
Che cos’è l’educazione affettiva?
L’educazione affettiva è un percorso educativo rivolto a bambini e ragazzi che insegna a riconoscere, esprimere e gestire le emozioni e le relazioni in modo sano e rispettoso. Si parla spesso di educazione affettiva e relazionale (o affettivo-sessuale) perché comprende sia la sfera emotiva sia quella della relazione con gli altri, incluse le tematiche legate alla sessualità. In pratica, l’educazione affettiva aiuta i giovani a sviluppare competenze come l’empatia, il rispetto reciproco, la comunicazione efficace dei sentimenti e la comprensione dei propri e altrui confini.
Secondo l’UNESCO, un programma completo di educazione affettiva e sessuale è “un processo basato su un curriculum che integra gli aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali della sessualità. Mira a fornire ai bambini e ai giovani conoscenze, abilità, atteggiamenti e valori che consentano loro di: realizzare la propria salute, benessere e dignità; sviluppare relazioni rispettose; comprendere come le proprie scelte influenzino il proprio e altrui benessere; e proteggere i propri diritti per tutta la vita”. In altre parole, educare all’affettività significa fornire alle nuove generazioni gli strumenti per vivere in modo consapevole la propria vita emotiva e relazionale, favorendo il benessere individuale e collettivo.
Perché è importante educare all’affettività?
L’educazione affettiva riveste un ruolo cruciale nello sviluppo individuale, poiché le emozioni e le relazioni sono componenti fondamentali della vita sin dall’infanzia. Tuttavia, la capacità di riconoscere e comprendere le proprie emozioni non è innata; richiede un apprendimento consapevole. L’alfabetizzazione emotiva, ovvero la capacità di identificare, comprendere e gestire le proprie emozioni, è essenziale per uno sviluppo equilibrato e sano dei bambini. In una società contemporanea caratterizzata da relazioni spesso frammentate e mediate dalla tecnologia, diventa ancora più importante educare i giovani alla costruzione di legami autentici e significativi. L’educazione alle emozioni può aiutare a diminuire la produzione di cortisolo (l’ormone dello stress) e migliorare il lavoro dei neuroni, contribuendo al benessere generale dell’individuo. Studi psicologici dimostrano che lo sviluppo emotivo è strettamente legato a quello cognitivo. Ad esempio, il famoso psicologo Jean Piaget sosteneva che fin da piccolissimi i bambini apprendono attraverso le relazioni con chi li circonda. In contesti educativi come la scuola, creare occasioni per condividere emozioni e sentimenti favorisce un clima di fiducia e rispetto reciproco. Ciò aiuta a sviluppare l’intelligenza emotiva, ovvero la capacità di riconoscere e controllare i propri sentimenti e di comprendere quelli altrui.
Bambini e ragazzi emotivamente competenti saranno adulti più empatici, capaci di gestire conflitti in modo costruttivo e di instaurare rapporti sani. Educare alle emozioni può aiutare a diminuire la produzione di cortisolo (l’ormone dello stress) e migliorare il lavoro dei neuroni. Inoltre, la consapevolezza delle emozioni è un potente strumento per combattere le discriminazioni e il bullismo, grazie all’allenamento all’empatia.
Dal punto di vista sociale, una solida educazione affettiva contribuisce dunque a prevenire fenomeni negativi. Informare e formare i giovani su temi come il rispetto del consenso, le differenze di genere, la gestione della rabbia e della frustrazione può ridurre comportamenti violenti o discriminatori in futuro. Ad esempio, educare all’affettività significa anche smontare stereotipi di genere e promuovere la parità: i ragazzi imparano che emozioni come la tristezza o la paura non sono “debolezze” da reprimere, e le ragazze che l’assertività e l’autonomia sono qualità positive – il tutto in un’ottica di reciproco rispetto. Allo stesso modo, parlare di affettività comprende anche l’educazione alla sessualità responsabile: fornire corrette informazioni sul corpo che cambia, sulla contraccezione e sulle malattie sessualmente trasmissibili aiuta a evitare gravidanze precoci e infezioni, e a vivere la sessualità in modo consapevole e sicuro.
Purtroppo, in assenza di programmi strutturati, molti giovani cercano risposte su Internet o sui social media, rischiando di imbattersi in informazioni distorte. Un’indagine sugli adolescenti italiani ha rilevato che quasi la metà dei giovani (45,3%) si rivolge al web per dubbi in campo affettivo o sessuale, spesso per imbarazzo nel parlare con adulti. Ciò espone i ragazzi a miti e fake news. Di fronte a questo scenario, introdurre l’educazione affettiva a scuola rappresenta uno strumento cruciale per colmare queste lacune informative. Non a caso, in un sondaggio recente ben il 93,7% degli studenti italiani ha dichiarato che vorrebbe lezioni di educazione alla sessualità e all’affettività come parte del curriculum scolastico.
L’educazione affettiva è fondamentale perché contribuisce in modo decisivo al benessere emotivo di bambini e ragazzi. Li aiuta a conoscersi meglio, a riconoscere e comprendere ciò che provano, e a relazionarsi con gli altri in modo rispettoso. Non si tratta soltanto di “buone maniere”, ma di vere e proprie competenze di vita: saper gestire le emozioni, affrontare i conflitti senza ricorrere alla rabbia o alla violenza, sviluppare un pensiero critico capace di mettere in discussione stereotipi e pressioni sociali. Tutto questo completa e arricchisce la formazione scolastica tradizionale, che altrimenti rischia di trascurare aspetti cruciali della crescita. L’educazione affettiva, inoltre, è un potente strumento di prevenzione: chi riceve informazioni corrette e sa riflettere su di sé prende decisioni più consapevoli anche in ambiti delicati come la sessualità, gli affetti e le relazioni. Questo significa, concretamente, meno comportamenti rischiosi, meno situazioni di disagio e più sicurezza. Infine, educare all’affettività sin da piccoli è una delle strade più efficaci per contrastare la violenza e le discriminazioni: promuove una cultura del rispetto e della dignità, gettando le basi per una società più giusta ed empatica.
L’educazione affettiva nel mondo: esperienze e metodologie
Molti Paesi hanno già riconosciuto il valore dell’educazione affettiva, integrandola nei programmi scolastici in vari modi. In Europa, la grande maggioranza degli Stati prevede da anni percorsi obbligatori di educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole. Di seguito alcuni esempi concreti di metodologie applicate nei Paesi dove l’educazione affettiva è materia scolastica:
Svezia: è stata un Paese pioniere. Qui l’educazione alla sessualità e alle relazioni (Sexuality and Relationship Education) è obbligatoria addirittura dal 1955, e viene impartita a partire dalle prime classi della scuola primaria. Il curriculum svedese affronta non solo gli aspetti “biologici” (anatomia, riproduzione, igiene), ma anche temi come l’amore, le relazioni affettive a lungo termine, il consenso reciproco e i diritti umani. Gli insegnanti dei gradi superiori devono avere una formazione specifica su queste tematiche, con corsi di aggiornamento e linee guida fornite dal Ministero. La maggior parte delle informazioni su sessualità e affettività per i giovani svedesi proviene proprio dalla scuola (si stima circa il 50%, quasi quanto Internet). Questo indica una forte centralità della scuola nella formazione affettiva, supportata da servizi di consulenza e salute collegati agli istituti.
Germania: l’educazione affettivo-sessuale è anch’essa obbligatoria e da decenni integrata nel sistema educativo (fu introdotta formalmente nel 1968). Nelle scuole tedesche i contenuti possono essere inseriti in modo trasversale in diverse materie oppure – a seconda del Land – trattati in un’ora dedicata. I programmi coprono la biologia della riproduzione ma vanno oltre: parlano di emozioni, ruoli di genere, rispetto nelle relazioni, matrimonio, diversità e così via. I genitori vengono informati su ciò che viene insegnato, ma non possono esonerare i figli dalla frequenza: questo sottolinea l’obbligatorietà e l’importanza pubblica della materia. Il materiale didattico di base è fornito dallo Stato (esiste anche un portale web dedicato), e sebbene non tutti i docenti abbiano specializzazioni avanzate sul tema, l’educazione affettiva è parte integrante del curriculum nazionale.
Regno Unito: nel sistema britannico esiste da tempo l’educazione sex and relationships nelle scuole. Già la legge sull’istruzione del 1996 prevedeva lezioni obbligatorie di educazione sessuale e relazionale dagli 11 anni in su nelle scuole pubbliche. Dal 2019 l’obbligo è stato esteso anche alle scuole private e, soprattutto, è stata introdotta l’educazione alle relazioni anche nella scuola primaria. In Inghilterra, ad esempio, oggi i bambini delle elementari ricevono una Relationships Education adeguata all’età, focalizzata su amicizia, famiglia, rispetto di sé e degli altri, mentre dalla secondaria inferiore si aggiunge la Sex Education in senso più stretto (contraccezione, prevenzione, ecc.). Le scuole britanniche hanno una certa autonomia nel definire i contenuti specifici e possono avvalersi di materiali elaborati da organizzazioni esterne, comprese associazioni non profit o gruppi religiosi. Tuttavia, vi è un’attenzione crescente a garantire che argomenti come il consenso, il bullismo sessuale e l’identità siano affrontati. Un limite segnalato da alcuni rapporti è che in passato l’attenzione era rivolta più agli aspetti fisici e meno a quelli emotivi, ma il quadro è in evoluzione. L’introduzione formale dell’educazione relazionale ha proprio lo scopo di bilanciare meglio questi aspetti.
Paesi Bassi: i Paesi Bassi sono spesso citati come esempio virtuoso di approccio precoce e inclusivo. I primi programmi strutturati di educazione affettivo-sessuale risalgono già agli anni ’80-’90, ma dal 2012 l’educazione sessuale è diventata parte obbligatoria del curriculum nelle scuole olandesi. La particolarità olandese è iniziare molto presto, sin dalla scuola dell’infanzia e primaria, con contenuti adeguati all’età: ad esempio, con bambini di 4-5 anni si parla di amicizia, rispetto del proprio corpo e di quello altrui, differenze tra maschi e femmine, in modo giocoso e naturale. Ogni anno, le scuole organizzano una settimana speciale chiamata “Settimana dell’educazione alla primavera” (in olandese Lentekriebels), in cui attraverso giochi, storie e attività interattive si affrontano temi affettivi e, gradualmente, anche alcuni aspetti della sessualità. Crescendo, gli studenti olandesi approfondiscono concetti come l’innamoramento, i cambiamenti puberali, il consenso e la contraccezione. Questo approccio graduale e normalizzato fa sì che per i ragazzi olandesi parlare di questi argomenti sia meno imbarazzante; i risultati si vedono anche in termini di minori gravidanze adolescenziali e una più aperta discussione su temi come le differenze di orientamento sessuale.
Francia e Spagna: anche in Paesi di tradizione latina e cattolica, l’educazione affettiva è entrata nelle aule (seppur non senza difficoltà). In Francia, dal 2001 una legge prevede che tutte le scuole debbano istruire gli studenti su uguaglianza di genere ed educazione sessuale, con almeno tre lezioni all’anno su questi temi. In teoria ciò riguarda tutti gli istituti secondari; i contenuti includono relazioni rispettose, lotta agli stereotipi, informazione sulla contraccezione e la prevenzione delle malattie. Tuttavia, l’applicazione non è stata uniforme: negli anni scorsi si è rilevato che molte scuole francesi non rispettavano pienamente l’obbligo, tanto che nel 2023 alcune associazioni hanno citato il governo per la scarsa attuazione della legge. In Spagna, sull’onda di movimenti per la parità e dopo fatti di cronaca eclatanti, nel 2022 è stata approvata la cosiddetta Legge sulla libertà sessuale. Questa legge prevede espressamente l’introduzione dell’educazione sessuale e affettivo-relazionale in tutti i cicli scolastici come misura di prevenzione della violenza, e persino l’obbligatorietà di formazione su questi temi nei corsi universitari per futuri professionisti della salute, dell’educazione e della giustizia. L’obiettivo spagnolo è dichiaratamente di combattere la violenza di genere tramite l’educazione: si insegnano sin da giovani concetti di uguaglianza, rispetto e consenso, insieme all’informazione sulla salute sessuale.
Questi esempi mostrano che l’educazione affettiva può essere implementata con metodologie diverse: come materia a sé (Svezia), come parte di altre materie (Austria, Germania, Finlandia), attraverso moduli obbligatori annuali (Francia) o integrata trasversalmente nel curriculum (Regno Unito, Repubblica Ceca). Ciò che li accomuna è la convinzione che tali programmi debbano essere strutturati e continui, adattati all’età degli studenti e supportati da docenti formati. Non a caso, in molti paesi è prevista una formazione specifica degli insegnanti: ad esempio in Finlandia tutti gli insegnanti ricevono preparazione in educazione sessuale durante l’università e chi si specializza in educazione sanitaria (che include affettività) segue 33 crediti universitari dedicati. In altri, esistono centri nazionali che sviluppano materiali e corsi (come a Salisburgo in Austria). Insomma, l’educazione affettiva nel mondo è ormai considerata parte della formazione di base: l’Italia resta uno dei pochi Paesi europei in cui ancora non è materia obbligatoria, insieme a nazioni come Polonia, Romania, Bulgaria e Lituania.
Attività e approcci per diverse fasce d’età
Una buona educazione affettiva deve essere adeguata all’età. Ciò significa affrontare temi e utilizzare metodi differenti a seconda dello stadio di sviluppo: infanzia, primaria e adolescenza. Di seguito vediamo alcuni esempi di attività e approcci didattici per le diverse fasce d’età, dal gioco per i più piccoli alle discussioni strutturate per i più grandi.
Nella scuola dell’infanzia (3-5 anni)
Nella prima infanzia l’obiettivo principale è aiutare i bambini a riconoscere le proprie emozioni e a sviluppare le prime abilità sociali (condivisione, empatia, rispetto dei turni). A questa età naturalmente non si entra in dettagli “tecnici” sulla sessualità, ma si pongono le basi dell’alfabetizzazione emotiva e relazionale. Alcuni approcci utili sono:
Il gioco delle emozioni: ad esempio l’insegnante può proporre un’attività in cui i bambini pescano da una scatola un cartoncino con disegnato un volto che prova un’emozione (felicità, tristezza, rabbia, paura, sorpresa…). A turno, il bimbo che pesca mima o descrive un momento in cui ha provato quell’emozione, oppure racconta (con parole semplici) cosa lo rende felice/triste ecc. Se un bambino è timido o non trova un esempio personale, si può parlare di un personaggio di una fiaba: “ secondo te come si sente Cappuccetto Rosso quando incontra il lupo?”. Questo gioco aiuta i piccoli a dare un nome ai propri stati d’animo e a capire che tutti proviamo emozioni (magari in momenti diversi). Con attività simili impareranno anche che non esistono “emozioni cattive”, ma tutte hanno un ruolo – ad esempio la paura serve a chiedere aiuto, la rabbia a segnalare che qualcosa non va, ecc.
L’orto delle emozioni: si tratta di una metafora utile per guidare i bambini nell’analisi di ciò che provano. Ideata dalla pedagogista Luigina Mortari, prevede di usare l’immagine di un orto o un alberello: prima si identifica il “seme” o il “terreno”, cioè la situazione che ha fatto nascere una certa emozione; poi si colgono i “frutti”, ovvero come il bambino ha manifestato quell’emozione (es. ho urlato perché ero arrabbiato); infine si cerca la “linfa”, cioè il pensiero o il motivo profondo che nutre quell’emozione (es. mi sono arrabbiato perché pensavo che non era giusto quello che era successo). Raccontando un episodio quotidiano con questa guida (ad esempio un litigio con un amichetto all’asilo), i bambini imparano piano piano a riflettere su ciò che sentono e sul perché. Inizialmente l’esercizio può essere fatto su personaggi inventati o animali delle storie, per poi passare alle esperienze dirette quando i bambini si sentono pronti.
Il rispetto del corpo e dei confini: già nella scuola dell’infanzia si possono introdurre, in forma semplificata, concetti base come “il mio corpo è mio”. Ad esempio tramite filastrocche o pupazzetti si insegna che ci sono parti del corpo private e che nessuno deve toccarle senza permesso. Si può parlare del fatto che i bambini possono dire no se non vogliono essere abbracciati o baciati, anche da adulti, e che in caso qualcosa li faccia sentire a disagio devono subito dirlo a un adulto di fiducia. Queste semplici lezioni, fatte con tatto e usando magari dei personaggi (un burattino Timmy che impara a dire “questa è la mia pancia, preferisco non essere toccato lì” ecc.), gettano le basi della prevenzione degli abusi e del riconoscimento del contatto appropriato vs. inappropriato – il tutto senza spaventare, ma anzi rassicurando i piccoli sul fatto che possono sempre parlare con la maestra o i genitori di qualsiasi cosa.
A questa età, la metodologia ideale è ludica e narrativa. Canzoncine sulle emozioni, disegni dei componenti della famiglia, racconti e fiabe che includono i sentimenti dei personaggi (chiedendo “come si sarà sentito il topolino quando…”), e momenti di gioco simbolico (giocare a fare finta di essere arrabbiati e poi fare pace) sono strumenti efficaci. Anche il semplice fare un girotondo dove ciascuno a turno esprime “oggi mi sento…” insegna ai bambini ad ascoltare sé e gli altri.
Inoltre, lavorare coinvolgendo i genitori è utile: alla scuola dell’infanzia spesso si consigliano ai genitori letture adatte sull’affettività, in modo che scuola e famiglia vadano nella stessa direzione. Ad esempio, un libricino illustrato che nomina le parti del corpo in modo corretto (senza vergogna o eufemismi) letto a casa, rinforza quanto appreso a scuola sulla consapevolezza del proprio corpo.
Nella scuola primaria (6-11 anni)
Nella scuola primaria i bambini hanno già acquisito un vocabolario emotivo base e una certa capacità di racconto di sé. In questa fascia d’età l’educazione affettiva punta a consolidare l’intelligenza emotiva, approfondire le dinamiche di relazione (amicizia, collaborazione, rispetto delle regole di gruppo) e iniziare gradualmente a introdurre anche nozioni di educazione alla salute e alla sessualità in modo adeguato. Verso la fine della primaria (10-11 anni) molti iniziano la pubertà, perciò è importante che arrivino preparati ai cambiamenti del corpo e alle prime cotte.
Esempi di attività e approcci didattici alla primaria:
Il “circle time” (tempo del cerchio): è una tecnica molto usata nell’educazione socio-affettiva. Consiste nel far sedere alunni e insegnante in cerchio (eliminando la disposizione a file) e aprire uno spazio di dialogo senza giudizio. Ci sono regole condivise – ad esempio parla uno alla volta, eventualmente passando un oggetto che simboleggia il turno di parola – e nessuno viene interrotto. Il docente propone un tema su cui ciascuno è invitato a contribuire. Temi adatti alla primaria possono essere: “i miei giochi preferiti” (che offre spunti per parlare di stereotipi di genere nei giochi, es. è vero che ci sono giochi “da maschi” e “da femmine”?), “la mia famiglia” (per confrontarsi sulle diverse tipologie familiari e ruoli di papà/mamma), oppure “come mi immagino da grande” (per far emergere se esistono preconcetti sui mestieri da uomo o da donna). Dopo il giro di condivisioni, l’insegnante riassume i contenuti emersi, sottolineando i punti importanti e valorizzando i sentimenti espressi da ognuno. Il circle time favorisce l’ascolto attivo, la coesione del gruppo e insegna ai bambini a esprimersi in un contesto rispettoso. È uno strumento potente per educare all’uguaglianza e alle pari opportunità: ad esempio, un maschietto che sente un compagno dire che anche a lui piace un gioco “da femmina” si sentirà più libero da stereotipi.
La carta d’identità emotiva: in un’attività del genere, ogni bambino compila su un foglio la propria carta d’identità speciale, non con dati anagrafici ma con elementi personali: disegna il proprio autoritratto e scrive il nome, l’età, cosa gli piace, cosa non gli piace, un animale che sente “suo”, un colore preferito, ecc.. Si possono includere voci curiose come “mi chiamano così perché… / mi piacerebbe chiamarmi…” oppure “da grande vorrei…”. Dopo il lavoro individuale, ci si mette in cerchio e ciascuno presenta se stesso mostrando la carta. In un’alternativa, l’insegnante raccoglie tutti i fogli, li mescola e ogni bambino pesca a caso la carta di un compagno e la legge al gruppo (come per “indovinare” di chi si tratta). Questo gioco stimola la conoscenza reciproca e il riconoscimento dell’unicità di ciascuno. Sentirsi liberi di dire “mi piace il calcio” o “adoro ballare” senza essere derisi aiuta a creare un ambiente dove differenze di carattere, gusti o genere sono accettate. Inoltre, parlare di sé in positivo rafforza l’autostima dei bambini.
“Che emozione!” – racconta un momento: riprendendo il gioco delle emozioni fatto all’infanzia, in versione più avanzata, si possono chiedere ai bambini esempi concreti di situazioni che li hanno fatti sentire in un certo modo. Ad esempio, l’insegnante estrae o propone un’emozione (“gioia”, “gelosia”, “imbarazzo”…) e ogni alunno pensa a quando ha provato quella emozione e lo racconta al gruppo. Se qualcuno fatica a trovare un episodio, può raccontarne uno accaduto a un amico o personaggio (per prendere un po’ di distanza). Dopo aver ascoltato vari racconti, il docente guida una riflessione: “vedete, Paolo era arrabbiato quando ha perso a un gioco, mentre Lucia sarebbe stata più triste che arrabbiata in quella situazione… ognuno può reagire diversamente”. Si può chiedere: “tutti vi sareste sentiti così? Qualcuno avrebbe provato un’emozione diversa?”. Questo fa capire che non tutti viviamo le cose allo stesso modo e insegna ai bambini a mettersi nei panni degli altri. Diventa chiaro che un compagno può offendersi per qualcosa che a noi sembrava uno scherzo innocuo: punto di partenza per parlare di rispetto e sensibilità.
Prime nozioni su corpo e cambiamento: verso la quinta elementare (10-11 anni), è opportuno introdurre in modo scientifico ma delicato i temi dello sviluppo puberale. Molti istituti organizzano incontri con esperti (ad esempio un medico o un’ostetrica) per spiegare ai bambini e alle bambine cosa accadrà al loro corpo nei prossimi anni: la crescita, la comparsa dei caratteri sessuali secondari, il ciclo mestruale, le prime eiaculazioni, i cambiamenti di voce, peli, sudorazione ecc. Queste lezioni fanno parte dell’educazione affettiva perché aiutano ad affrontare senza paura o vergogna i cambiamenti naturali, e collegano il discorso del corpo che cambia a quello delle emozioni (esempio: “potresti sentirti più irritabile a volte, fa parte delle trasformazioni”). Spiegare prima che avvengano previene che i bambini vivano queste novità con ansia o si affidino alle leggende metropolitane. In questa fase si può anche parlare di “come nascono i bambini” in termini semplici ma corretti, soddisfacendo le curiosità che spesso già a 8-9 anni emergono. Avere queste informazioni in un ambiente controllato e rispettoso è fondamentale: molti giovani in Italia lamentano di non aver mai ricevuto spiegazioni chiare e di aver dovuto cercare tutto online, con rischi evidenti.
Rispetto e diversità: la primaria è il momento giusto per insegnare il valore delle differenze e il rispetto di ogni individuo. Si possono fare laboratori sulle differenze di genere (es. lettura di una storia dove un personaggio maschile e uno femminile sfidano i ruoli tradizionali), sulle diverse culture e famiglie (coinvolgendo i bambini di origini diverse a condividere tradizioni, oppure parlando di famiglie con un solo genitore, con nonni, con due papà o due mamme, sempre con tatto e apertura). Educare alle differenze fin da piccoli crea una mentalità inclusiva e previene fenomeni di bullismo basati su ciò che è percepito come “altro”.
Metodologicamente, alle elementari si continua a privilegiare attività pratiche, giochi di ruolo, disegni e discussioni guidate. Ad esempio, si possono inscenare piccoli role-play: un gruppo di bambini recita una scenetta (es. un conflitto in cortile) e poi insieme si discute su cos’è successo, come si sono sentiti i personaggi e come si sarebbe potuto risolvere meglio il litigio. Oppure giochi cooperativi che insegnano la collaborazione e la fiducia reciproca.
Importante è anche creare a scuola un “clima” accogliente: avere magari un angolo delle emozioni in classe, dove chi vuole può andare a calmarsi se è arrabbiato o triste, o un “registri delle gentilezze” in cui ogni settimana si annotano i gesti di gentilezza visti tra compagni. Queste strategie fanno parte dell’educazione affettiva informale ma rafforzano quotidianamente i concetti appresi.
Nella scuola secondaria (12-18 anni)
Durante l’adolescenza l’educazione affettiva diventa ancora più cruciale, perché i ragazzi vivono cambiamenti fisici e psicologici profondi, e iniziano a sperimentare attrazione, amore, sessualità in prima persona. In questa fascia (che comprende la scuola secondaria di primo grado, 11-14 anni, e di secondo grado, 14-18 anni) l’approccio didattico deve evolvere: si usano metodologie interattive, si forniscono conoscenze più strutturate e si favorisce il dialogo aperto su temi spesso considerati tabù. Gli obiettivi principali includono: sviluppare una consapevolezza di sé più matura, trasmettere informazioni accurate su sessualità e salute, insegnare il rispetto nelle relazioni di coppia (consenso, fiducia, gestione dei conflitti), prevenire comportamenti a rischio (malattie sessuali, gravidanze indesiderate, violenze) e promuovere l’inclusione e la parità.
Ecco alcuni esempi di approcci e attività per i ragazzi delle medie e superiori:
Lezioni interattive con esperti: molte scuole organizzano cicli di incontri tenuti da esperti esterni – educatori, psicologi, sessuologi – che affrontano vari argomenti con modalità coinvolgenti. Ad esempio, il progetto “A luci accese” attivo in alcune scuole superiori italiane prevede laboratori con esperti su affettività e sessualità, con momenti di discussione, giochi, quiz, role playing, dibattiti e lavoro in gruppo. Gli studenti possono porre domande anonimamente (ad esempio inserendole in una scatola), a cui poi l’esperto risponde: questo li aiuta a superare l’imbarazzo. È fondamentale creare uno spazio di ascolto non giudicante in cui i ragazzi si sentano liberi di esprimere dubbi e vissuti personali. Spesso, soprattutto alle superiori, vengono coinvolti anche i genitori in incontri dedicati, così da favorire il dialogo anche in famiglia.
Programma strutturato di educazione sessuale: in particolare alle medie inferiori (11-13 anni) i ragazzi beneficiano di un programma organico che copra tutti gli aspetti della sessualità e delle relazioni, in modo scientifico ma anche valoriale. Un curriculum tipo potrebbe includere moduli su: anatomia e fisiologia (apparato riproduttivo maschile e femminile, cambiamenti della pubertà – riprendendo e approfondendo quanto introdotto alle elementari); contraccezione e prevenzione delle MST, le malattie sessualmente trasmissibili (spiegare quali sono i metodi contraccettivi, come si usa un preservativo, perché è importante proteggersi – con eventuale dimostrazione pratica su un modello anatomico per togliere mistero e imbarazzo); consenso e comunicazione (“che cos’è il consenso?”, “come capire se l’altro è d’accordo in una situazione intima”); affettività e amore (differenza tra infatuazione e amore maturo, come nascono le relazioni, come affrontare un rifiuto o una rottura senza drammatizzare); orientamento sessuale e identità di genere (chiarire ad esempio che esistono diverse sfaccettature nell’orientamento affettivo e che il rispetto verso le scelte e l’identità di ciascuno è fondamentale). Tutti questi temi vanno trattati con un linguaggio chiaro, esempi concreti e possibilmente con attività che coinvolgano attivamente i ragazzi (questionari anonimi, brainstorming, piccoli gruppi che analizzano case study). Ad esempio, per il consenso si può proporre di analizzare situazioni quotidiane in cui bisogna rispettare il “no” dell’altro e come comunicarlo in modo assertivo ma gentile.
Discussione guidata su casi reali: nell’adolescenza si può efficacemente utilizzare la tecnica del “case study” o dilemma morale. Presentare ai ragazzi una storia realistica e poi discutere insieme come avrebbero agito. Ad esempio: “Marco e Giulia stanno insieme da qualche mese; Giulia non si sente pronta per avere un rapporto completo, ma teme di perdere Marco se dice di no. Cosa consigliereste a Giulia? Cosa pensate debba fare Marco?”. Un caso del genere fa emergere il tema del rispetto dei tempi dell’altro, della pressione di gruppo (magari “tutti i miei amici lo hanno già fatto”) e consente all’insegnante di introdurre il concetto di assertività (dire ciò che si vuole o non si vuole) e di amore sano (chi ti vuole bene, rispetta le tue scelte). Analogamente, si possono discutere casi di gelosia patologica, di controllo (es. “il tuo ragazzo ti chiede di mostrargli il telefono per controllare i messaggi: è un segno d’amore o un comportamento sbagliato?” – da qui parlare di fiducia e privacy). Queste discussioni aiutano i giovani a riflettere criticamente su situazioni che potrebbero vivere in prima persona.
Educazione digitale e affettività: oggi la vita affettiva passa anche per smartphone e social network. È essenziale includere nell’educazione affettiva temi come il cyberbullismo, il sexting, il rispetto online e la pornografia. Ad esempio, a 14-16 anni si può parlare dei rischi del condividere foto intime (cosa è il revenge porn e quali sono le conseguenze legali ed emotive), oppure analizzare come i social media mostrano modelli di relazione spesso distorti (le “coppie perfette” su Instagram vs. la realtà). Riguardo alla pornografia, senza demonizzare, si può spiegare che spesso non rappresenta situazioni realistiche né rispettose, e discutere l’importanza di non basare le proprie aspettative su quel modello. Insomma, alfabetizzazione mediatica applicata alle relazioni: i ragazzi apprendono a filtrare criticamente i messaggi esterni e a comprendere che la vita reale è diversa dai miti online.
Peer education (educazione tra pari): nelle scuole superiori funziona bene coinvolgere gli stessi studenti come protagonisti. Ad esempio, formare un gruppo di ragazzi volontari come peer educator su affettività e sessualità, che poi a loro volta organizzano attività o presentazioni per i compagni più giovani. I coetanei spesso comunicano in modo più diretto ed efficace tra loro. Un ragazzo di 17 anni potrà parlare ai quattordicenni in un linguaggio più vicino al loro, e magari condividere esperienze personali. La scuola può supportare questi peer educator con formazione da parte di esperti. Questo metodo ha il doppio vantaggio di responsabilizzare i giovani coinvolti attivamente e di creare un clima di maggiore apertura (i ragazzi possono sentirsi più a loro agio a fare domande a un compagno poco più grande che a un adulto).
Laboratori sulle emozioni in adolescenza: anche se potrebbe sembrare che a 16 anni i ragazzi non vogliano più parlare di emozioni come facevano a 8 anni, in realtà l’adolescenza è un periodo emotivamente turbolento, e molti apprezzano gli spazi di espressione. Si possono proporre attività creative: tenere un diario emotivo (magari durante un particolare progetto), usare la musica o l’arte per esprimere ciò che sentono (esempio: portare una canzone che li fa emozionare e spiegare perché), oppure fare esercizi di mindfulness per gestire stress e ansia. Tutto rientra nell’educare alla cura di sé e alla gestione dell’equilibrio mentale, parte integrante dell’affettività. Un’attività interessante è chiedere di rappresentare graficamente le proprie emozioni (con disegni astratti, o creando meme/cartoline) e poi condividerle: serve a normalizzare il parlare di come ci si sente, anche in un’età in cui spesso ci si chiude.
In termini di approccio, alle secondarie è fondamentale trattare i ragazzi da giovani adulti, dare spazio alle loro opinioni e non tenere lezioni cattedratiche frontali troppo lunghe. Molto efficace è utilizzare dati e ricerche per stimolare discussione (es: “il 62% dei giovani in un sondaggio pensa che il coito interrotto eviti le gravidanze, cosa ne pensate? Perché questa percentuale così alta? È un mito da sfatare – discutiamone”). Così si uniscono informazione e riflessione critica.
Infine, nelle scuole secondarie è importante parlare apertamente di violenza di genere, omofobia, bullismo e altre problematiche sociali legate all’affettività. Per esempio, far conoscere il significato di femminicidio, di molestia, discutere casi di cronaca (adatti all’età) e coinvolgere magari testimonianze (centri antiviolenza, associazioni LGBT, ecc.). Questo collega direttamente l’educazione affettiva ai valori di cittadinanza e rispetto dei diritti umani.
Educazione affettiva e riduzione della violenza di genere: cosa dicono i dati
Un motivo centrale per cui in molti invocano l’introduzione dell’educazione affettiva a scuola è la prevenzione della violenza di genere – inclusi i femminicidi, le violenze nelle coppie e le discriminazioni basate sul genere. L’idea di fondo è che per combattere questi fenomeni alla radice sia necessario agire sull’educazione fin da giovani, promuovendo una cultura del rispetto e dell’uguaglianza. Ma cosa sappiamo degli effetti concreti dell’educazione affettiva sulla violenza? Ecco alcuni dati e risultati emersi da studi ed esperienze:
Cambiamenti di atteggiamento e minore tolleranza della violenza: numerose ricerche indicano che programmi scolastici completi su affettività, sessualità e parità di genere contribuiscono a modificare positivamente gli atteggiamenti dei giovani. Ad esempio, secondo l’attivista Isabella Borrelli, studi internazionali mostrano che l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole “non solo diminuisce gli episodi di discriminazione, ma va anche a lavorare su questioni più strutturali e sistemiche, come la parità tra i generi e la prevenzione di fenomeni drammatici come il femminicidio”. Insegnare ai ragazzi il rispetto di sé e degli altri in una fase “decisiva della loro formazione” fa sì che interiorizzino l’inaccettabilità di ogni forma di abuso. Per esempio, affrontare a scuola il tema del consenso e delle relazioni sane può ridurre la tendenza a giustificare comportamenti violenti o di controllo sul partner.
Apprendimento di competenze protettive: l’UNESCO sostiene che “educare i giovani è la sola vera soluzione a lungo termine alla violenza di genere”, a patto che sia un’educazione di qualità, adeguata all’età e comprensiva di questi temi. Un buon programma di educazione affettiva insegna infatti a riconoscere tutte le forme di violenza (fisica, psicologica, sessuale), a capire che sono sbagliate e violano i diritti umani, e fornisce anche gli strumenti per evitarle o reagire. I ragazzi non imparano solo a “non essere vittime”, ma anche a non diventare perpetratori: sviluppando empatia, gestione della rabbia, capacità di mettersi nei panni altrui, diventa meno probabile che da adulti ricorrano alla violenza nelle relazioni. Inoltre, l’educazione affettiva incoraggia a mettere in discussione norme sociali e stereotipi di genere che spesso sono alla base della violenza (ad esempio l’idea che l’uomo debba essere dominante, o che la gelosia estrema sia una prova d’amore). In questo senso, essa agisce sulle cause culturali della violenza.
Riduzione effettiva di comportamenti violenti: studi a lungo termine su programmi di educazione relazionale nelle scuole hanno riscontrato diminuzioni tangibili degli episodi di violenza tra i giovani. Ad esempio, in un programma americano di prevenzione della violenza nelle coppie adolescenziali, dopo alcuni anni le scuole che avevano implementato il curriculum hanno riportato il 25% in meno di episodi di abuso psicologico tra partner adolescenti, il 60% in meno di atti di violenza sessuale e 60% in meno di violenza fisica nelle coppie giovanili, rispetto alle scuole che non avevano attuato il programma. Si tratta di risultati impressionanti, che suggeriscono come un’educazione mirata possa davvero cambiare i comportamenti. Un altro studio ha trovato che studenti formati su questi temi erano più propensi a intervenire come “bystander” (spettatori attivi) per fermare molestie o violenze tra pari.
Correlazioni su larga scala: a livello macro, i Paesi che da più tempo investono in educazione affettiva e sessuale tendono ad avere indicatori migliori in termini di parità di genere e minore violenza. Certo, molti fattori socio-economici influiscono, ma alcuni dati sono significativi. Ad esempio, nei Paesi del Nord Europa, pionieri in questo campo (come Norvegia, Svezia), le donne godono di maggiore uguaglianza e vi è una cultura diffusa della parità; il tasso di omicidi di donne da parte del partner è generalmente inferiore alla media europea, sebbene nessun paese sia immune. In Svezia, dove queste tematiche si insegnano dal 1955, già dagli anni ’90 si sono avute campagne efficaci di sensibilizzazione sul consenso e sul rispetto, e oggi circa la metà dei giovani riferisce di aver appreso a scuola informazioni su come gestire le relazioni. In Italia, al contrario, l’educazione affettiva non è obbligatoria e i femminicidi purtroppo rimangono su livelli preoccupanti (ogni anno circa 100-120 donne vengono uccise in contesto familiare o relazionale). Naturalmente non basta una materia scolastica a eliminare la violenza, ma la mancanza di educazione diffusa su questi temi lascia i nostri giovani senza strumenti per contrastare stereotipi e comportamenti tossici. Come evidenziato da Coop Italia nella campagna “Close the Gap”, introdurre l’educazione affettiva obbligatoria potrebbe contribuire a “prevenire e limitare l’odio e la violenza di genere, oltre che favorire la parità di genere”. Molte associazioni di psicologi, pedagogisti e movimenti contro la violenza sostengono questa visione, definendo tale formazione uno strumento irrinunciabile di prevenzione.
Effetti sulla salute generale e sulle scelte di vita: educare alle relazioni sane e paritarie ha anche effetti indiretti misurabili. Ad esempio, un effetto spesso citato dei programmi di educazione sessuale ben fatti – come abbiamo visto – è la riduzione delle gravidanze adolescenziali e delle infezioni sessuali. Questo è collegato non solo alle informazioni fornite, ma anche a una maggiore capacità di negoziare nelle relazioni (ad esempio, una ragazza che ha seguito queste lezioni si sente più legittimata a insistere sull’uso del preservativo, e un ragazzo capisce l’importanza di rispettare quella richiesta). Meno gravidanze precoci e indesiderate significano meno situazioni familiari potenzialmente conflittuali o di povertà, che a loro volta sono fattori legati alla violenza domestica. Inoltre, chi viene educato al rispetto fin da giovane sarà più portato, da adulto, a cercare aiuto o a offrire aiuto in caso di violenza. In alcuni paesi dove questi programmi sono presenti da tempo, si è visto un aumento delle denunce di violenza sessuale: questo non significa più violenze, ma più consapevolezza e minor tolleranza nel subirle in silenzio. Ad esempio, in posti dove a scuola si insegna chiaramente cosa sia una molestia o uno stupro, le giovani vittime tendono a riconoscerlo e segnalarlo, invece di colpevolizzarsi o pensare che “sia normale”. Questa emersione del problema è il primo passo per combatterlo.
I dati suggeriscono che l’educazione affettiva può fare la differenza nella lotta alla violenza di genere. Certo, va affiancata da altre misure (leggi efficaci, centri di ascolto, campagne mediatiche), ma rappresenta un terreno fondamentale su cui costruire una società più equa e sicura. I ragazzi educati al rispetto oggi saranno adulti rispettosi domani. Le ragazze consapevoli del proprio valore oggi saranno donne meno disposte ad accettare abusi domani.
Come ha dichiarato l’UNESCO, “quando è ben realizzata, l’educazione affettiva e sessuale promuove la salute e il benessere, il rispetto dei diritti umani e dell’uguaglianza di genere, e dà potere a bambini e giovani di condurre una vita sicura e appagante”. Investire su queste tematiche a scuola significa, in ultima analisi, investire in un futuro con meno violenza e più rispetto.
Fonti
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