
“Il sigillo verde sulla confezione”
Sei al supermercato. Cammini lentamente tra gli scaffali, circondato da moltitudini di confezioni colorate. Ogni prodotto sembra fissarti e attrarti con scritte sgargianti e parole così “giuste” e divertenti; sei colto dalla solita vertigine, quel lieve malessere che ti prende – una nausea, quasi – ogni volta che vieni esposto all’eccesso di scelte, all’eccesso di stimoli, così tante possibilità… è così ogni volta che vai al supermercato, o navighi in rete. Eppure, ultimamente c’è qualcosa che ti ritempra, c’è un criterio di scelta che ti dà reale soddisfazione, che ti fa sentire bene: cercare quel piccolo simbolo verde, quel sigillo che parla di rispetto, di impegno, di cambiamento, per un mondo che verrà. E che speri venga al più presto.
Ed eccolo lì. Lo vedi su una confezione di biscotti. La scritta “carbon neutral” si staglia, come una promessa silenziosa. Ti fermi, e all’improvviso il tuo gesto quotidiano e ordinario, si carica di significato. Per un attimo, i pensieri ti portano lontano. Sei parte di qualcosa di più grande: una rete silenziosa di persone che con piccoli gesti come questo, si prende cura del pianeta, combatte l’inquinamento, e affronta una realtà immensa e complessa, densa di sofferenza. Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla, risuona nella tua testa. Non è proprio un pensiero chiaro, più un sentimento.
Ti soffermi, e la sensazione che provi non è solo compiacimento: è pace. Pace con te stesso, con il mondo, con l’idea che anche tu stai facendo la tua parte. Non puoi risolvere tutto, lo sai, ma è confortante sapere che, mentre scegli i tuoi biscotti preferiti, stai anche scegliendo di dare il tuo contributo per qualcosa di più grande. Pensi agli animali innocenti, ai bambini che un giorno cresceranno in un mondo migliore, ai fiumi e alle foreste che potranno respirare più liberamente.
Metti la confezione nel carrello, e quel piccolo gesto ti fa sentire speciale. Un eroe moderno. È una soddisfazione semplice ma profonda: non stai solo facendo la spesa, stai partecipando a una battaglia per il futuro, il tuo è un atto politico, e quel sigillo verde è la tua medaglia.
Ma cosa significa per davvero “carbon neutral”? Una domanda che, per molti, rimane senza risposta. Dietro la promessa della neutralità carbonica si nasconde un sistema complesso e a volte contraddittorio. Per comprenderlo, dobbiamo esplorare come funziona il mercato dei crediti di carbonio, le sue opportunità e le sue insidie. Ed è questo il viaggio che stiamo per iniziare.
Il mercato dei crediti di carbonio
Quando leggiamo “carbon neutral” su un prodotto, che significa “a impatto zero di carbonio”, immaginiamo un mondo più pulito e sostenibile. Quel sigillo verde promette che le emissioni di CO₂ legate alla produzione di un prodotto, al suo trasporto e uso siano state compensate, azzerandone gli effetti. Ma come? Principalmente attraverso l’acquisto, da parte dell’azienda che genera emissioni CO₂, di crediti di carbonio, che sono una sorta di “moneta ecologica”, ovvero certificati del finanziamento di progetti destinati—almeno in teoria—a compensare tali emissioni e a riequilibrare il bilancio climatico del pianeta. Si tratta però di progetti che vengono fatti altrove, ovvero che non riguardano il ciclo di produzione dell’azienda che emette CO₂ e che acquista i crediti di carbonio, ma attivati in altri contesti, spesso lontani chilometri e chilometri da chi intende compensare l’inquinamento che ha causato acquistando questa moneta di scambio. Le compensazioni di carbonio si ottengono attraverso progetti di riforestazione, di conservazione delle foreste esistenti, di passaggio all’uso di fonti rinnovabili, di efficienza energetica, di gestione dei rifiuti e dei gas climalteranti (come il metano), di agricoltura e uso del suolo sostenibili—cioè in grado di stoccare il carbonio e altri gas serra—, di tecnologie futuristiche capaci di risucchiare il carbonio direttamente dall’aria, di progetti di trasporto e mobilità sostenibile (con veicoli elettrici ecc), di progetti con co-benefici sociali: sembra tutto perfetto, troppo bello per essere vero, quasi magico!
Eppure…
Eppure, dietro questa promessa luminosa si cela un’industria tanto complessa quanto opaca: quella dei mercati di crediti di carbonio volontari. “Volontari” perché la partecipazione è libera, cioè non imposta da normative statali o internazionali. Le aziende, le organizzazioni e persino i singoli individui scelgono se acquistare o vendere crediti di carbonio in base a criteri soggettivi, che possono essere etici, propagandistici o strategici (spesso i crediti di carbonio sono acquistati per migliorare la propria immagine), senza essere appunto obbligati a farlo.
Ma è in questa arbitrarietà, in questa zona grigia, che sorgono dubbi e criticità.
“Un credito di carbonio rappresenta una tonnellata di anidride carbonica (CO₂) o di un gas serra equivalente che è stata evitata, ridotta o assorbita. Questi crediti sono generati da progetti che contribuiscono a ridurre le emissioni, come piantare alberi, promuovere l’energia rinnovabile o proteggere foreste esistenti ecc.”
Come viene garantito che i progetti compensino realmente la quantità di carbonio dichiarata, nello specifico, una tonnellata di anidride carbonica per ogni credito di carbonio? Davvero i progetti finanziati con i crediti di carbonio riescono sempre a mantenere le loro promesse? E se non ci riescono, perché non ci riescono? Quanto possiamo fidarci di un sistema che, pur mirato ad affrontare la crisi climatica, sembra favorire operazioni di facciata più che risultati concreti?
Esistono anche mercati di crediti di carbonio obbligatori, regolamentati da norme rigorose; mentre per i mercati volontari le regole sono poco precise, anche perché il settore dei mercati volontari è cresciuto molto rapidamente e a dismisura: nel 2023 aveva un valore di 2,4 miliardi di dollari, grazie al desiderio delle aziende di mostrare il proprio impegno per la sostenibilità. Ma la mancanza di controlli stringenti ha aperto la strada a fenomeni fraudolenti, come i crediti di carbonio “fantasma”: certificati che non rappresentano reali riduzioni di emissioni, o che finanziano progetti inefficaci o già esistenti.
Immaginiamo, ad esempio, un’azienda che compra crediti legati a un progetto di conservazione forestale in una zona già protetta da leggi locali, dove la foresta non corre cioè alcun pericolo. Quel progetto non aggiunge chiaramente nulla alla protezione dell’ambiente, eppure permette all’azienda di dichiarare che il proprio prodotto sia “carbon neutral”. Il risultato? Un’illusione di sostenibilità, mentre il problema rimane irrisolto, perché le tonnellate di carbonio prodotte dall’azienda non sono compensate.
Ad ogni modo, non tutto è da buttare. I crediti di carbonio, se regolamentati e usati nel modo giusto, possono fare la differenza. Possono sostenere progetti cruciali per il clima e aiutare le aziende a ridurre concretamente la loro impronta ecologica. Ma, affinché il sistema funzioni, servono: regole chiare, trasparenza e un aggiornamento in tempo reale dei risultati sul campo, che devono essere misurabili in ogni loro fase.
“Il caso Verra e i crediti fantasma”
Immaginiamo di seguire sull’argomento le indagini di una giovane giornalista d’inchiesta, di nome Lucia De Salvio, seduta alla sua scrivania sommersa da documenti e report. La luce fioca della lampada da tavolo illumina le carte che testimoniano uno scandalo di proporzioni enormi: i crediti di carbonio fantasma certificati da Verra.
Verra, un’organizzazione no-profit con sede a Washington, era considerata la più importante tra le organizzazioni certificatrici di crediti di carbonio nel mercato volontario (altri due enti noti sono Gold Standard e Plan Vivo Foundation). Tuttavia, un’inchiesta durata nove mesi, condotta da The Guardian, Die Zeit e SourceMaterial, aveva svelato che solo il 6% dei progetti di Verra portava effettivamente a una riduzione significativa della deforestazione.
De Salvio analizzava i progetti incriminati: conservazioni di foreste pluviali presentate a rischio abbattimento, ma che in realtà non correvano alcun pericolo del genere. I crediti generati da questi progetti erano quindi inutili e l’entità delle sovrastime era impressionante: Verra aveva emesso crediti di carbonio con valori gonfiati fino al 400%, mentre il 94% dei crediti per i progetti di conservazione forestale (il 40% di quelli che emetteva a livello globale) non rappresentava reali riduzioni delle emissioni di CO₂. Questo significava che numerose aziende, tra cui giganti come Disney, Shell e Gucci, avevano acquistato crediti privi di valore reale, proclamando una neutralità carbonica in realtà inesistente.
In totale, il mercato dei crediti certificati da Verra rappresentava un miliardo di dollari, ma i dati reali dimostravano che solo una minima parte aveva un reale impatto positivo sull’ambiente.
Mentre sfogliava le pagine, la giornalista si interrogava sull’effetto di queste rivelazioni. Quanti prodotti dichiarati “carbon neutral” erano in realtà legati a quei crediti fantasma? Le multinazionali coinvolte avrebbero dovuto rispondere a gravi interrogativi sulla trasparenza e sull’integrità dei loro sforzi per la sostenibilità.
Determinata a portare alla luce la verità, immersa nella sua indagine, De Salvio riceve una soffiata anonima: un ex collaboratore di Verra, disposto a parlare sotto condizione di anonimato, accetta di incontrarla. La scena si svolge in una caffetteria semideserta, dove l’atmosfera è densa di tensione. L’informatore, con un volto segnato dalla preoccupazione e lo sguardo sfuggente, inizia a raccontare:
“Lavoravo nei progetti di revisione dei crediti. Sai cosa ci chiedevano? Di chiudere un occhio. A volte due. Se il progetto aveva grandi nomi dietro, veniva approvato. Non importava se i dati non tornavano. Non importava se non c’era rischio reale per la foresta. Serviva certificare per mantenere l’immagine, e il nostro compito era far funzionare il sistema, non metterlo in discussione.”
Mentre lei prende appunti febbrilmente l’uomo prosegue, svelando dettagli su documenti falsificati e pressioni dall’alto per “accelerare le verifiche” su progetti economicamente rilevanti, ignorando le discrepanze. Le sue parole gettano un’ombra sinistra sull’intero sistema.
Decisa a verificare sul campo una delle situazioni denunciate, la giornalista decide di recarsi in una foresta amazzonica legata a un progetto di compensazione contestato. All’arrivo, ciò che vede è sconvolgente: la foresta che avrebbe dovuto essere protetta è stata parzialmente disboscata. Gli abitanti del luogo, riuniti in un villaggio vicino, la accolgono con un misto di diffidenza e speranza. Tra loro, un uomo le mostra un contratto mai rispettato:
“Ci hanno promesso che questa terra sarebbe stata preservata. Invece, hanno preso i fondi dei crediti e li hanno usati per altri scopi. E noi? Non abbiamo più la nostra terra. Non abbiamo niente.”
Nel sito del progetto si scorgono macchinari abbandonati e tronchi tagliati che testimoniano l’inganno. L’aria calda e umida sembra pesare ancora di più mentre lei fotografa i resti di una promessa infranta. Quel luogo, che avrebbe dovuto essere un simbolo di speranza, è ora un monito delle conseguenze di un sistema corrotto.
Tuttavia, ra le fitte foreste, in una zona attigua, incontrò anche Maria, una leader locale che le spiegò come i fondi generati dai crediti fossero però essenziali quando il sistema funzionava! Attraverso la voce di Maria comprese i potenziali benefici dei fondi derivanti dai crediti di carbonio, quando usati correttamente: scuole, infrastrutture, una reale conservazione delle foreste; ma senza una regolamentazione rigorosa quelle fragili promesse di sostenibilità potevano trasformarsi da un momento all’altro in illusione, come aveva visto con i suoi stessi occhi: “Non siamo noi il problema”, denunciava appassionatamente Maria: “ma chi usa questi crediti per coprire la propria inazione. Ogni albero salvato qui è un albero che resta in piedi, ma altrove le emissioni continuano senza controllo.”
De Salvio preparò il suo articolo, sempre più incredula e agguerrita, consapevole che una maggiore regolamentazione e trasparenza nel mercato dei crediti di carbonio fossero essenziali per prevenire ulteriori frodi come quella al centro della sua inchiesta, e per dare invece reali risposte all’indispensabile riequilibrio del bilancio climatico. La sua denuncia avrebbe contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica e a promuovere un cambiamento necessario per garantire che i crediti di carbonio rappresentassero effettive riduzioni delle emissioni, proteggendo così il pianeta da un sistema che stava vanificando i suoi stessi obiettivi.
Le ripercussioni non si erano fatte attendere. David Antonioli, CEO di Verra, si era dimesso in seguito alle rivelazioni sullo scandalo, mentre un ex membro del consiglio, Kenneth Newcombe, era stato accusato di frode per aver falsificato dati relativi ai crediti di carbonio. Lo scandalo metteva in luce le vulnerabilità strutturali del mercato dei crediti di carbonio e la necessità di riforme urgenti. Le accuse avevano minato la fiducia in un sistema che dovrebbe contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico, lasciando invece spazio a frodi e speculazioni.
De Salvio sapeva che lo scandalo Verra metteva in luce le vulnerabilità nel sistema dei crediti di carbonio e la necessità urgente di riforme per garantire l’integrità delle misure adottate per combattere il cambiamento climatico. La fiducia nel mercato della compensazione delle emissioni era stata gravemente compromessa, richiedendo azioni immediate sia da parte delle aziende coinvolte che degli enti certificatori.
Inoltre, si evidenziava un problema più ampio: l’inadeguatezza delle regole che governano il mercato della compensazione delle emissioni. L’introduzione di soglie minime per la riduzione diretta delle emissioni, prima di ricorrere alla compensazione, era diventata essenziale. Ad esempio, puntare a un rapporto 60/40—con il 60% delle emissioni ridotte direttamente dalle aziende e solo il restante 40% compensato tramite crediti di carbonio—potrebbe rappresentare un passo davvero rivoluzionario, stabilendo obiettivi progressivi per aumentare la riduzione diretta fino a raggiungere la perfetta neutralità carbonica.
Altro aspetto cruciale: l’opportunità di affidare la certificazione dei crediti di carbonio a enti interamente pubblici o a organismi multilaterali sotto il controllo di governi o istituzioni internazionali, dove l’obiettivo primario fosse individuare e supportare progetti realmente utili per l’ecosistema, piuttosto che favorire interessi legati al prestigio o alla sostenibilità economica dell’ente certificatore. La gestione attuale, dominata da organizzazioni formalmente “no-profit” ma immerse in un mercato da oltre due miliardi di dollari, ha dimostrato che persino enti non orientati al profitto possono cedere a logiche speculative, gonfiando i numeri per mantenere rilevanza nel settore e attirare clienti prestigiosi. Un modello pubblico, invece, potrebbe garantire maggiore trasparenza e indipendenza, eliminando i conflitti di interesse intrinseci legati alla competizione per dominare un mercato tanto redditizio quanto vulnerabile.
Le tecnologie per il sequestro del carbonio, come la cattura diretta dall’aria (DAC) e la bioenergia con cattura e stoccaggio (BECCS), promettono di ridurre significativamente le emissioni. Tuttavia, sfide come i costi elevati, l’alto consumo energetico e le difficoltà nel renderle applicabili su larga scala ne ostacolano la diffusione. Soluzioni come la mineralizzazione e la cattura industriale sono in fase di sviluppo, ma richiedono innovazioni per migliorarne l’efficienza. Per un impatto su larga scala, saranno necessari investimenti, politiche incentivanti e l’integrazione con altre strategie climatiche, mantenendo sempre l’obiettivo di una neutralità carbonica sostenibile.
Il boomerang del greenwashing
La denuncia contro Verra arrivò in un momento critico per il settore della sostenibilità. Il “greenwashing”—cioè l’uso ingannevole di etichette e slogan pro-ambiente per migliorare l’immagine di aziende e prodotti—era già sotto accusa, ma lo scandalo Verra ne rappresentò l’apoteosi. La fiducia nel mercato dei crediti di carbonio, una delle strategie più pubblicizzate per la lotta al cambiamento climatico, subì (e subisce ancora) un colpo durissimo.
Con il passare delle settimane, la notizia scatenò un effetto domino: aziende come Nestlè, Gucci e Shell, che per anni avevano costruito (o ricostruito) la propria reputazione con slogan come “carbon neutral” e “a impatto zero”, iniziarono a ridurre o interrompere l’acquisto di crediti di carbonio. Era troppo alto il rischio di vedere il proprio brand associato a pratiche ingannevoli, specialmente con dei consumatori sempre più esigenti e pronti a boicottare. Il mercato dei crediti volontari subì un crollo verticale, con una diminuzione del valore del 61% in un solo anno. I prezzi dei crediti si dimezzarono in pochi mesi, e l’instabilità finanziaria travolse anche le aziende che gestivano i progetti di compensazione.
De Salvio non poteva non notare un’ampia gamma di reazioni. Alcuni difendevano il sistema, sostenendo che il problema non era il concetto di compensazione ma la mancanza di trasparenza e verifiche rigorose. Altri, invece, invocavano un cambiamento radicale: la fine del mercato dei crediti volontari, considerato solo un alibi per continuare a inquinare senza affrontare le cause strutturali. Alcuni esperti suggerivano di abbandonare del tutto le compensazioni per puntare esclusivamente sulla riduzione diretta delle emissioni.
Nel tentativo di correre ai ripari, l’Unione Europea aveva da pochissimo introdotto una nuova direttiva contro il greenwashing, imponendo regole più severe: le aziende dovevano dimostrare con dati verificabili che ogni singola dichiarazione relativa a impegni ecologici fosse fondata.
Di conseguenza, nel 2024 si sono osservati segnali di ripresa, con un lieve aumento dei volumi di crediti “ritirati” (ovvero annullati nel registro dei crediti di carbonio perché hanno compensato un quantitativo specifico di carbonio emesso), avvicinandosi ai livelli del 2021. Le aziende hanno ripreso a investire in questi crediti, anche se con maggiore cautela. Ad esempio, Stellantis, Toyota, Ford, Mazda e Subaru hanno collaborato con Tesla per mettere in comune le emissioni di anidride carbonica, utilizzando i crediti di CO₂ generati dai veicoli elettrici di Tesla per compensare le proprie emissioni e rispettare così le direttive dell’Unione Europea per il 2025. Nonostante le critiche e le sfide affrontate, il mercato dei crediti di carbonio guarda al 2025 con fiducia, sostenuto da una crescente domanda di iniziative di sostenibilità aziendale e da politiche governative favorevoli.
Nell’ambito dei crediti di carbonio, il termine “ritirati” non è sinonimo di “acquistati”. Quando un’azienda o un individuo acquista crediti di carbonio, questi rimangono attivi nel registro fino a quando non vengono “ritirati”. Il “ritiro” è l’atto formale di annullare un credito nel registro, indicando che è stato utilizzato per compensare una specifica quantità di emissioni. Questo processo garantisce che il credito non possa essere rivenduto o utilizzato nuovamente, evitando il rischio di conteggi doppi e assicurando l’unicità della compensazione.
Lo scandalo Verra ha sollevato non solo questioni ideologiche ed economiche, ma anche gravi implicazioni umanitarie. In Perù, ad esempio, sono emerse accuse di violazioni dei diritti umani legate a progetti certificati da Verra, con segnalazioni di sgomberi forzati e demolizioni di abitazioni da parte delle autorità locali. De Salvio, approfondendo la questione, ha scoperto testimonianze di famiglie costrette ad abbandonare le proprie terre ancestrali per fare spazio a progetti di “protezione ambientale” che, oltre a non contribuire efficacemente alla riduzione delle emissioni, hanno inflitto ulteriori sofferenze alle comunità locali.
Mentre scriveva il suo articolo, De Salvio rifletteva sull’effetto boomerang del greenwashing: non solo le pratiche ingannevoli non consentivano di raggiungere gli obiettivi dichiarati, ma causavano danni ancora maggiori agli sforzi globali per il clima. Le aziende spaventate si ritiravano dal mercato dei crediti, mentre il pubblico, tradito, iniziava a mettere in discussione ogni dichiarazione “green”. Lei stessa non poteva più guardare un prodotto etichettato come “carbon neutral” senza domandarsi se fosse davvero tale.
E tu, con il pacco di biscotti “carbon neutral” in mano, inizi a chiederti quali altre bugie verdi hai acquistato. La fiducia, una volta tradita, è difficile da riconquistare.
“Un esempio virtuoso: il progetto E-Power System (EPX)”
Procedendo nelle sue ricerche, la giornalista si trovò di fronte a due realtà contrastanti nel mondo dei crediti di carbonio. Da un lato, il progetto E-Power System (EPX), sviluppato da Energia Europa S.p.A., un’azienda italiana con sede a Zané, in provincia di Vicenza, che rappresentava un caso di successo. Il sistema brevettato EPX, un filtro innovativo progettato per ridurre le perdite e i disturbi nelle linee elettriche, aveva permesso di evitare l’emissione di 23.346 tonnellate di CO₂ nel biennio 2021-2022, generando un equivalente numero di crediti di carbonio. La trasparenza dei dati e l’adozione di tecnologie avanzate ne avevano sancito l’efficacia.
Dall’altro lato, le ombre dei progetti di riforestazione certificati da Verra. Questo confronto evidenziava chiaramente come la credibilità del mercato dei crediti di carbonio dipendesse dalla rigorosa verifica dei progetti e dalla trasparenza delle operazioni. Iniziative come EPX dimostravano, infatti, che una compensazione efficace è possibile, mentre i casi di crediti “fantasma” mettevano in guardia contro approcci superficiali e non verificati.
Carbon neutral o greenwashing? Ecco come capirlo
Quanto conosci davvero il percorso del prodotto che scegli al supermercato? Vuoi davvero sapere se un prodotto etichettato come “carbon neutral” è affidabile? Allora non fermarti alla prima impressione e vai a fondo, scegliendo certificazioni che garantiscano trasparenza e impegno concreto, come PAS 2060, CarbonNeutral Certification e Gold Standard. Queste etichette si distinguono perché richiedono azioni verificabili che vanno oltre la semplice compensazione delle emissioni.
PAS 2060 è uno standard internazionale che non si limita a calcolare le emissioni e compensarle. Esige che l’azienda definisca e segua un piano chiaro per ridurre concretamente le sue emissioni nel tempo. Questo piano deve essere verificato regolarmente da enti indipendenti, assicurando che i risultati non siano solo dichiarazioni di facciata, ma progressi tangibili verso la sostenibilità. In pratica, chi sceglie PAS 2060 si impegna in un percorso di cambiamento reale e misurabile.
La CarbonNeutral Certification, invece, si concentra sull’accuratezza del calcolo delle emissioni e sulla qualità dei progetti di compensazione. Per ottenerla, le aziende devono rispettare standard rigorosi come il Greenhouse Gas Protocol, che garantisce trasparenza e tracciabilità. Inoltre, questa certificazione non ammette scorciatoie: richiede che i progetti di compensazione siano selezionati tra quelli di massima qualità, assicurando che l’impatto sia concreto e duraturo.
Infine, il Gold Standard rappresenta una delle certificazioni più complete e rigorose. Non si accontenta di verificare che un progetto di compensazione assorba CO₂: pretende che generi benefici tangibili per le comunità locali e per l’ambiente. Ad esempio, un progetto di riforestazione certificato Gold Standard deve contribuire non solo alla riduzione delle emissioni, ma anche a migliorare le condizioni di vita delle persone che abitano l’area interessata, proteggendo al tempo stesso la biodiversità. È una visione più ampia, che punta a creare un impatto positivo a tutto tondo.
Rispetto a certificazioni come il Verified Carbon Standard (VCS) di Verra, che si concentrano soprattutto sulla correttezza tecnica del calcolo delle emissioni compensate, queste certificazioni offrono una garanzia in più: trasparenza, concretezza e un approccio sostenibile che mette al centro il clima, le persone e il pianeta. Per questo è importante approfondire e scegliere con attenzione, premiando chi agisce davvero per il futuro di tutti noi.
Verra e il mercato del carbonio: una redenzione possibile?
Dopo lo scandalo Verra, il panorama globale si è frammentato. Alcuni governi hanno intensificato gli sforzi per regolamentare più severamente il mercato del carbonio, mentre le organizzazioni ambientaliste hanno sottolineato l’importanza di ridurre direttamente le emissioni, senza fare affidamento sulle compensazioni.
In risposta alle crescenti preoccupazioni sull’integrità del mercato, l’Integrity Council for the Voluntary Carbon Market (ICVCM, Consiglio per l’Integrità del Mercato Volontario del Carbonio) ha confermato che il Verified Carbon Standard (VCS, Standard del Carbonio Verificato), gestito da Verra, soddisferebbe i rigorosi Core Carbon Principles (CCPs, Principi Fondamentali del Carbonio) solo dopo modifiche significative alle sue procedure. Tra queste, Verra ha avviato una consultazione pubblica per sviluppare la versione 5 del VCS, mirata a migliorare l’integrità, l’impatto e l’usabilità del programma. Inoltre, ha introdotto una nuova procedura che permette ai progetti registrati di aggiornare le metodologie utilizzate per periodi di verifica passati e di riquantificare le riduzioni delle emissioni di gas serra, garantendo una maggiore accuratezza nei crediti emessi. Queste iniziative sottolineano l’impegno di Verra nel mantenere elevati standard di qualità e affidabilità nel mercato volontario del carbonio. L’approvazione mira a rafforzare la fiducia nel mercato dei crediti di carbonio.
Inoltre Verra, sotto la guida del nuovo CEO Mandy Rambharos, ha introdotto un “approccio basato sul rischio” per accelerare la revisione dei progetti nonostante una riduzione del personale. Questo metodo classifica i progetti in base al loro livello di rischio, determinato da fattori come dimensione e complessità. I progetti ad alto rischio sono sottoposti a controlli più approfonditi rispetto a quelli a basso rischio. L’obiettivo dichiarato è concentrare le risorse sui progetti che richiedono maggiore attenzione, migliorando l’efficienza del processo di revisione. Ma esperti del mercato del carbonio hanno espresso preoccupazioni riguardo alla possibilità che una verifica più rapida, e con meno personale, possa compromettere l’integrità dei crediti approvati.
Nonostante queste misure, il dibattito rimane acceso. Molti si interrogano su come garantire che le etichette “carbon neutral” siano davvero affidabili e su quali azioni intraprendere per compiere scelte sostenibili.
Il futuro dietro il sigillo verde
Siamo arrivati alla fine di questo viaggio, ma forse è proprio qui che tutto comincia. La storia che abbiamo esplorato non è solo un intrico di scandali, promesse tradite e meccanismi imperfetti. È il riflesso di un mondo che cerca di affrontare la crisi climatica, spesso inciampando lungo il cammino. Un mondo in cui le etichette verdi possono rappresentare sia una speranza concreta che una pericolosa illusione.
De Salvio ci ha portato dietro le quinte, svelando un sistema che troppo spesso sceglie la scorciatoia della compensazione anziché la strada più ardua della riduzione diretta delle emissioni. Ci ha mostrato quanto sia fragile la fiducia riposta in un mercato che, se non adeguatamente regolamentato, rischia di trasformarsi in uno specchietto per le allodole, più utile al marketing che al pianeta. Ma questa non è solo una denuncia: è un invito all’azione, un’esortazione a guardare oltre il simbolo verde sulla confezione, a pretendere che esso rappresenti davvero un impegno tangibile per il futuro.
Ed eccoti lì, di nuovo al supermercato. Il pacco di biscotti con il sigillo “carbon neutral” tra le mani. Ti fermi a pensare: cosa significa davvero? Può bastare quel gesto per contribuire a un cambiamento reale? O forse, dietro quella promessa patinata, si cela il rischio di alimentare un sistema che perpetua il problema invece di risolverlo?
La risposta non è semplice. Non lo è mai. Ma non possiamo fermarci qui. Ogni scelta consapevole, ogni domanda posta alle aziende, ogni richiesta di maggiore trasparenza è un passo avanti. Non dobbiamo cadere nel cinismo, ma nemmeno accontentarci di mezze verità. La sostenibilità non è uno slogan, ma un percorso fatto di regole chiare, riduzioni concrete e verifiche rigorose. È un patto tra cittadini, imprese e governi che richiede impegno e coraggio.
Quindi, cosa farai? Metterai quel pacco di biscotti nel carrello? Forse sì, ma con una consapevolezza nuova. Ora puoi verificare, ad esempio, se quel prodotto è davvero carbon neutral secondo uno standard di cui ti fidi completamente. Non è la mèta finale, ma un punto di partenza. È il simbolo di una promessa, una promessa che hai il diritto e il dovere di pretendere che sia mantenuta.
Ogni acquisto è un messaggio, ogni scelta un’opportunità per spingere il mondo verso un sistema migliore. Il futuro non si costruisce da solo: è fatto di gesti quotidiani, di persone che rifiutano compromessi inutili, di consumatori che trasformano il loro potere d’acquisto in una leva per il cambiamento. È in questo sforzo collettivo che troviamo la speranza.
Non sarà facile. Non sarà immediato. Ma è indispensabile. E mentre esci dal supermercato, stringendo quel pacco di biscotti, ricordati: il cambiamento non è solo un simbolo verde. È un impegno, una promessa da mantenere giorno dopo giorno. Perché il futuro che desideriamo dipende da ciascuno di noi, da ogni singola scelta. È una sfida dura, ma è una battaglia che vale la pena di combattere.