il mondo. Eppure, nella normativa della Politica Agricola Comune, queste eccellenze del Nostro Paese e più in generale del Mediterraneo sono state trattate come un dettaglio marginale.

Le origini di questa disparità si annidano nei criteri storici, strutturali e politici che hanno modellato la PAC fin dagli anni ’60. All’epoca, l’Europa usciva dalla Seconda Guerra Mondiale con un’ossessione: garantire cibo a sufficienza per tutti. Da qui, un sistema pensato su misura per le grandi monocolture continentali – grano, carne, latticini – e tarato su vaste distese di terra coltivata intensivamente.

Nessuno, allora, si preoccupava troppo degli oliveti e dei vigneti, ricchi di storia e di potenziale economico, ma considerati irrilevanti per l’autosufficienza alimentare.

Questo modello ha prodotto un sistema di finanziamenti che ancora oggi relega le produzioni mediterranee ai margini, ignorandone il valore economico, culturale e ambientale. È una zavorra che il sistema agricolo italiano si porta dietro da decenni, e la PAC, invece di alleggerirla, sembra averla resa più pesante. Non parliamo soltanto di soldi, ma di una visione marginale. L’agricoltura italiana, con la sua storia, merita rispetto, e, finora, l’Italia non ha saputo combattere con abbastanza forza per questo.

Superficie agricola utilizzata (SAU): un modello che penalizza l’eccellenza

 

La PAC assegna i fondi con un criterio tanto semplice quanto crudele: la superficie agricola utilizzata.

La logica è semplice: più terra hai, più soldi prendi. Un sistema perfetto per i giganti dell’Europa continentale, con i loro campi sterminati di grano e mais, ma che penalizza senza pietà le produzioni mediterranee.

La realtà italiana è fatta di piccoli appezzamenti di terreno frammentati, coltivati con dedizione e cura secondo una tradizione tramandata da generazioni: oliveti e vigneti vanno misurati non solo in ettari ma soprattutto in qualità. Eppure, la norma europea non vede nulla di tutto questo. Ignora il valore unico di queste coltivazioni – la loro sostenibilità, la loro storia, la loro eccellenza – e premia unicamente chi punta sulla quantità.

Produzioni mediterranee dimenticate: decenni ai margini della PAC

 

Le produzioni mediterranee sono dunque state a lungo le grandi escluse della PAC. Prendiamo l’olio d’oliva, simbolo del Mediterraneo: è entrato nei meccanismi di sostegno diretto solo negli anni ’90. Anche il vino, nonostante il suo peso economico e culturale, ha ricevuto pochi fondi rispetto a prodotti come cereali e latte.

Questa ingiustizia è un divario che pesa ancora oggi. Senza investimenti e innovazione l’agricoltura mediterranea è rimasta indietro, costretta a rincorrere i colossi del Nord Europa, a cui le norme hanno dato un bell’aiuto. Così le eccellenze mediterranee faticano a competere nei mercati globali, mentre il loro potenziale resta, per molti versi, inespresso.

Burocrazia e frammentazione: il freno all’agricoltura italiana

 

L’agricoltura italiana, fatta di piccole e medie imprese a conduzione familiare, è un mosaico di qualità e biodiversità. Ma è proprio questa frammentazione – che dovrebbe essere una forza – che si scontra con i criteri della PAC.

Burocrazia asfissiante, moduli infiniti, competenze tecniche complesse: per le nostre piccole aziende agricole accedere ai fondi PAC è un’impresa titanica.

La gestione dei fondi in Italia è affidata in parte alle Regioni, che hanno una notevole autonomia nella loro applicazione, soprattutto per quanto riguarda i Programmi di Sviluppo Rurale (PSR), che rappresentano circa il 30% delle risorse totali della PAC.

Questa autonomia, però, porta a risultati disomogenei: le Regioni del Nord riescono spesso a massimizzare l’uso dei fondi per innovazione e sviluppo, per contro al Sud restano indietro, penalizzate da infrastrutture carenti, inefficienze amministrative e difficoltà nell’accesso ai fondi pubblici.

 

A peggiorare la situazione è la diffidenza degli istituti di credito, che percepiscono le aziende agricole del Sud come ad alto rischio di insolvibilità. Questa sfiducia deriva da problemi strutturali come la frammentazione aziendale, la scarsa innovazione tecnologica e l’incapacità di garantire una redditività stabile. Così si aumenta il divario fra Nord Italia e Sud.

Più di un esperto del settore ha dichiarato che è necessario un cambio radicale: una piattaforma digitale unica, connessa ai Centri di Assistenza Agricola. Solo così si potrebbe abbattere la burocrazia e semplificare molte delle attività delle nostre aziende, compreso l’accesso ai fondi PAC.

Bisogna investire, inoltre, nella formazione e nel supporto tecnico, per dare anche alle piccole aziende gli strumenti necessari per competere.

Riconoscimento tardivo del valore ambientale e culturale

 

Le coltivazioni mediterranee sono un modello vincente, un mix perfetto di valore economico, cultura e rispetto per l’ambiente. La loro struttura frammentata e la naturale diversità sono la chiave per un’agricoltura più sostenibile. Secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), queste aziende agricole emettono meno CO₂ e sfruttano le risorse naturali in modo molto più efficiente rispetto alle grandi monocolture del Nord Europa.

Coltivare olivi, viti e ortaggi in Italia significa tagliare le emissioni di CO₂ del 30% per ettaro rispetto a colture intensive come grano e mais. Questo grazie a un uso ridotto di fertilizzanti chimici, alle pratiche tradizionali e alla biodiversità del suolo, che è un vero tesoro: gli uliveti, ad esempio, non sono solo belli da vedere, ma assorbono fino a 10 tonnellate di CO₂ per ettaro ogni anno (dati FAO, 2022).

La rotazione delle colture e la lotta ai parassiti praticata in modo naturale e tradizionale, comporta l’immissione di meno pesticidi. Di conseguenza, meno inquinamento delle acque, meno degrado del suolo. Al contrario, le monocolture intensive del Nord Europa, con l’uso massiccio di sostanze chimiche, impoveriscono i terreni e aggravano i problemi ambientali.

In più, queste coltivazioni sono l’anima del Made in Italy. Le certificazioni DOP e IGP sono il biglietto da visita del nostro agroalimentare nel mondo, con 316 prodotti certificati nel settore alimentare e 526 nel settore vitivinicolo (dati Ismea-Qualivita, 2023). Parliamo di un valore annuo di 19 miliardi di euro che porta l’Italia al vertice in Europa e alza il prestigio del nostro Paese nei mercati globali.

Ma per far sì che queste eccellenze continuino a brillare, servono azioni concrete: la Politica Agricola Europea deve sostenere chi investe nella qualità e nell’eccellenza dei prodotti.

Influenza politica limitata

Il peso politico dei Paesi mediterranei è sempre stato il grande assente al tavolo delle negoziazioni europee. Francia e Germania, veri colossi della politica agricola, hanno saputo modellare la PAC a loro immagine e somiglianza, garantendo sostegno alle loro economie agricole. L’Italia, nonostante il ruolo di spicco nella produzione agroalimentare europea, ha spesso giocato in difesa, incapace di imporre la sua visione per proteggere le peculiarità delle coltivazioni mediterranee.

I paesi mediterranei hanno spesso faticato a trovare una posizione unitaria, contro il fronte compatto dei paesi Nord Europei

Una questione di equità e visione

 

Per troppo tempo, il modello agricolo europeo hanno penalizzato l’agricoltura Mediterranea.

È ora di cambiare rotta. La PAC deve essere trasformata in uno strumento che premi il merito e la qualità, non solo per la sicurezza alimentare, ma per la biodiversità e l’identità culturale europea. Questo cambio di passo non rafforzerebbe solo l’agricoltura italiana, ma darebbe all’Europa un modello agricolo innovativo, capace di affrontare le sfide globali del cambiamento climatico, della coesione sociale, della sostenibilità.

Un’agricoltura che non si accontenta di sopravvivere, ma che punta a eccellere, unendo tradizione e futuro.

La riforma 2023-2027, sembra andare nella direzione sperata: punta su sostenibilità, innovazione e maggiore autonomia degli Stati membri. Questa nuova fase mira a rispondere alle sfide ambientali e sociali dell’agricoltura europea e introduce più flessibilità.

Tra i principali cambiamenti, spicca l’introduzione dei Piani Strategici Nazionali. Ogni Stato può ora decidere come utilizzare i fondi PAC, seguendo obiettivi comuni europei ma adattandoli alle proprie esigenze agricole e territoriali. Questo approccio decentralizzato favorisce soluzioni mirate e un’ottimizzazione delle risorse.

La sostenibilità è fondamentale: almeno il 25% dei pagamenti diretti è destinato agli eco-schemi, programmi che premiano gli agricoltori per la riduzione i pesticidi, la rotazione delle colture e la tutela della biodiversità.

Sul fronte sociale, è stata introdotta una condizionalità per garantire che i finanziamenti rispettino i diritti dei lavoratori agricoli. Inoltre, viene incentivata la partecipazione dei giovani agricoltori con strumenti specifici per il ricambio generazionale.

L’obiettivo dichiarato è garantire cibo di qualità per i cittadini europei, sostenendo al contempo gli agricoltori e l’ecosistema, per mettere al sicuro le aziende di fronte a eventi imprevedibili.

La riforma introduce due concetti fondamentali: i pagamenti diretti e lo sviluppo rurale.


I pagamenti diretti: un aiuto concreto per chi coltiva

 

I pagamenti diretti della PAC sono un aiuto concreto che arriva direttamente sul conto degli agricoltori. In tal modo si sostiene il reddito degli agricoltori, permettendo loro di continuare a lavorare la terra anche quando i prezzi di mercato sono bassi o un evento avverso compromette il raccolto.

Ma non è un assegno regalato senza regole. Ogni anno, gli agricoltori interessati devono presentare una domanda per accedere ai pagamenti diretti. Questo passaggio è essenziale: serve a dichiarare la superficie agricola che coltivano (la SAU) e a dimostrare che rispettano tutte le condizioni richieste.

 

Ma, contrariamente al passato, non basta avere terra, bisogna anche soddisfare dei requisiti: il rispetto di normative ambientali, il benessere degli animali e la sicurezza sul lavoro. Senza questa attestazione non si può accedere ai fondi.

Con la nuova PAC, poi, almeno il 25% dei pagamenti è legato agli eco-schemi, programmi che premiano chi sceglie di fare di più per l’ambiente e per migliorare la qualità del terreno, come la riduzione dei pesticidi, il sostegno alla biodiversità, o la rotazione delle colture. Ad ogni pratica sostenibile corrisponde un beneficio aggiuntivo. Nelle intenzioni del legislatore, questo è un meccanismo pensato per spingere gli agricoltori verso un’agricoltura più verde, ma lasciando loro la libertà di scegliere in base alle proprie capacità e necessità.

Una rateazione dei pagamenti durante tutto l’anno consente poi di avere un reddito costante durante l’anno, una sicurezza in più per affrontare le spese quotidiane.

Lo sviluppo rurale: dare vita alle campagne

 

Oltre ai pagamenti diretti, c’è un secondo pilastro fondamentale nella PAC: lo sviluppo rurale. Se i pagamenti diretti sono il motore che tiene in piedi gli agricoltori giorno per giorno, lo sviluppo rurale è il piano a lungo termine per rendere le campagne un luogo migliore dove vivere e lavorare.

L’obiettivo è rendere appetibile la campagna, per esempio attraverso il miglioramento delle strade e della connessione internet e la costruzione di infrastrutture che rendano attrattivo il vivere in campagna. Inoltre il finanziamento dell’acquisto di macchinari rende più semplice il lavoro.

Un aspetto cruciale dello sviluppo rurale è il sostegno ai giovani agricoltori, dato che meno del 10% degli agricoltori europei ha meno di 40 anni. Senza nuove generazioni, il settore agricolo rischia di scomparire. Per questo, la PAC offre contributi economici, agevolazioni per accedere al credito e corsi di formazione per chi vuole iniziare. In Italia, dove lo spopolamento delle campagne è un problema enorme, queste misure potrebbero invertire la tendenza.

Ma non è tutto: lo sviluppo rurale ha anche un altro obiettivo, quello di affrontare le disuguaglianze regionali. In Italia, ad esempio, il Nord ha infrastrutture moderne e aziende agricole più efficienti, mentre il Sud soffre di problemi strutturali che rendono tutto più difficile. I fondi per lo sviluppo rurale cercano di colmare questo divario, attraverso il finanziamento di progetti per migliorare strade, porti e mercati nelle regioni svantaggiate.

Sostenibilità al centro: il Green Deal entra nei campi

 

La riforma 2023-2027 ha un punto fermo: la sostenibilità. Il clima sta cambiando, e l’agricoltura è sia una vittima che una causa di questo cambiamento. Le emissioni di gas serra, l’uso di fertilizzanti chimici e il consumo di acqua sono problemi enormi.

Con lo sviluppo rurale, gli agricoltori possono ottenere fondi per progetti ecologici: rotazione delle colture, gestione integrata dei parassiti, riduzione degli sprechi. In Italia, queste pratiche non solo aiutano l’ambiente, ma migliorano anche la qualità dei prodotti, rendendoli più competitivi sui mercati internazionali.

Condizionalità sociale: giustizia nei campi

Un’altra delle grandi novità della PAC è la condizionalità sociale. Uno dei requisiti per ottenere i fondi è il rispetto i diritti dei lavoratori. È una rivoluzione. In alcune regioni italiane, purtroppo, ci sono fenomeni come il caporalato o il lavoro nero che sfruttano chi lavora nei campi. Ora, con la condizionalità sociale, chi non rispetta la dignità e la sicurezza dei lavoratori rischia di perdere i fondi.

È un potente messaggio politico: l’agricoltura deve essere non solo sostenibile per l’ambiente, ma anche giusta per le persone. In Italia, applicare bene questa regola potrebbe fare una grande differenza, migliorando la competitività del settore e mostrando che un’agricoltura etica è possibile.

Semplificare per crescere: trasformare la burocrazia agricola in un’opportunità

 

La burocrazia è un problema che ogni agricoltore italiano conosce fin troppo bene. Rallenta il sistema e, a volte, blocca chi vorrebbe accedere ai fondi europei della PAC. Per le piccole e medie imprese agricole – il cuore pulsante dell’agricoltura italiana – queste complicazioni diventano spesso un muro invalicabile.

Ciò è dovuto a una combinazione di frammentazione amministrativa, regole complesse, digitalizzazione lenta e una gestione dei fondi che a volte sembra tutto fuorché coordinata.

La situazione è particolarmente pesante al Sud, dove infrastrutture carenti e difficoltà di accesso al credito rendono ancora più arduo sfruttare le opportunità offerte dalla PAC. Insomma, mentre gli agricoltori combattono contro il clima e i mercati, si trovano a dover affrontare anche un sistema amministrativo che somiglia a un labirinto.

Ma se i problemi sono evidenti, lo sono anche le soluzioni. È ora di cambiare passo.

Una piattaforma digitale: mettere ordine nel caos

La prima azione concreta da fare è creare una piattaforma digitale unica, un sistema semplice, accessibile, che colleghi il Ministero dell’Agricoltura, le Regioni e i database europei. Invece di dover inseguire mille moduli e passare da un ufficio all’altro, gli agricoltori potrebbero avere tutte le informazioni, le richieste e i documenti a portata di clic. Questo non solo snellirebbe le procedure, ma renderebbe tutto più trasparente, eliminando discrepanze e ritardi.

Un sistema del genere non è fantascienza. Molti settori hanno già fatto il salto verso la digitalizzazione, e non c’è motivo per cui l’agricoltura debba rimanere indietro. Con una piattaforma ben progettata, anche le piccole imprese agricole avrebbero le stesse opportunità dei grandi produttori di accedere ai fondi e gestire le richieste in modo rapido e sicuro.

Centri di Assistenza Agricola: un ponte tra agricoltori e fondi

 

Ma la tecnologia, da sola, non basta. Anche il miglior sistema digitale non serve a nulla se non ci sono persone pronte ad aiutarti a usarlo. E qui entrano in gioco i Centri di Assistenza Agricola (CAA). Questi centri, già esistenti, devono diventare punti di riferimento capillari per gli agricoltori, specie quelli che si sentono persi tra normative e scartoffie.

L’obiettivo è ampliare le competenze dei Centri di Assistenza, cosicché possano fornire supporto pratico per le richieste di finanziamento, aiutare gli agricoltori a capire come rispettare le nuove regole e offrire consulenze personalizzate.

Con una rete di assistenza ben organizzata, si facilita il compito a chi non ha familiarità con le procedure digitali o le normative europee, mentre prima era abbandonato a se stesso.

Formazione: dare agli agricoltori gli strumenti per vincere

 

Anche la formazione diventa importante. Non si può pretendere che gli agricoltori, già alle prese con un lavoro impegnativo, diventino esperti di bandi e burocrazia dall’oggi al domani. Servono programmi di formazione mirati per insegnare loro come sfruttare al massimo le opportunità offerte dalla PAC.

 

Questi corsi dovrebbero essere pratici e accessibili, con esempi concreti e supporto continuo. Non stiamo parlando di trasformare gli agricoltori in burocrati, ma di dare loro gli strumenti per navigare il sistema con sicurezza. La formazione non è un costo: è un investimento per rendere il settore agricolo più forte e indipendente.

Burocrazia semplice, agricoltura competitiva

 

Rendere più snella e accessibile la burocrazia non è solo un vantaggio per gli agricoltori: è una strategia per rilanciare l’intero settore agricolo. Con procedure più semplici e un sistema più coordinato, potremmo finalmente ridurre le disparità territoriali e permettere all’Italia di competere ad armi pari con i giganti europei.

Aziende più produttive, giovani che tornano nelle campagne, regioni svantaggiate che finalmente decollano, la burocrazia semplificata che diventa un’opportunità anziché un ostacolo.

Una visione chiara per il futuro

 

Con la PAC 2023-2027, l’Europa ha tracciato un percorso ambizioso: un’agricoltura sostenibile, giusta e competitiva. Ma il vero successo dipenderà dalla capacità di affrontare una delle criticità più grandi, la gestione della burocrazia. Servono coordinamento tra i livelli amministrativi, infrastrutture digitali moderne e un forte sostegno agli agricoltori sul campo.

Solo così sarà possibile integrare le priorità europee con le peculiarità dei territori locali, creando un sistema agricolo più inclusivo ed efficiente. E alla fine, questa non è solo una sfida amministrativa: è una questione di futuro. Un futuro in cui l’agricoltura italiana non sarà più schiacciata dalla carta bollata, ma libera di crescere, innovare e prosperare.

Ricadute economiche della PAC: un’analisi quantitativa

 

Le riforme introdotte con la PAC 2023-2027, tra cui gli eco-schemi e il sostegno allo sviluppo rurale, offrono un’opportunità cruciale per il rilancio del settore. Tuttavia, il loro successo dipenderà dalla capacità di rendere l’accesso ai fondi più semplice, trasparente e inclusivo, promuovendo al contempo una gestione strategica orientata alle specificità territoriali dell’agricoltura italiana.

Con circa 6 miliardi di euro erogati annualmente, i fondi PAC rappresentano il 30% del reddito medio degli agricoltori italiani, con punte che raggiungono il 50% nelle regioni meridionali. Nonostante ciò, il valore aggiunto per ettaro dell’agricoltura italiana si attesta su una media di 3.000 euro, significativamente inferiore rispetto ai 4.500 euro della Francia o ai 3.800 euro della Germania. Questo divario riflette le difficoltà delle piccole e medie imprese (PMI) – che costituiscono il 98% del settore agricolo nazionale – nell’ottenere e valorizzare i finanziamenti disponibili.

Le differenze regionali amplificano ulteriormente queste criticità. Le regioni settentrionali, avvantaggiate da infrastrutture moderne e una gestione più efficiente dei fondi, riescono a crescere meglio di quelle del sud. Tali disparità evidenziano l’urgenza di interventi mirati per colmare il divario, puntando su formazione, innovazione e miglioramento delle infrastrutture nelle aree più svantaggiate.

Le coltivazioni mediterranee – olio d’oliva, vino e ortofrutta – pur rappresentando il 70% delle esportazioni agroalimentari italiane (per un valore di 52 miliardi di euro nel 2022), ricevono una quota ridotta dei fondi PAC, nonostante la loro rilevanza strategica. Un uso più mirato delle risorse potrebbe aumentare il valore aggiunto agricolo del 10% entro il 2030, rafforzando il ruolo del settore nelle esportazioni e incrementando il contributo al PIL agricolo nazionale.

Perché Francia, Germania e Spagna riescono a far valere le proprie esigenze nella PAC?

 

La Politica Agricola Comune (PAC) non è solo un sistema di finanziamenti: è un campo di battaglia politico dove ogni Stato membro lotta per portare a casa il massimo. In questo gioco, Francia, Germania e Spagna si sono imposte come protagoniste, modellando la PAC in base alle loro priorità. Il loro successo non è frutto del caso, ma il risultato di una strategia ben orchestrata, capace di coniugare visione, organizzazione e un’alta capacità di negoziazione.

Francia: pianificazione e coesione nazionale

La Francia non si limita a partecipare alla PAC, ma la dirige. Fin dalla nascita della politica agricola europea, Parigi ha giocato un ruolo decisivo nel definire regole e criteri, consolidando un sistema che risponde alle esigenze del suo settore agricolo. Il segreto del successo francese è l’approccio strategico e coordinato: il governo agisce come regista di un sistema in cui tutte le parti – dagli agricoltori ai rappresentanti politici – lavorano con un obiettivo comune.

Il Piano Strategico Nazionale francese è un esempio di efficienza. Ogni misura è calibrata sulle specificità locali, garantendo che i fondi europei siano utilizzati al meglio. Dall’Alvernia alla Bretagna, la parola d’ordine è “fare sistema”: una visione unitaria che consente alla Francia di difendere con forza i propri interessi a Bruxelles. Per Parigi, la PAC non è solo un’opportunità finanziaria, ma uno strumento politico per sostenere i grandi colossi agricoli e promuovere una pianificazione a lungo termine.

Germania: innovazione come strategia

 

Se la Francia domina con la pianificazione, la Germania punta tutto sull’innovazione. Berlino ha saputo integrare le priorità della PAC con gli obiettivi del Green Deal europeo, attraverso la trasformazione del settore agricolo in un laboratorio di sostenibilità e tecnologia. I tedeschi hanno fatto della digitalizzazione e dell’agricoltura di precisione i pilastri della loro strategia: droni, intelligenza artificiale e strumenti avanzati sono utilizzati per ottimizzare i raccolti e ridurre l’impatto ambientale.

Ma non si tratta solo di tecnologia. La Germania è stata tra le prime a implementare gli eco-schemi, meccanismi che premiano gli agricoltori per pratiche ecologiche come la tutela della biodiversità e la gestione sostenibile delle risorse. Questo approccio, che coniuga produttività e sostenibilità, ha permesso alla Germania di posizionarsi come leader europeo nella transizione ecologica, rafforzando il suo peso politico all’interno della PAC.

La Baviera e l’agricoltura biologica: un esempio di sostenibilità

 

La Germania è un leader europeo nell’implementazione di pratiche agricole sostenibili, come dimostra il caso dell’agricoltura biologica in Baviera. Grazie ai fondi PAC, questo importante Land tedesco ha potenziato l’uso di pratiche biologiche che rispettano la biodiversità, riducono l’uso di sostanze chimiche e incrementano il valore aggiunto delle produzioni.

Il sostegno finanziario è stato utilizzato per promuovere la conversione al biologico, accompagnato da campagne di sensibilizzazione per consumatori e produttori. Questo modello evidenzia come un uso strategico dei fondi possa conciliare produttività e sostenibilità. La politica italiana dovrebbe prendere a modello questo sistema.

Spagna: equilibrio fra tradizione e innovazione

La Spagna rappresenta un esempio di equilibrio. Madrid ha saputo valorizzare le sue produzioni tradizionali, come olio d’oliva e vino, integrandole con politiche innovative orientate alla modernizzazione e alla sostenibilità. Il governo spagnolo ha investito nella coesione territoriale, riuscendo così a connettere le diverse regioni in una strutturaagricola nazionale unitaria.

La Spagna, inoltre, si distingue per la sua capacità di negoziazione. Sempre in stretta collaborazione con altri Paesi mediterranei, Madrid ha costruito un fronte comune che ha permesso di difendere le peculiarità delle coltivazioni del Sud Europa. Grazie a questo approccio, la Spagna è riuscita a ottenere una posizione di rilievo nel sistema della PAC, beneficiando di fondi consistenti che sostengono le sue priorità agricole.

L’Andalusia e il programma per l’olio d’oliva

 

In Spagna, l’Andalusia ha dimostrato come valorizzare le produzioni tradizionali, come l’olio d’oliva, attraverso strategie di promozione internazionale e innovazione. Utilizzando i fondi PAC, la regione ha migliorato l’efficienza produttiva e rafforzato la presenza dell’olio d’oliva andaluso sui mercati globali.

Il progetto ha incluso attività di ricerca per ottimizzare le tecniche di estrazione e campagne di marketing mirate, incrementando il valore percepito del prodotto. Questo approccio rappresenta un modello per l’Italia, che con il giusto coordinamento potrebbe replicare successi simili per le proprie filiere mediterranee.

Cosa insegna il successo degli altri?

La situazione di Francia, Germania e Spagna dimostra che il successo nella PAC non dipende solo dai fondi disponibili, ma dalla capacità di costruire una strategia. L’Italia ha tutte le carte in regola per eccellere: un’agricoltura diversificata, prodotti d’eccellenza e un patrimonio ambientale unico. Ma senza una visione unitaria e un approccio più incisivo, rischiamo di rimanere ai margini. Per competere con i giganti europei, dobbiamo imparare a fare sistema, superando divisioni interne e investendo in innovazione, pianificazione e negoziazione strategica.

La Politica Agricola Comune è un’opportunità unica per l’Italia per trasformare le sue debolezze in punti di forza e diventare un modello di eccellenza agricola in Europa.

Gli aspetti su cui puntare sono tre: sostenibilità, innovazione e inclusività. Solo così possiamo rendere il settore più competitivo e rispondere alle grandi sfide globali come il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e lo sviluppo dei territori.

Le coltivazioni tradizionali mediterranee sono il nostro asso nella manica: basso impatto ambientale, alta qualità e perfetta sintonia con gli obiettivi del Green Deal europeo.

Occorre investire in pratiche sostenibili come l’agricoltura conservativa e la rotazione delle colture, ma anche adottare tecnologie avanzate. Sensori, droni e software di gestione digitale possono fare la differenza, migliorando la produttività e riducendo l’impatto sull’ambiente. Il futuro dell’agricoltura non è solo nei campi, ma anche nei laboratori e nei centri di innovazione.

Non dobbiamo dimenticarci del nostro fiore all’occhiello: i prodotti DOP e IGP, che costituiscono il biglietto da visita del Made in Italy nel mondo. Il settore è però vulnerabile, essendo messo in pericolo dalle imitazioni, ed occorre pertanto una promozione più incisiva nei mercati emergenti. Se sapremo sfruttare al meglio queste eccellenze, assieme al turismo enogastronomico, migliorando al tempo stesso le infrastrutture rurali, possiamo trasformare le campagne italiane in motori di sviluppo economico e culturale.

 

Certo dobbiamo anche creare attrattive per i giovani con incentivi concreti: credito agevolato, formazione avanzata e supporto tecnologico. Solo così possiamo fermare lo spopolamento delle aree rurali e ridare vita a territori che sono la spina dorsale del nostro Paese.

E infine, il grande nodo del divario Nord-Sud. Il Ministero dell’Agricoltura deve guidare il cambiamento con investimenti mirati in infrastrutture, formazione e sostegno tecnico per le regioni più svantaggiate. Ma è altrettanto importante ascoltare le esigenze specifiche dei territori e lasciare spazio ad azioni locali mirate.

L’opportunità è enorme, ma il tempo stringe. Con un piano chiaro e coraggioso, l’Italia può rilanciare la sua agricoltura, trasformandola in un esempio europeo di innovazione e sostenibilità.

Il nostro Paese ha tutte le carte in regola per diventare leader europeo in un’agricoltura sostenibile e innovativa. Un impegno concreto verso la sostenibilità ambientale, il ricambio generazionale, la valorizzazione del patrimonio agroalimentare e la coesione territoriale permetteranno al settore agricolo italiano di superare le sue debolezze storiche e di cogliere appieno le opportunità offerte dalla PAC.

Il primo passo è superare la frammentazione cronica che caratterizza la gestione dell’agricoltura in Italia. Il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste potrebbe guidare questo processo, elaborando un Piano Strategico Nazionale, che rifletta le priorità italiane e sia in linea con gli obiettivi europei.

Il Ministero, in collaborazione con le regioni, può ascoltare le esigenze di tutti i territori, raccogliendo le istanze di piccoli e grandi produttori, e trasformarle in un progetto unico e ambizioso. Questo piano unitario, sottoposto e negoziato con la Commissione Europea, deve essere chiaro e in grado di garantire che ogni euro di fondi europei venga utilizzato al meglio per rispondere alle sfide italiane.

Alleanze necessarie per cambiare i criteri europei

 

Certo non possiamo esser da soli ad affrontare un sistema che storicamente favorisce le grandi coltivazioni continentali. Il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, in stretta collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dovrebbe costruire un’alleanza strategica con altri Paesi mediterranei, come Spagna, Grecia e Portogallo. Questo blocco mediterraneo può portare avanti richieste comuni nelle sedi europee, spingendo per una revisione dei criteri di distribuzione dei fondi.

Il tavolo delle negoziazioni è rappresentato dalla Commissione Europea, in particolare dalla Direzione Generale per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale, e dal Consiglio dell’Unione Europea, dove l’Italia deve far valere le sue istanze. Attraverso un lavoro di diplomazia il nostro Paese può promuovere ulteriori innovazioni politiche che valorizzino la qualità delle produzioni mediterranee e riconoscano il loro ruolo nella sostenibilità ambientale e nella diversità culturale.

Un modello virtuoso: la filiera del Parmigiano Reggiano

 

Un esempio concreto di come l’Italia possa sfruttare i fondi PAC per promuovere innovazione e valorizzare le eccellenze agroalimentari è rappresentato dalla Filiera del Parmigiano Reggiano. Questo progetto ha saputo combinare tradizione e innovazione, mostrando come un prodotto iconico possa rafforzare la propria competitività globale attraverso strategie innovative.

Grazie ai finanziamenti europei, le aziende hanno investito in tecnologie avanzate per migliorare la tracciabilità del prodotto, garantendo ai consumatori una maggiore trasparenza sulla qualità e sull’origine delle materie prime. Inoltre, sono stati sviluppati metodi produttivi sostenibili, in modo da ridurre l’impatto ambientale della lavorazione e incrementare il valore aggiunto del prodotto. Il progetto ha permesso di consolidare il ruolo del Parmigiano Reggiano non solo come simbolo del Made in Italy, ma anche come esempio di gestione virtuosa dei fondi comunitari: un esempio che vale come lezione per il futuro.

Un’Italia che reclama il suo posto in Europa

Come abbiamo visto l’Italia non può più accontentarsi di giocare un ruolo marginale in un sistema che non la valorizza pienamente. È tempo di affrontare con determinazione le debolezze strutturali e rilanciare la nostra agricoltura come modello di qualità, sostenibilità e innovazione.

Per farlo, serve una visione unitaria e condivisa, che superi frammentazioni e inefficienze. Il Ministero dell’Agricoltura deve assumere una guida forte, trasformandosi in un punto di riferimento per una gestione più coesa ed efficace della PAC. Infrastrutture moderne, innovazione tecnologica e una burocrazia più snella sono strumenti imprescindibili per garantire competitività e coesione territoriale.

Sul piano europeo, l’Italia deve abbandonare una posizione di sudditanza e lavorare con ambizione a una negoziazione che sappia tutelare le nostre peculiarità. Il nostro patrimonio agricolo – fatto di eccellenze mediterranee e di produzioni sostenibili che non temono confronti – deve diventare il cuore di un pianoche punti non solo a ottenere ciò che è giusto, ma anchea rafforzare il nostro ruolo come leader in Europa.

La PAC può essere un’occasione per trasformare le sfide in opportunità, ma solo se affrontata con un’azione coraggiosa e decisa. Non si tratta solo di fondi o regolamenti: è in gioco il futuro dell’agricoltura italiana, un pilastro della nostra identità e della nostra economia. Sarebbe ora di agire, con una visione chiara e una volontà politica capace di fare davvero la differenza.

FONTI

  1. Parlamento Europeo
  2. Commissione Europea – Direzione Generale per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale
  3. FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura)
  4. ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)
    • Documenti:
      • Rapporti sui benefici ambientali degli ecoschemi e sull’importanza della sostenibilità agricola
      • Analisi delle disuguaglianze nella gestione dei fondi agricoli
  5. Agriregionieuropa
  6. Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF)
  7. Pianeta PSR
    • Documento: Approfondimenti specifici sul ruolo dello sviluppo rurale in Italia e sulla distribuzione dei fondi
    • URL: https://www.pianetapsr.it
  8. Rinnovabili.it
  9. Associazione Terra
  10. Ismea-Qualivita
    • Documento: Analisi e rapporti sul contributo economico delle produzioni certificate in Italia