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La notte del 26 maggio 2025 Genova ha voltato pagina: dopo otto anni di governo di centrodestra, il capoluogo ligure è tornato sotto una guida di centrosinistra con l’elezione di Silvia Salis a nuova sindaca. Salis, ex atleta dal profilo civico prestato alla politica, ha conquistato la vittoria al primo turno con poco più del 51% dei voti, distanziando di circa sette punti il principale sfidante, il candidato di centrodestra Pietro Piciocchi. Grazie a questo margine netto, un risultato che non si vedeva da anni, non è stato necessario il ballottaggio, e la nuova amministrazione si è insediata immediatamente a Palazzo Tursi. Dopo due mandati del sindaco Marco Bucci, Genova torna dunque al centrosinistra.
Però, dietro alla vittoria di Salis c’è un’alleanza eccezionalmente ampia, un “campo larghissimo” che ha riunito forze progressiste e moderate in un fronte comune fin dal primo turno. La coalizione a sostegno della nuova sindaca ha infatti incluso il Partito Democratico, la sinistra ecologista (Verdi e Sinistra), il Movimento 5 Stelle, la lista civica “Silvia Salis Sindaca” e persino una componente centrista riunita sotto la sigla Riformiamo Genova. Una compagine eterogenea che, mettendo insieme partiti tradizionali e liste civiche, è riuscita a presentarsi unita al voto come non accadeva da tempo. Questa ampiezza di schieramento ha permesso al centrosinistra genovese di ottenere subito la maggioranza assoluta dei consensi, evitando quelle divisioni interne che in passato ne avevano segnato le sconfitte.
Eppure, di fronte a un cambio di colore così netto alla guida della città, sorge spontanea la domanda: ha davvero vinto il centrosinistra? Per cogliere il significato profondo di questo risultato elettorale, occorre guardare oltre i numeri e analizzare il voto nei suoi elementi di continuità e cambiamento.
Continuità e cambiamento nel voto genovese

Per capire la portata reale della vittoria di Salis bisogna inserirla nel contesto politico locale degli ultimi anni. Nel 2022 Genova era saldamente in mano al centrodestra: il sindaco uscente Bucci fu rieletto al primo turno con oltre il 55% dei consensi, incarnando quello che molti definivano il “modello Genova” civico-moderato. Due anni dopo, però, lo scenario è cambiato in modo imprevedibile. Nell’ottobre 2024 Bucci ha lasciato anzitempo la guida del Comune per candidarsi alla presidenza della Regione (in seguito alle dimissioni del governatore Giovanni Toti, arrestato con l’accusa di corruzione), vincendo poi le elezioni regionali. Questo passo indietro di Bucci a Genova ha aperto la strada alle elezioni comunali anticipate del 2025 e ha riacceso la competizione politica in città. La prospettiva di un avvicendamento a Palazzo Tursi ha riportato alle urne molti elettori che in precedenza si erano rifugiati nell’astensione: l’affluenza, precipitata a un minimo storico del 44% nel 2022, in questa occasione è risalita oltre la soglia del 50%.
Guardando ai rapporti di forza tra i partiti, emergono importanti elementi di continuità. Il Partito Democratico, asse portante della coalizione Salis, ha consolidato il proprio consenso salendo intorno al 29% rispetto al 21% di tre anni prima, un progresso significativo che segnala però anche un tetto elettorale oltre cui il PD genovese per ora non va. Parallelamente, il centrodestra ha mantenuto in città circa il 44% dei voti, lo stesso livello raccolto da Bucci alle regionali 2024, conservando dunque il suo zoccolo duro malgrado il cambio di candidato. In questa tornata, insomma, più che le persone hanno contato le appartenenze politiche.
Il centrosinistra e il centrodestra hanno mantenuto gli stessi voti delle regionali
La competizione del 2025 si è infatti polarizzata sui due schieramenti contrapposti più che sui candidati. Nonostante i profili molto diversi (Salis esordiente civica, Piciocchi “delfino” di Bucci), gli equilibri di base sono rimasti simili a quelli di partenza. Emblematico il parallelo con le regionali: Salis ha ottenuto una percentuale di voti identica a quella di Andrea Orlando, candidato del centrosinistra pochi mesi prima, segno che a vincere è stato lo stesso blocco progressista di allora, presentatosi compatto ma non davvero ampliato a nuovi settori dell’elettorato. La nuova sindaca è riuscita a tenere unito il fronte senza perdere pezzi ma non ad allargarlo oltre i suoi confini tradizionali. Mantenere le posizioni, in politica, non basta se l’obiettivo è imprimere una svolta: serve anche saper crescere, coinvolgendo quei cittadini che finora ne erano rimasti ai margini.
Anche la tenuta del centrodestra attorno al 44% con un candidato meno popolare di Bucci indica che quello schieramento conserva radici profonde in città. La mappa del voto si è infatti tinta quasi interamente di rosso, con il centrodestra avanti solo in alcune zone residenziali benestanti del Levante genovese. La Genova del 2025 non è più quella di un decennio fa: la tendenza di fondo appare spostata verso sinistra. Già nel 2024 Bucci, pur vincendo in Liguria, era stato superato dal centrosinistra all’interno del Comune di Genova; la sconfitta di Piciocchi nel 2025 conferma questo dato negli equilibri locali. In sintesi, alle comunali genovesi hanno prevalso i partiti e le alleanze più che i singoli nomi: i cittadini hanno votato su opposte visioni di governo incarnate dai due blocchi, più che sul carisma personale dei candidati sindaco.
Il campo largo e le sue ambiguità

La chiave del successo di Salis sta in larga parte nella formula inedita di alleanza messa in campo. Per la prima volta da molti anni, il centrosinistra genovese si è presentato unito al primo turno in un fronte amplissimo. Questa coalizione eterogenea, dal PD al M5S, dalla sinistra ambientalista fino a un’area centrista riformista, ha mobilitato il suo elettorato tradizionale e riportato alle urne anche molti astenuti, ma ha fallito nell’obiettivo di allargarlo oltre i confini già sperimentati nelle recenti regionali. La sua origine è stata più strategica che programmatica: l’obiettivo comune era sommare tutte le forze disponibili per battere un centrodestra ancora forte nei suoi bastioni cittadini, nonostante gli scandali dell’ex governatore Toti, e reduce da un lungo governo locale. In definitiva, questa vittoria è figlia di un compromesso dettato dall’urgenza del momento più che di un genuino cambio di paradigma politico.
La figura civica di Silvia Salis ha aiutato a tenere insieme anime politiche diverse, ma ciò che davvero ha cementato il campo larghissimo è stata la consapevolezza di trovarsi di fronte a un’occasione irripetibile. L’uscita di scena di Bucci e il logoramento del centrodestra dopo l’era Toti hanno offerto al centrosinistra una finestra di opportunità difficilmente ripetibile, che tutte le componenti, dalla sinistra più radicale ai moderati di centro, hanno voluto sfruttare accettando compromessi reciproci pur di vincere. Questa unità è stata una mossa tattica vincente, che ha riconsegnato al centrosinistra la guida della città, ma ha comportato anche un’ibridazione dell’identità politica della nuova maggioranza. Mettere insieme sensibilità progressiste e centriste, istanze di cambiamento ed elementi di continuità amministrativa, significa dar vita a una maggioranza sui generis in cui il confine tra alternanza e continuità diventa più sfumato.
Emblematica, in tal senso, è la conferma in giunta di Arianna Viscogliosi, già assessora nell’amministrazione Bucci. Salis l’ha voluta nella propria squadra (affidandole la delega alla Sicurezza) per assicurare continuità gestionale su alcuni dossier complessi, valorizzandone la competenza tecnica. Questa scelta, però, ha suscitato perplessità in una parte dell’elettorato di centrosinistra: vedere una figura di spicco della passata giunta di centrodestra sedere ancora a Palazzo Tursi è parso a molti un controsenso rispetto alla promessa di discontinuità. Per alcuni includere personalità “trasversali” come Viscogliosi denota la volontà di superare divisioni ideologiche sterili; per altri rappresenta un compromesso inaccettabile, che finisce per offuscare il profilo politico della nuova amministrazione. Dal canto suo, il centrodestra non ha mancato di ironizzare: nominare un ex assessore di Bucci, hanno osservato esponenti dell’opposizione, significa in fondo riconoscere che non tutto l’operato della giunta precedente era da disprezzare.

La posta in gioco, a ben vedere, è la credibilità stessa del “campo largo” come formula di governo. Genova sta sperimentando una convivenza permanente tra anime differenti. Se questa formula dovesse funzionare, ovvero se la giunta riuscirà a decidere e agire senza impantanarsi nelle differenze interne, potrebbe diventare un modello politico osservato a livello nazionale. Se invece dovessero prevalere la paralisi o l’ambiguità nelle scelte, il risultato sarebbe una ulteriore disillusione per quei cittadini che avevano sperato in un cambiamento reale.
Rappresentanza e frattura civica: centro e periferie
Al di là delle alchimie politiche e dei numeri, le elezioni genovesi del 2025 hanno riportato l’attenzione su un nodo cruciale: il rapporto tra istituzioni e cittadini, tra centro e periferia, tra partecipazione e disillusione. La vittoria del centrosinistra, per quanto significativa, non deve far dimenticare che una larga parte dei genovesi è rimasta ai margini, distante dalla politica al punto da non recarsi alle urne. L’affluenza complessiva, pur risalita oltre il 51%, ha rivelato una frattura territoriale marcata: in alcuni quartieri periferici ha votato appena un elettore su cinque, mentre nelle zone centrali e benestanti hanno votato quasi due su tre. In aree popolari come il CEP l’affluenza si è fermata intorno al 20%, a fronte di punte vicine al 70% in quartieri centrali come Castelletto o Manin. Ciò significa che ampie fasce di popolazione, soprattutto nelle periferie, si sentono tuttora escluse dalla vita pubblica e prive di rappresentanza.
La sfida per la nuova amministrazione sarà dunque colmare questo divario civico. Non basta aver vinto nelle urne: occorre ricucire il rapporto con quei cittadini rimasti ai margini, altrimenti la svolta rischia di rivelarsi incompleta. Resta aperta una domanda: riuscirà la giunta Salis a riportare nella partecipazione attiva quei genovesi che oggi hanno perso fiducia? Saprà dimostrare, con i fatti, che il cambiamento promesso include davvero tutta la città, centro e periferie? La risposta arriverà solo col tempo, dalle scelte concrete e dalla capacità di coinvolgere i cittadini nei processi decisionali. Genova ha voltato pagina con il voto; ora dovrà dimostrare di saperla voltare anche nella pratica quotidiana del governo, facendo sentire rappresentati anche coloro che finora sono rimasti a guardare. Su questa riconnessione tra istituzioni e comunità, tra partecipazione e disillusione, si misurerà in definitiva il successo profondo, o l’insuccesso, della nuova stagione politica appena inaugurata.