Microplastiche: cosa sono, dove si trovano e perché se ne parla tanto
Negli ultimi settant’anni la produzione mondiale di plastica è cresciuta in modo esponenziale, portando le microplastiche a infiltrarsi ovunque: nei mari, nell’aria e persino negli alimenti.
Cosa sono le microplastiche
Ogni anno tra 9 e 14 milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiscono negli oceani. Le microplastiche sono frammenti fino a 5 millimetri derivanti dalla decomposizione di imballaggi, oggetti monouso e materiali plastici abbandonati, ma possono essere rilasciate anche direttamente dalle industrie che le producono. Quando le particelle diventano ancora più piccole, si parla di nanoplastiche, con dimensioni inferiori a 1.000 nanometri e una capacità potenzialmente maggiore di attraversare (e danneggiare) le barriere biologiche.
La plastica è presente negli imballaggi degli alimenti, nelle bustine di tè sintetiche, nei tessuti tecnici e anche negli pneumatici. Tutte queste fonti si degradano lentamente, generando particelle microscopiche che non sono visibili a occhio nudo ma che possono entrare nel nostro corpo. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, nel 2020 almeno 2,7 milioni di tonnellate di microplastiche sono finite nell’ambiente e, senza interventi, questa quantità potrebbe raddoppiare entro il 2040. Le microplastiche si spostano attraverso l’atmosfera, sono trasportate dal vento e raggiungono anche zone remote e incontaminate. Oggi sono state identificate in oltre duecento specie di animali destinati al consumo umano, nell’acqua potabile, in diversi alimenti e persino nel sale. Consumiamo queste particelle in modo inconsapevole. Anche l’azione quotidiana di aprire una bottiglia può rilasciare frammenti microscopici nel liquido.
Negli Stati Uniti, una stima media indica che ogni persona potrebbe ingerire tra le 74.000 e le 121.000 particelle ogni anno, anche se il dato varia significativamente in base a dieta, area geografica e stili di vita individuali. Eppure, secondo l’ultimo Eurobarometro dell’EFSA, solo due europei su cinque si interessano attivamente alla qualità e alla sicurezza dei cibi che acquistano, segno che la consapevolezza del fenomeno è ancora limitata rispetto alla sua diffusione.
Microplastiche: tipologie e fonti
Gli scienziati distinguono le microplastiche in due grandi categorie. Le microplastiche primarie sono quelle prodotte intenzionalmente e introdotte nei prodotti finiti. Sono rilasciate direttamente nell’ambiente durante l’uso, come avviene per le fibre che si staccano dai capi d’abbigliamento, per l’abrasione degli pneumatici o per i residui di alcuni prodotti cosmetici, dentifrici e creme. Secondo le stime globali costituiscono dal 15 al 30% delle microplastiche presenti negli oceani, con variazioni significative tra diverse aree geografiche.
Le microplastiche secondarie rappresentano invece, sempre secondo le stime globali disponibili, il 70–80% di quelle ritrovate nei mari. Si formano dalla degradazione di oggetti in plastica dispersi nell’ambiente, come bottiglie, attrezzature da pesca abbandonate, imballaggi, scarti industriali e capi sintetici del fast fashion. In molti casi, queste particelle si generano anche durante il lavaggio domestico dei tessuti. La plastica non scompare, si frammenta. Ogni frammento diventa un inquinante potenziale, capace di viaggiare per chilometri e finire in ecosistemi sensibili.
Dove si accumulano davvero: oceani, aria, cibo
Per molto tempo le ricerche scientifiche si sono concentrate sulle acque superficiali, limitandosi a campionare i primi centimetri degli oceani. Uno studio recente della Florida Atlantic University ha realizzato la prima mappatura globale della distribuzione delle microplastiche lungo la colonna d’acqua oceanica, considerando non solo la superficie ma anche gli strati intermedi e profondi. I ricercatori hanno analizzato oltre 1.800 stazioni di campionamento tra il 2014 e il 2024, includendo dati sulle dimensioni delle particelle e sulla loro composizione.
Le analisi mostrano che le microplastiche più piccole tendono a distribuirsi in modo stabile nell’acqua degli oceani e a rimanervi a lungo. Una parte di queste particelle si accumula nei grandi vortici oceanici, i cosiddetti gyres, che funzionano come enormi “trappole” naturali in cui i detriti restano intrappolati e continuano a circolare per anni.
Gli oceani non sono solo una massa d’acqua: sono uno dei principali regolatori del clima del pianeta. Assorbono anidride carbonica, producono circa metà dell’ossigeno che respiriamo e sostengono equilibri biologici fondamentali. Lo studio indica che, man mano che si scende in profondità, la presenza relativa di microplastiche aumenta rispetto ad altre particelle naturali. Questo suggerisce che le microplastiche stanno entrando nei processi naturali con cui la materia organica si deposita verso il fondo, con possibili effetti sul funzionamento degli ecosistemi marini.
Le zone costiere presentano concentrazioni fino a trenta volte maggiori rispetto al mare aperto. In acque profonde, invece, le particelle più piccole si distribuiscono in modo uniforme, mentre quelle più grandi vengono intrappolate negli strati di brusca variazione di densità prima di affondare.
Il lavoro dei ricercatori ha identificato 56 polimeri diversi. Le plastiche più dense, come nylon e poliestere, risultano più frequenti al largo, soprattutto per l’usura di materiali legati alla pesca. Essendo più fragili, si frammentano nel tempo, contribuendo all’accumulo di particelle nelle profondità.
La presenza massiccia di microplastiche modifica processi fondamentali dell’ecosistema marino. Legandosi alle particelle di carbonio organico, possono alterare la velocità con cui queste affondano e influenzare le dinamiche di decomposizione sul fondo oceanico. Interferiscono anche con l’attività dei microrganismi responsabili del ciclo del carbonio. Le microplastiche stanno diventando parte misurabile del ciclo biogeochimico dell’oceano, con potenziali ripercussioni sul clima e sulla catena alimentare.
Le microplastiche fanno male alla salute?
Gli effetti delle microplastiche sulla salute umana sono ancora oggetto di ricerca e non è ancora possibile trarre conclusioni definitive. Uno studio pubblicato su Nature Medicine ha analizzato campioni di tessuto cerebrale post-mortem, rilevando la presenza di microplastiche. I ricercatori hanno stimato la quantità presente convertendola in termini volumetrici equivalenti al contenuto di circa un cucchiaino, basandosi su analisi quantitative specifiche. I livelli misurati risultavano fino a cinque volte più alti negli individui con diagnosi di demenza rispetto ai controlli. Questa osservazione indica una correlazione, ma non dimostra un nesso causale: sono necessari ulteriori studi per comprendere il significato clinico di questa associazione.
Le particelle sono state trovate anche nei polmoni, nella placenta, nello sperma e persino nel sangue, suggerendo la possibilità che possano viaggiare nel corpo. Le concentrazioni più elevate sembrano trovarsi nel cervello, con valori da sette a trenta volte superiori rispetto a quelli rilevati in fegato e reni. Le particelle più piccole, in particolare le nanoplastiche, possono attraversare alcune membrane cellulari e depositarsi nei tessuti, generando stress ossidativo e potenziali processi infiammatori cronici. Va precisato che non tutte le microplastiche si comportano allo stesso modo e le evidenze su questi meccanismi sono ancora in fase di consolidamento. Poiché contengono polimeri e additivi chimici, possono anche rilasciare sostanze che interagiscono con le cellule. Gli effetti a lungo termine, cumulativi e intergenerazionali restano in larga parte sconosciuti.
Cosa sta facendo l’Europa
L’Unione Europea ha iniziato a intervenire con misure mirate. A settembre 2023 è entrata in vigore una restrizione graduale che limita la vendita di microparticelle di polimeri sintetici e di prodotti che le contengono. I glitter e le microsfere sfuse sono già vietati. Nel Piano d’Azione “Zero Pollution”, la Commissione ha posto l’obiettivo di ridurre del 30% il rilascio di microplastiche entro il 2030 rispetto ai livelli del 2016. Parallelamente sono stati finanziati diversi progetti di ricerca, come PLASTICHEAL, IMPTOX, PlasticFatE, POLYRISK e AURORA, per indagare il percorso delle microplastiche nell’organismo, la loro capacità di attraversare barriere biologiche e i potenziali effetti a lungo termine.
Proteggersi è possibile, anche se nessuna soluzione è definitiva. Ridurre la produzione complessiva di plastica rimane la strategia principale. Diverse raccomandazioni promuovono l’uso di fibre naturali, l’installazione di filtri per trattenere le microfibre nelle lavatrici, la scelta di cosmetici privi di polimeri, l’uso di acqua filtrata e preferibilmente contenuta in vetro, e un consumo alimentare che privilegi prodotti freschi con meno imballaggi. Scegliere fonti ittiche sostenibili e smaltire correttamente i rifiuti plastici sono ulteriori gesti che contribuiscono a ridurre l’esposizione.
Cosa sappiamo oggi, in breve
Le microplastiche sono ormai parte della nostra quotidianità. Si formano dalla frammentazione di oggetti plastici o sono rilasciate direttamente da prodotti di uso comune. Le troviamo negli oceani, nell’aria che respiriamo, negli alimenti che consumiamo e nel nostro organismo. La scienza del 2025 ha documentato la loro diffusione globale e sta iniziando a comprendere i meccanismi attraverso cui interagiscono con i sistemi biologici. Sappiamo che alterano i cicli biogeochimici degli oceani e che sono presenti nei tessuti umani, ma non sappiamo ancora con certezza quali siano gli effetti a lungo termine sulla salute. L’Europa ha avviato le prime restrizioni normative e finanziato progetti di ricerca per colmare le lacune conoscitive. Nel frattempo, possiamo ridurre l’esposizione attraverso scelte quotidiane consapevoli e sostenere politiche che limitino la produzione e la dispersione di plastica nell’ambiente.
Le ricerche scientifiche continuano a evolversi, con nuove tecnologie di filtraggio, sistemi di monitoraggio e strumenti di analisi sempre più raffinati. Nel frattempo, anche la consapevolezza pubblica cresce, segno che il tema sta entrando nel dibattito comune. Occorre ridurre l’uso della plastica, monitorarne la dispersione, sostenere la ricerca e adottare nella vita quotidiana piccoli gesti capaci di fare la differenza nel lungo periodo. Informarsi, condividere ciò che sappiamo: un insieme di precauzioni che nel tempo possono contribuire a contenere un fenomeno destinato a crescere senza interventi strutturali.
Bibliografia essenziale
Eywa – la divulgazione responsabile
Microplastiche: il nemico invisibile che invade il pianeta e come fermarlo
https://eywadivulgazione.it/microplastiche-il-nemico-invisibile-che-invade-il-pianeta-e-come-fermarlo/
Approfondimento divulgativo Eywa sulla diffusione globale delle microplastiche, le principali fonti, gli impatti ambientali e le possibili strategie di riduzione, con attenzione alle responsabilità sistemiche e alle politiche pubbliche.
Fonti scientifiche e istituzionali
Nature – The global distribution of microplastics throughout the ocean water column
https://www.nature.com/articles/s41586-025-08818-1
Studio peer-reviewed che presenta la prima mappatura globale delle microplastiche lungo l’intera colonna d’acqua oceanica, dalla superficie alle profondità, evidenziando il loro ruolo nei cicli biogeochimici e nel trasporto del carbonio.
Nature Medicine – Bioaccumulation of microplastics in human brains
https://www.nature.com/articles/s41591-024-03453-1
Studio post-mortem che documenta la presenza di microplastiche nel tessuto cerebrale umano e analizza le differenze quantitative osservate tra gruppi di popolazione, chiarendo i limiti interpretativi e l’assenza di nessi causali dimostrati.
UN Environment Programme – Microplastics in the environment
https://www.unep.org/resources/report/microplastics
Rapporto di riferimento delle Nazioni Unite sulla diffusione globale delle microplastiche, le principali fonti di rilascio e le dinamiche di trasporto negli ecosistemi terrestri e marini.
European Environment Agency – Impacts of microplastics on health
https://www.eea.europa.eu/en/european-zero-pollution-dashboards/indicators/impacts-of-microplastics-on-health-signal
Quadro europeo aggiornato sugli impatti potenziali delle microplastiche sulla salute umana, con focus sulle evidenze disponibili, le incertezze scientifiche e l’approccio precauzionale.
European Commission – Protecting environment and health: measures to restrict intentionally added microplastics
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_23_4581
Comunicazione ufficiale della Commissione europea sulle restrizioni alle microplastiche aggiunte intenzionalmente e sulle misure adottate per ridurne la dispersione nell’ambiente.
Science of the Total Environment – Environmental exposure to microplastics and possible human health effects
https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0048969719344468
Review scientifica che sintetizza le conoscenze sugli effetti potenziali delle microplastiche sulla salute umana e sulle principali lacune ancora presenti nella letteratura.

