1. Il paradosso italiano
In Italia amiamo le culle vuote. Non tanto i bambini che potrebbero starci dentro, ma proprio il fatto che siano vuote: ci commuoviamo davanti ai grafici sulla denatalità, ci stracciamo le vesti quando l’ISTAT ci ricorda che siamo un Paese che si estingue, e poi torniamo placidi alla nostra quotidiana indifferenza. Un paradosso che avrebbe fatto sorridere Pirandello, se non fosse che qui non c’è niente da ridere.
Perché mentre i governi si alternano a suon di “bonus bebè”, “bonus latte” e altre mance creative, la realtà è che mettere al mondo un figlio in Italia equivale a un salto nel vuoto senza rete. E la prima rete che manca, letteralmente, è proprio quella degli asili nido.
La copertura dei nidi pubblici è ferma sotto il 30%. Significa che meno di una famiglia su tre riesce ad avere accesso a un posto, sempre che non si perda nel labirinto di liste d’attesa che ricordano più la prenotazione di un volo spaziale che un diritto di base. Nel frattempo, le rette viaggiano tra i 400 e i 700 euro al mese: praticamente come un secondo mutuo, solo che invece della casa ti danno quattro ore al giorno di assistenza per tuo figlio, otto quando il nido è più organizzato.
E poi c’è il paradosso supremo: la scuola materna, dai 3 ai 6 anni, è gratuita per tutti. Ma se tuo figlio ha due anni e mezzo: ti arrangi. Tradotto in burocratese: “Aspetta che cresca e poi ne riparliamo”. Come se la cura di un bimbo piccolo fosse un capriccio, non un bisogno fondamentale.
E allora la domanda sorge spontanea: altrove gli asili nido sono un diritto, perché qui no?
2. La mappa dei modelli vincenti
Se in Italia il nido è un miraggio, basta spostare lo sguardo di qualche centinaio di chilometri per scoprire che altrove è la normalità. Non stiamo parlando di utopie nordiche irraggiungibili, ma di Paesi vicini, con economie molto simili alla nostra, che hanno fatto scelte politiche precise.
Cominciamo dal Portogallo. Dal 2024, il governo ha introdotto il programma “Creche Feliz”: nidi gratuiti per tutti i bambini da 0 a 3 anni. Punto. Senza bonus da rincorrere, senza bandi da compilare, senza acrobazie contabili. Una decisione netta, che ha trasformato il nido in un diritto universale.
A Berlino la parola “Kita” è diventata sinonimo di libertà per le famiglie. I servizi 0–6 anni sono gratuiti da anni, sostenuti dal Land come investimento collettivo. Il risultato? Mamme e papà possono davvero conciliare lavoro e figli, senza dover scegliere chi dei due deve “sacrificarsi”.
E poi c’è Malta, che non sarà certo un gigante economico, ma ha capito una cosa semplice: se vuoi che i genitori lavorino, devi dargli un posto gratuito dove lasciare i figli. Lì i nidi sono gratis per tutte le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano. Risultato: occupazione femminile cresciuta, rinunce drasticamente calate.
Il Lussemburgo, che di soldi ne ha, ma non per questo li spreca, ha scelto un modello misto: 20 ore settimanali gratuite per tutti, più sussidi generosi per il resto. Un sistema flessibile che alleggerisce i costi senza creare famiglie di serie A e di serie B.
E i famosi Paesi nordici? Norvegia e Svezia hanno messo nero su bianco il principio che dovrebbe essere ovvio ovunque: il bambino ha diritto a un posto, e lo Stato garantisce una retta simbolica. Non bonus, non liste d’attesa infinite: un diritto di legge.
Attraversiamo l’Atlantico e atterriamo in Québec, Canada francofono. Qui vige un modello che è diventato leggenda: la tariffa fissa calmierata, ridicola rispetto ai costi reali. Il resto lo mette lo Stato, considerandolo un investimento a lungo termine.
Anche il Regno Unito, che su welfare non brilla di certo, si è mosso: dal 2025 le famiglie lavoratrici avranno 30 ore gratuite di nido a settimana fin dai 9 mesi. Una misura che non cancella tutte le disuguaglianze, ma rappresenta comunque un salto avanti rispetto all’immobilismo italiano.
E guardando all’Asia, anche paesi ipercompetitivi come Giappone e Corea hanno deciso di finanziare la gratuità parziale dei nidi, legandola addirittura a una quota dell’IVA: i cittadini pagano una tassa, e sanno che quella tassa serve anche a garantire i servizi per i loro figli. Trasparenza, investimento, fiducia.
La mappa, insomma, è chiara: in tanti posti del mondo il nido è un servizio pubblico, non una roulette burocratica. Qui da noi resta un lusso.
4. L’Italia al contrario
Benvenuti nel Paese dove il nido non è un diritto, ma una caccia al tesoro. Una caccia in cui le mappe cambiano ogni anno e i premi sono pochi, costosissimi e distribuiti a casaccio.
Partiamo dai numeri: la copertura media è inchiodata intorno al 28–29%. Significa che più di due famiglie su tre restano fuori. E non parliamo di un problema nazionale uniforme: al Nord la percentuale è un po’ più alta, al Sud praticamente inesistente. Se nasci a Trento hai qualche speranza, se nasci in Calabria è come vincere al Superenalotto.
Poi c’è il tema dei costi. La retta di un nido pubblico oscilla in media tra i 350 e i 700 euro al mese. In pratica, mantenere tuo figlio al nido costa quanto mantenere una macchina di media cilindrata, o come pagare un affitto bis. Non stupisce che molte famiglie facciano due conti e concludano che conviene mollare il lavoro: paradosso perfetto, il sistema che ti spinge fuori dal mercato del lavoro proprio quando hai più bisogno di reddito.
E se anche un posto lo trovi? Ecco il capolavoro burocratico: le graduatorie. Sulla carta dovrebbero premiare chi ha più bisogno, nella realtà spesso funzionano al contrario. In molti Comuni il punteggio più alto va a chi ha entrambi i genitori occupati, e in molti comuni senza guardare all’ISEE. Così famiglie più fragili restano fuori dalla graduatoria rispetto a famiglie più solide… Molti Comuni attribuiscono più punti alle famiglie con entrambi i genitori occupati, dando per scontato che abbiano meno tempo a disposizione. Ma così facendo, quelli con un genitore disoccupato sono automaticamente penalizzati, nonostante siano spesso i più fragili economicamente e con meno reti di supporto. Poi, in certi comuni l’ISEE viene preso in considerazione come parametro per la graduatoria, in altri no. Così accade che la logica si rovesci: più sei in difficoltà, meno vieni premiato.
E mentre altrove si parla di diritti universali, qui ci aggrappiamo al solito cerotto: il “bonus nido”. Una misura utile, certo, ma parziale: funziona solo se trovi già un posto e hai i soldi per anticipare le rette. Se resti fuori, resta fuori anche il bonus.
Il grande piano del PNRR? In teoria dovrebbe creare decine di migliaia di nuovi posti. In pratica, i progetti sono a macchia di leopardo, con comuni che si barcamenano tra bandi complicati e ritardi cronici. Intanto le famiglie aspettano, e ogni anno migliaia di bambini restano a casa.
La summa del paradosso arriva con i congedi parentali: brevi, malpagati e poco compatibili con i tempi reali della crescita di un bambino. Così accade che i mesi più delicati diventino un buco nero: niente congedo, niente nido, niente rete. Ma la cara vecchia Italia che ti dice: arrangiati.
5. Perché “qui no”? Gli alibi smontati
Quando si parla di asili nido in Italia, gli alibi spuntano come funghi. Ogni ministro, ogni sindaco, ogni amministratore ha la sua giustificazione pronta. Peccato che, uno a uno, questi alibi crollino non appena si confrontano con la realtà.
Il più gettonato è: “Manca il denaro”. Ma è falso. Il Portogallo, che ha un PIL pro capite più basso del nostro, ha reso i nidi gratuiti per tutti dal 2024. Berlino li offre da anni. Malta, che non ha certo le risorse di Roma, li garantisce gratis ai genitori lavoratori. Non è questione di soldi: è questione di priorità politiche.
Secondo alibi: “È logisticamente impossibile”. Anche questo è falso. In Svezia e Danimarca i Comuni hanno l’obbligo per legge di garantire un posto entro pochi mesi dalla domanda. Se non lo fanno, sono inadempienti. Qui da noi, invece, è normale che un Comune ti dica “non ci sono posti” e nessuno paga le conseguenze. Non è impossibile, allora: semplicemente non è previsto da amministratori pubblici inadeguati.
Terzo alibi: “Gli italiani hanno sempre fatto da sé, con i nonni”. E qui scatta la risata amara. Perché i nonni di oggi non sono i cinquantenni in pensione degli anni ’80, ma settantenni che spesso lavorano ancora o che, giustamente, hanno una vita propria. Pensare che debbano sostituire un sistema educativo è una fantasia perversa e nostalgica.
E poi c’è il capitolo PNRR, il grande piano di rinascita. Sulla carta ci sono i fondi, ma la mentalità resta vecchia: si pensa che la soluzione sia nuovo mattone, nuove costruzioni, nuovi appalti. Come se l’unico modo di aprire un nido fosse tirare su l’ennesimo edificio. Nessuno parla seriamente di riuso intelligente: ristrutturare sedi abbandonate, riconvertire ville comunali con giardino, riqualificare spazi pubblici già esistenti. Sarebbe più rapido, più sostenibile, più economico. Ma il “costruire sul costruito” non fa gola: non ingrassa i palazzinari, non porta inaugurazioni con nastri da tagliare. E così i soldi restano bloccati, i cantieri eterni e le famiglie sempre al palo.
La verità è che altrove si è scelto, qui da noi no. Non ci manca il denaro, non ci manca lo spazio, non ci mancano nemmeno gli esempi da seguire. Manca solo la volontà politica di considerare i bambini una priorità nazionale, e non un dettaglio da relegare a bonus estemporanei.
6. Cosa significherebbe per l’Italia
Immaginiamo per un attimo che in Italia i nidi fossero garantiti a tutti. Non come privilegio o premio a chi vince la lotteria della graduatoria, ma come diritto reale. Come cambierebbe il Paese?
Primo effetto: l’occupazione femminile. I dati parlano chiaro: dove i nidi sono accessibili, il lavoro delle donne cresce di dieci, anche quindici punti percentuali. Non serve un trattato di economia per capirlo: se una madre non è costretta a scegliere tra lavoro e figli, continuerà a lavorare. E quando lavora, guadagna, paga contributi, sostiene il welfare. È un circolo virtuoso che altrove è già realtà.
Secondo effetto: la natalità. Oggi il calcolo è brutale: nella mente dei giovani italiani un figlio significa un salasso da centinaia di euro al mese. Molte coppie rinunciano in partenza, altre si fermano a uno. Ma se il costo della cura diventasse sostenibile o nullo, il peso economico si alleggerirebbe e il desiderio di avere figli non sarebbe più un lusso per pochi. Questo non risolverebbe la crisi demografica, d’accordo, ma sarebbe un passo decisivo.
Terzo effetto: l’equità territoriale. Con una legge nazionale, la tua sorte non dipenderebbe più dal CAP di residenza. Oggi vivere a Milano o a Palermo significa avere chance completamente diverse di accedere a un nido. Garantire il servizio ovunque significherebbe ridurre il divario Nord-Sud, dare le stesse possibilità a ogni bambino, indipendentemente da dove nasce.
E non dimentichiamo che questo sarebbe un investimento che si ripaga da solo. Più donne al lavoro significa più entrate fiscali. Più figli significa più futuri contribuenti. Meno famiglie costrette a rinunce significa più consumi e più stabilità sociale. È il contrario di una spesa a perdere: è una semina a lungo termine.
Quindi garantire i nidi significherebbe trasformare l’Italia da Paese che punisce chi mette al mondo figli a Paese che li considera una risorsa per il futuro di tutti.
7. Una scelta di civiltà
Alla fine, tutto si riduce a questo: altrove si può, perché qui no?
Non stiamo parlando di miracoli scandinavi o di economie fantascientifiche. Stiamo parlando di scelte. Paesi con meno risorse delle nostre hanno deciso che i bambini sono una priorità nazionale, e da lì hanno costruito un sistema solido, accessibile, universale.
In Italia, invece, continuiamo a trasformare la maternità in un atto eroico, la paternità in un equilibrismo da funamboli e l’infanzia in un problema da scaricare su nonni stanchi o babysitter precarie. E intanto ci chiediamo, con aria scandalizzata, perché le nascite crollano.
La verità è semplice: non basta l’appello al “coraggio individuale” delle famiglie. Non servono slogan, bonus una tantum o campagne ministeriali patinate. Serve una scelta collettiva: riconoscere che i figli non sono un lusso, ma il futuro di tutti noi.
Garantire un nido a ogni bambino non è beneficenza, è civiltà. È mettere nero su bianco che crescere un figlio non deve significare impoverirsi, rinunciare al lavoro o vivere in apnea tra graduatorie e rette insostenibili. È costruire un Paese che non punisce chi decide di procreare, ma che lo sostiene come risorsa comune.
Altrove è già realtà. Qui, per ora, restiamo prigionieri dei nostri alibi. Ma la domanda resta sul tavolo, incandescente, e prima o poi dovremo rispondere: che Italia vogliamo essere? Quella delle culle vuote e dei bonus-cerotto, o quella che considera i bambini una ricchezza collettiva?
📚 Bibliografia
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- Corte dei Conti (2024), Relazione sullo stato di attuazione del PNRR – Missione 4 Istruzione e Ricerca. Roma. [Criticità e ritardi nell’attuazione dei fondi per i nuovi posti nido].
- Osservatorio Nazionale Prezzi e Tariffe – Cittadinanzattiva (2022), Indagine nazionale su tariffe nidi d’infanzia. Roma. [Rette medie 303 euro, con punte fino a 600–700 euro al Nord].
- Ministero dell’Istruzione e del Merito (2022), Servizi educativi 0–3 anni: monitoraggio 2020/21. Roma. [Copertura comunale e criteri di accesso differenziati].
- European Commission / Eurydice (2023), Key Data on Early Childhood Education and Care in Europe. Bruxelles. [Panoramica comparativa sui modelli europei: Portogallo, Germania/Berlino, Lussemburgo, Malta, Nordici].
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- Senatsverwaltung für Bildung, Jugend und Familie Berlin (2018), Kitagutschein und Kostenfreiheit. Berlin. [Gratuità Kita nel Land Berlino].
- Government of Malta (2014), Free Childcare Scheme. Valletta. [Nidi gratuiti per famiglie con entrambi i genitori lavoratori].
- Service National de la Jeunesse Luxembourg (2021), Chèque-Service Accueil. Luxembourg. [20 ore settimanali gratuite + sussidi].
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- Norwegian Directorate for Education and Training (2022), Barnehage – Kindergarten. Oslo. [Tariffa massima nazionale ~250 € mensili].
- Gouvernement du Québec (2021), Services de garde éducatifs à contribution réduite. Québec. [Tariffa calmierata 8,50 $CAD al giorno].
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- Government of Japan (2019), Free Early Childhood Education and Care. Tokyo: MEXT. [Gratuità parziale dei nidi finanziata con IVA].
- OECD (2022), Starting Strong VI: Supporting Meaningful Interactions in Early Childhood Education and Care. Paris: OECD Publishing. [Conferma degli effetti positivi su occupazione femminile e natalità].

