- martedì 08 Luglio 2025
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Israele attacca l’Iran: decine di obiettivi colpiti, escalation senza precedenti

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Nonostante i negoziati avviati in diverse sedi diplomatiche tra Stati Uniti e Iran per limitare il programma nucleare di Teheran e scongiurare l’acquisizione dell’arma atomica da parte della Repubblica Islamica, Israele ha optato per un’azione militare preventiva, colpendo obiettivi strategici tra cui installazioni governative e siti nucleari iraniani, considerati una minaccia diretta alla propria sicurezza nazionale.

I segnali di un’azione imminente erano evidenti già da giorni. L’11 giugno, il governo americano aveva invitato il personale non essenziale delle ambasciate in Medio Oriente a rientrare in patria. Nella rappresentanza diplomatica USA in Israele era stata inoltre diffusa una comunicazione che limitava gli spostamenti degli addetti alle sole aree di Tel Aviv, Gerusalemme e Beersheba, consentendo l’accesso all’aeroporto Ben Gurion solo tramite l’autostrada A.

Poche ore prima dell’attacco, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), con una risoluzione senza precedenti negli ultimi vent’anni, ha denunciato la mancanza di trasparenza dell’Iran sul suo programma nucleare. Il direttore generale Rafael Grossi ha ribadito che Teheran possiede già uranio arricchito al 60%, sufficiente, se ulteriormente raffinato, per la produzione di almeno sei, ma secondo alcune stime fino a quindici testate nucleari. L’Iran, inoltre, ha impedito agli ispettori internazionali l’accesso ai siti sospetti, rendendo difficile verificare la natura esclusivamente pacifica del programma.

Il presidente americano Donald Trump, pur ventilando la possibilità di un’azione israeliana, aveva continuato a credere, almeno pubblicamente, nella soluzione diplomatica. Negli ultimi giorni, tuttavia, gli Stati Uniti hanno avvertito gli alleati e, secondo alcune fonti, lo stesso governo iraniano sarebbe stato informato da una nazione amica, probabilmente vicina anche a Washington, dell’imminenza dell’operazione.

Operazione Rising Lion: bersagli strategici e vittime illustri

La notte del 13 giugno è scattata l’operazione Rising Lion (“Leone Nascente”), il più vasto attacco diretto tra Israele e Iran nella storia recente del Medio Oriente. Più di 200 velivoli dell’aviazione israeliana, supportati da cyber-attacchi e operazioni di intelligence, hanno colpito oltre un centinaio di obiettivi, tra cui il cruciale sito di arricchimento dell’uranio di Natanz, le città di Khondab, Khorramabad, Teheran e Isfahan, nonché infrastrutture petrolifere e militari.

Gli attacchi hanno neutralizzato la contraerea iraniana, consentendo ai caccia israeliani di penetrare nello spazio aereo nemico. I danni materiali sono ingenti: il sito di Natanz è stato gravemente danneggiato, mentre a Teheran sono stati colpiti anche palazzi residenziali e stabilimenti. Ma l’impatto più rilevante riguarda la leadership militare e scientifica iraniana: tra i caduti figurano il comandante delle Guardie della Rivoluzione, Hossein Salami, il capo di Stato Maggiore Mohammad Bagheri e Fereydoon Abbasi, ex direttore dell’Organizzazione per l’Energia Atomica dell’Iran, oltre ad alcuni scienziati impegnati nel programma nucleare.

Reazioni e minacce: la crisi si allarga

La risposta iraniana non si è fatta attendere: oltre cento droni sono stati lanciati contro Israele, tutti intercettati dalle difese israeliane secondo fonti ufficiali. Il leader supremo Ali Khamenei ha promesso una risposta “senza limiti” e ha accusato gli Stati Uniti di essere coinvolti nell’azione, nonostante le ripetute smentite di Washington. Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha infatti ribadito che gli USA non sono coinvolti negli attacchi, ma ha ammonito l’Iran di non colpire interessi o personale statunitense nella regione.

Donald Trump, intervistato dai media, ha confermato di essere stato informato in anticipo dell’operazione, ma ha negato qualsiasi coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Ha inoltre avvertito l’Iran che la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente, invitando Teheran a tornare al tavolo dei negoziati prima che sia troppo tardi.

Condanne internazionali e timori di escalation

La comunità internazionale ha reagito con preoccupazione. I paesi arabi e i leader europei hanno condannato l’attacco israeliano, temendo una nuova escalation militare. La premier italiana Giorgia Meloni ha convocato una riunione con i servizi di intelligence, mentre la Cina ha espresso “forte preoccupazione”. La Giordania ha temporaneamente chiuso il proprio spazio aereo in previsione di ulteriori minacce.

Il Cremlino ha diffuso una nota ufficiale in cui condanna “l’uso della forza come soluzione a controversie strategiche” e ha chiesto un immediato cessate il fuoco. Anche la Turchia ha parlato di “grave violazione del diritto internazionale”, invitando entrambe le parti alla moderazione. Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha espresso “profonda inquietudine” per l’andamento del conflitto, auspicando una soluzione diplomatica attraverso un coinvolgimento multilaterale.

Da più parti si invoca una de-escalation, anche per evitare ripercussioni economiche globali, come un possibile aumento del prezzo del petrolio. I colloqui USA-Iran sul nucleare, previsti a Doha per il 15 giugno, sono ormai saltati: Teheran ha annunciato che non parteciperà. Il futuro dei negoziati è incerto, mentre il mondo si prepara a giorni di tensione e instabilità in uno scacchiere già fortemente provato da conflitti e crisi.

Alessandro Trizio
Alessandro Trizio
Alessandro Trizio è un professionista con una solida expertise multidisciplinare, che abbraccia tecnologia avanzata, analisi politica e strategia geopolitica. Ora è Amministratore e Direttore Strategico del Gruppo Trizio, dirigendo il dipartimento di sicurezza informatica. La sua competenza si estende all'applicazione di soluzioni innovative per la sicurezza cibernetica e la risoluzione di criticità complesse.
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