C’è un nuovo mercato che si prepara a conquistare il mondo: quello della biodiversità.
Lo chiamano finanza naturale, e promette di salvare il pianeta a colpi di derivati verdi, crediti di biodiversità e fondi d’investimento “eco-positivi”. Ma viene da chiedersi: quando una foresta entra in borsa, resta ancora una foresta o diventa un asset economico come un altro?
Dopo i crediti di carbonio, ecco i crediti di biodiversità: titoli negoziabili che assegnano un prezzo alla vita. Secondo The Good in Town (2025) (testata italiana dedicata alla sostenibilità ambientale e sociale, che pubblica analisi su innovazione green, nuovi modelli economici e consumo responsabile), questi crediti misurano “il valore naturale” di un ecosistema, per consentire alle aziende di compensare la distruzione di un habitat ricreandone un altro altrove. Peccato che, a differenza del carbonio, la biodiversità non sia intercambiabile: un prato alpino non si replica in Amazzonia, un corallo non rinasce in una cava dismessa. Eppure, i mercati parlano di “neutralità di biodiversità”, come se la vita fosse un’equazione risolvibile con un foglio Excel.
Il rischio è che la finanza naturale diventi il nuovo greenwashing del decennio: la vita è trasformata in algoritmo, la tutela in prodotto. Nel suo rapporto del 2024, la Fondazione per la Finanza Sostenibile avverte che il linguaggio dell’investimento verde può facilmente scivolare in retorica se non accompagnato da governance trasparente, metriche condivise e reale impatto ecologico. Ad oggi, nessuno ha ancora trovato un modo univoco per misurare la biodiversità: esistono solo indicatori parziali, locali, spesso qualitativi.
Insomma, stiamo quotando in borsa qualcosa che non sappiamo nemmeno come conteggiare.
Eppure, la perdita di biodiversità è tutt’altro che un tema “morale”: rappresenta un rischio sistemico anche per l’economia. Secondo Allianz Trade (2025) (società del gruppo Allianz specializzata in analisi economiche e assicurazioni sul credito, che monitora i rischi macroeconomici e ambientali a livello globale), metà del PIL mondiale dipende direttamente dai servizi ecosistemici: impollinazione, fertilità del suolo, acqua pulita. Quando la biodiversità crolla, crolla anche il mercato. E allora sì, la finanza naturale può essere, se fatta bene, uno strumento per prevenire la propria stessa catastrofe.
Ma il problema resta lo stesso: chi governa questo mercato? Chi decide il valore di un fiume o di una specie? Senza la partecipazione delle comunità locali, la tutela rischia di diventare esproprio mascherato. È già accaduto con i progetti di compensazione ambientale che hanno sottratto terre a popolazioni indigene nel nome della “sostenibilità”.
La vera giustizia ecologica non si misura in euro, ma in equilibrio e sovranità.
C’è però un modo diverso di parlare di finanza naturale: quello delle Nature-Based Solutions (o soluzioni basate sulla natura, sono interventi che si ispirano ai processi naturali per affrontare sfide ambientali e sociali: come riforestare aree degradate per assorbire CO₂, creare zone umide per prevenire alluvioni): progetti che proteggono e ripristinano gli ecosistemi come risposta concreta alla crisi climatica. Sono iniziative che funzionano con la natura, non contro di essa. Ma anche qui, avverte Etifor (2025) (spin-off dell’Università di Padova che sviluppa progetti di valorizzazione ambientale e forestale, promuovendo strategie di gestione sostenibile e finanza “nature positive”), la sfida è distinguere la finanza etica da quella speculativa: il rischio è che le “soluzioni basate sulla natura” diventino solo un altro slogan per i fondi d’investimento.
Dopotutto, la biodiversità non ha bisogno di essere salvata dai mercati, ma di essere difesa dalla loro avidità
La vera finanza naturale non è quella che monetizza la vita, ma quella che le restituisce valore senza attribuirle un prezzo. Perché la Terra non ci manda fatture, ma segnali. E noi stiamo ancora facendo finta di non sentirli.
Bibliografia essenziale
- Fondazione per la Finanza Sostenibile, Finanza sostenibile e biodiversità, 2024.
[Rischi di retorica nel “investimento verde”; importanza di metriche e governance trasparente.]
https://finanzasostenibile.it/wp-content/uploads/2024/06/FFS_Finanza-sostenibile-e-biodiversita_WEB_def.pdf - The Good in Town, Cosa sono i crediti di biodiversità: guida aggiornata 2025, 2025.
[Definisce i crediti di biodiversità e illustra come tentano di valorizzare gli ecosistemi con logiche di mercato.]
https://www.thegoodintown.it/cosa-sono-i-crediti-di-biodiversita-guida-aggiornata-2025/ - Allianz Trade, La perdita di biodiversità è un rischio enorme per il settore finanziario, 2025.
[Dimostra come metà del PIL mondiale dipenda direttamente dai servizi ecosistemici e i pericoli per i mercati.]
https://www.allianz-trade.com/it_IT/news-e-approfondimenti/studi-economici/pubblicazioni-economiche/la-perdita-di-biodiversita-e-un-rischio-enorme-per-il-settore-finanziario.html - Etifor, I 5 trend del 2025: verso un’economia Nature Positive, 2025.
[Approfondisce la finanza naturale e le sfide che accompagnano la transizione verso modelli “nature positive”.]
https://www.etifor.com/it/aggiornamenti/i-5-trend-del-2025-per-il-settore-dei-servizi-ambientali/ - Eywa – La divulgazione responsabile, Etichette “a impatto zero”: come riconoscere il greenwashing (anche dopo le nuove leggi UE), 2025.
[Esempio concreto di come la comunicazione ambientale ingannevole persista nonostante le nuove normative UE.]
https://eywadivulgazione.it/etichette-impatto-zero-riconoscere-greenwashing-nuove-leggi-ue/ - Eywa – La divulgazione responsabile, Carbonio fantasma: la faccia nascosta della lotta al cambiamento climatico, 2024.
[Analizza le debolezze della compensazione di carbonio e la possibilità che foreste esistano solo nei bilanci.]
https://eywadivulgazione.it/carbonio-fantasma-la-faccia-nascosta-della-lotta-al-cambiamento-climatico/

