
Ci sono molti Paesi che ancora oggi rimangono ancorati ad un passato politico o sociale. Uno di questi è sicuramente l’Afghanistan che in tanti anni di rivoluzioni e tensioni non riesce a venir fuori da un mondo legato a regole e convinzioni di epoche lontane.
In questo Dossier faremo un sunto di quanto accaduto nei decenni scorsi e un punto della situazione odierna e anche una previsione di come potrebbero cambiare le cose in futuro.
Situazione storica dell’Afghanistan dal 1900 ad oggi
L’Afghanistan, posizionato strategicamente nel cuore dell’Asia centrale, ha attraversato numerose fasi di conflitto e trasformazioni sociali dal XX secolo ad oggi.
1900-1919: Le riforme e l’indipendenza
All’inizio del XX secolo, l’Afghanistan era un protettorato britannico di fatto, perché il suo assetto politico era fortemente influenzato dalla Gran Bretagna. Dopo la Seconda Guerra Anglo-Afghana (1878–1880) e in seguito al Trattato di Gandamak del 1879, l’Afghanistan mantenne una notevole autonomia interna, mentre la gestione degli affari esteri passò sotto il controllo britannico. In questo senso, pur non essendo un protettorato nel senso stretto del termine, l’Afghanistan era effettivamente limitato nella sua politica estera e operava all’interno della sfera d’influenza britannica fino a ottenere piena indipendenza dopo la Terza Guerra Anglo-Afghana nel 1919.
Il regno di Habibullah Khan (1901-1919) vide tentativi di modernizzazione, ma fu il suo successore, Amanullah Khan, a ottenere l’indipendenza completa nel 1919 dopo la Terza guerra anglo-afghana.
1920-1978: Modernizzazione e instabilità
Amanullah Khan cercò di modernizzare il paese attraverso riforme sociali e legali, ma incontrò forte resistenza dalle fazioni più conservatrici. La sua caduta nel 1929 portò a un periodo di instabilità, seguito dal regno di Mohammed Zahir Shah (1933-1973). Durante la Guerra Fredda, l’Afghanistan rimase neutrale ma ricevette aiuti sia dagli Stati Uniti che dall’Unione Sovietica. Tuttavia, un colpo di stato nel 1973 pose fine alla monarchia, instaurando una repubblica sotto Mohammed Daoud Khan.
1979-1992: Invasione sovietica e guerra civile
Nel 1979 l’Unione Sovietica invase l’Afghanistan per sostenere il governo comunista minacciato da rivolte interne. La guerra durò fino al 1989, quando le forze sovietiche si ritirarono a seguito dell’intervento della resistenza afghana (mujahidin), sostenuta dagli Stati Uniti, dal Pakistan e da altri paesi. Nel 1992, la caduta del governo comunista portò a una nuova fase di guerra civile.
1996-2001: Il regime talebano
Nel 1996 i talebani presero il controllo della maggior parte del paese, imponendo un’interpretazione estremista della legge islamica. Durante il loro governo, l’Afghanistan divenne un rifugio per organizzazioni terroristiche come al-Qaida, fattore che contribuì agli attacchi dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti.
2001-2021: Intervento internazionale e ricostruzione
Dopo gli attacchi dell’11 settembre, una coalizione guidata dagli Stati Uniti invase l’Afghanistan per rovesciare i talebani. Seguì un lungo processo di ricostruzione, accompagnato da continue insurrezioni e attacchi terroristici. Nonostante i progressi in ambito politico ed economico, la sicurezza rimase precaria.
2021-oggi: Ritorno al potere dei talebani
Nel 2021, il ritiro delle forze internazionali e la rapida avanzata dei talebani portarono alla caduta del governo afghano sostenuto dall’Occidente. Da allora, il paese è nuovamente sotto il controllo talebano, con conseguenze significative sui diritti umani, in particolare per le donne e le minoranze.
Il governo dell’Afghanistan nel 2025 rimane una teocrazia centralizzata sotto il controllo dei talebani, strutturata come un emirato islamico.
Hibatullah Akhundzada, il leader invisibile dell’Afghanistan
Hibatullah Akhundzada è il leader supremo del regime talebano in Afghanistan, un potere esercitato nell’ombra con una rigidità teocratica che ha segnato profondamente il destino del paese. Di lui si sa poco, quasi nulla. Nato nel villaggio di Sperwan, nella provincia di Kandahar, proviene dalla tribù pashtun dei Nurzai. Suo padre, un religioso locale, lo avviò agli studi islamici in una madrassa in Pakistan, dove la famiglia si rifugiò dopo l’invasione sovietica del 1979. È in questo ambiente che Akhundzada sviluppa una visione ultraconservatrice della legge islamica, che influenzerà tutta la sua azione politica.
La sua ascesa al potere avviene nel maggio 2016, dopo la morte del precedente leader talebano dovuta ad un attacco con droni statunitensi. Akhundzada diventa così il capo di un movimento in fase di riorganizzazione, conducendo i talebani alla riconquista di Kabul nell’agosto 2021 e alla cacciata del governo sostenuto dagli Stati Uniti. Da allora, guida il paese da Kandahar, lontano dalla scena pubblica. Le sue apparizioni sono rarissime: di lui esiste una sola foto ufficiale, scattata più di vent’anni fa. Tuttavia, il suo controllo sul governo è assoluto, grazie a decreti che dettano legge senza possibilità di contestazione.
Sotto la sua leadership, il regime ha imposto un sistema di regole rigidissime. Le ragazze sono escluse dall’istruzione secondaria e superiore, alle donne è imposto l’uso del velo integrale in pubblico, mentre i media e le trasmissioni in lingua straniera sono severamente limitati. Akhundzada giustifica queste misure con la necessità di mantenere un sistema islamico “puro”, ma le conseguenze sono gravi: il paese è sempre più isolato a livello internazionale, gli aiuti economici esteri sono stati ridotti, e il malcontento sociale è in crescita. Nonostante le critiche, sia interne che esterne, il leader talebano non mostra segni di apertura. Nel suo ultimo discorso, pronunciato nell’agosto 2024, ha ribadito che governare secondo la Sharia è una “responsabilità a vita”.
Questo isolamento ha portato anche a fratture interne nel movimento talebano, con alcuni esponenti che contestano la gestione accentratrice del potere. Tuttavia, Akhundzada continua a esercitare una forma di comando quasi “sacrale”, confermandosi una delle figure più influenti e temute del panorama politico internazionale.
Le donne e l’Afghanistan una lotta impari
Nel 2024, il regime talebano ha intensificato le restrizioni contro le donne afghane attraverso una serie di leggi e decreti che ne limitano drasticamente diritti e libertà. Ecco le principali normative istituite:
Legge sulla Promozione della Virtù e Prevenzione del Vizio (agosto 2024)
Obbligo di indossare il burqa o abiti che nascondano volto e forme.
Divieto per le donne di far sentire la propria voce in spazi pubblici, definita “fonte di peccato”.
Proibizione di comunicare con uomini non parenti e con non musulmani.
Divieto di utilizzare trasporti pubblici senza accompagnatore maschile (mahram).
Divieto di lavoro nelle ONG e organizzazioni internazionali (dicembre 2024)
Chiusura forzata di tutte le ONG che impiegano donne, con minaccia di sospensione delle attività.
Oltre 60.000 donne hanno perso impieghi nel settore umanitario, aggravando la povertà.
Restrizioni all’istruzione femminile
Chiusura degli istituti di formazione medica alle studentesse (dicembre 2024), eliminando l’ultima eccezione rimasta.
Conferma del bando all’accesso all’istruzione superiore, in vigore dal 2022.
Riduzione degli stipendi governativi (luglio 2024)
Le dipendenti pubbliche vedono lo stipendio fissato a 5.000 Afghani mensili (~70 USD), contro una media precedente di 15.000.
Restrizioni architettoniche (dicembre 2024)
Obbligo di modificare o bloccare le finestre che si affacciano su cortili, cucine o aree domestiche “femminili”, con sanzioni per i trasgressori.
Divieti culturali e mediatici
Proibizione per le donne di cantare o recitare versi in pubblico, con chiusura di radio e TV che trasmettono voci femminili.
Divieto di accesso a palestre e parchi.
Controllo sanitario
Limitazione delle visite mediche per le donne, consentite solo se accompagnate da un mahram e trattate esclusivamente da personale femminile, ormai quasi inesistente.
L’80% delle donne intervistate dall’ONU dichiara di non sentirsi al sicuro fuori casa.
Aumento del 50% della mortalità materna e del 25% dei matrimoni precoci.
Le prospettive dell’Afghanistan
Le prospettive economiche dell’Afghanistan per gli anni prossimi sono estremamente critiche. Il paese, in una situazione di grave instabilità politica e sociale, affronta una combinazione di stagnazione economica, povertà crescente e calo degli investimenti internazionali.
Le previsioni della Banca Mondiale indicano una crescita pari a zero per i prossimi anni. L’Afghanistan si trova in una condizione di stagnazione economica che rischia di diventare cronica. Dal 2021, anno del ritorno al potere dei talebani, l’economia si è contratta di circa il 27%, secondo l’UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo). I settori chiave, come quello finanziario, sono in una fase di collasso strutturale, con una forte riduzione dell’accesso al credito e ai servizi bancari.
Disoccupazione dilagante e povertà estrema
La situazione del mercato del lavoro è estremamente critica. Il tasso di disoccupazione è raddoppiato nel giro di pochi anni e si prevede che il tasso di povertà supererà il 70% nel breve termine. Le opportunità di lavoro sono scarse, soprattutto per le donne, a cui sono state imposte restrizioni severe dal regime talebano. Questa esclusione dal mercato del lavoro sta aggravando le già precarie condizioni di vita di milioni di famiglie.
L’agricoltura, che rappresenta una delle principali fonti di reddito per la popolazione, è fortemente ostacolata dall’insicurezza e dall’instabilità politica. Le piantagioni di oppio, incentivato dalla mancanza di alternative economiche, sono aumentate del 36%, alimentando traffici illeciti e contribuendo alla destabilizzazione del paese. Anche il settore industriale soffre di una produzione limitata, con scarse capacità di esportazione a causa della mancanza di infrastrutture adeguate e di mercati esterni.
Le infrastrutture afghane, già gravemente carenti, rappresentano un ulteriore ostacolo allo sviluppo. Il sistema stradale, energetico e di comunicazione è inadeguato a sostenere un’economia moderna. La mancanza di investimenti, unita alla carenza di competenze tecniche, limita le possibilità di sfruttare le risorse naturali del paese, tra cui minerali e terre coltivabili.
Inflazione e crisi monetaria
Il paese sta affrontando una crescente inflazione, alimentata dalla carenza di valuta estera e dal deterioramento della bilancia commerciale. I prezzi dei beni di prima necessità, come cibo ed energia, sono in costante aumento, riducendo il potere d’acquisto della popolazione. Questo fenomeno contribuisce a peggiorare le condizioni di vita, con un impatto diretto sulla sicurezza alimentare e sulla salute pubblica.
Gli aiuti umanitari, che rappresentano una fonte vitale di sostegno per milioni di afghani, sono stati drasticamente ridotti. Nel 2023, i finanziamenti internazionali si sono dimezzati rispetto all’anno precedente, passando da 3,8 miliardi di dollari a 1,9 miliardi. Questa diminuzione mette a rischio le operazioni delle organizzazioni umanitarie e riduce le possibilità di affrontare le emergenze alimentari, sanitarie e abitative.
Il mancato riconoscimento internazionale del regime talebano ha portato a una fuga degli investimenti esteri. Le imprese internazionali hanno ridotto o interrotto le loro attività nel paese, rendendo difficile attrarre nuovi capitali. Questa situazione limita ulteriormente le prospettive di sviluppo, poiché l’economia afghana dipende fortemente da investimenti stranieri per la creazione di infrastrutture e posti di lavoro.
Il paese è intrappolato in una spirale di stagnazione economica, disoccupazione crescente e crisi umanitaria. Senza un cambiamento significativo nelle politiche interne e un aumento del supporto internazionale, l’Afghanistan rischia di rimanere in una condizione di crisi permanente. Interventi mirati per migliorare la sicurezza, le infrastrutture e l’accesso ai finanziamenti internazionali sono essenziali per avviare una ripresa sostenibile.