La rivoluzione parte davvero da Parigi
La moda racconta chi siamo. Ma da anni racconta anche altro: spreco, plastica, fiumi tinti di coloranti, vite piegate da turni impossibili.
La Francia è il primo Paese europeo a dire chiaramente che questo modello è insostenibile e che chi lo alimenta deve pagare.
Non con uno slogan, con una legge: eco-tassa progressiva fino a 10 euro per capo entro il 2030, stop alla pubblicità per i marchi che spingono sul consumo compulsivo, obblighi di trasparenza lungo la filiera.
L’obiettivo è semplice: se produci inquinando, poi paghi.
Il bersaglio non sono le persone che comprano, ma i modelli di business che trasformano l’impatto ambientale e sociale in margine.
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Come funziona davvero: chi paga e quando
La penalità scatta quando un capo viene immesso sul mercato francese.
A pagare è chi lo mette in vendita: produttori, importatori, piattaforme online.
Sì, una parte del costo potrà riverberarsi sul prezzo finale.
Ma la logica è un’altra: rendere economicamente sconveniente l’usa-e-getta e spingere i marchi a riprogettare i prodotti.
Meno volume inutile, più qualità, più riparabilità, più riciclabilità.
Il gettito non finisce in un buco nero: finanzia raccolta, selezione, riuso e riciclo, cioè l’infrastruttura concreta dell’economia circolare.
Il principio che cambia il gioco: EPR, responsabilità estesa del produttore
La Francia si muove in sintonia con l’Unione Europea, che ha introdotto l’EPR (Extended Producer Responsibility), in italiano Responsabilità Estesa del Produttore.
Significa che chi immette un prodotto sul mercato si fa carico anche del suo fine vita.
Tradotto nel tessile: pagare e organizzare sistemi per raccogliere i capi a fine uso, selezionarli, rimetterli in circolo quando possibile e riciclarli fibra-a-fibra quando non sono più indossabili.
Non è un dettaglio tecnico, è un cambio di paradigma: la sostenibilità smette di essere volontaria e diventa requisito industriale.
Esistono Paesi dove l’EPR tessile è già realtà
Sì. Francia e Paesi Bassi sono i casi più istruttivi.
In Francia, l’EPR tessile esiste dal 2007 ed è gestito da un organismo collettivo che pubblica ogni anno i risultati.
La raccolta dedicata dei capi a fine uso si è stabilizzata su circa un terzo dell’immesso, con l’obiettivo di arrivare al 60 per cento entro il 2028.
Non basta ancora, ma indica un’infrastruttura che funziona.
Il sistema ha messo in moto anche un bonus riparazioni che ha finanziato centinaia di migliaia di interventi in un solo anno: orli, cerniere, rammendi che allungano la vita dei capi.
Gli inventari ambientali mostrano un beneficio netto di emissioni evitate grazie a raccolta, riuso e riciclo.
Non è la bacchetta magica, ma sposta gli indicatori nella direzione giusta.
Nei Paesi Bassi, l’EPR tessile è entrato in vigore dal 1° luglio 2023, con obiettivi vincolanti: almeno il 50 per cento tra riuso e riciclo entro il 2025, e il 75 per cento entro il 2030.
La messa a terra è molto concreta: registri nazionali per i produttori, rendicontazioni annuali, contributi modulati in base a durabilità e riciclabilità, nuove reti di conferimento nei comuni e accordi con gli operatori dell’economia sociale.
I primi report arriveranno nei prossimi mesi, ma un effetto è già evidente: più investimenti in impianti, più progetti pilota di riciclo fibra-a-fibra e più second hand organizzato.
Cosa sta funzionando
Sta funzionando la leva economica: quando il costo del fine vita non è scaricato sulla collettività, l’usa-e-getta smette di essere un affare.
Sta funzionando la riparazione: con un incentivo minimo, le persone riportano i capi in bottega invece di buttarli.
Sta funzionando il riuso tracciato: quando esistono reti serie e regole chiare, il second hand diventa parte dell’economia locale, generando lavoro e riducendo rifiuti.
Sta funzionando anche la trasparenza: i marchi che misurano davvero i propri impatti sono gli stessi che ridisegnano modelli e materiali per pagare meno contributi EPR domani.
Dove si inceppa ancora
La raccolta è lontana dai livelli desiderati.
Arrivare al 60 per cento non è banale: servono contenitori ovunque, comunicazione capillare e impianti di selezione in grado di gestire volumi crescenti.
Il riciclo di qualità è il vero collo di bottiglia: trasformare scarti misti e tessuti tecnici in nuova fibra tessile è ancora difficile.
Molto di ciò che non si può rivendere oggi finisce in downcycling o recupero energetico.
E c’è il nodo dell’export del riuso: una parte dei capi raccolti viaggia verso Paesi extraeuropei con regole meno stringenti.
La nuova cornice europea serve anche a chiudere questi varchi.
“Ma così i vestiti costeranno di più?”
È l’obiezione più immediata, e apparentemente più sensata.
Ma il punto non è far pagare di più chi compra: è cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo.
Oggi paghiamo poco all’inizio e tantissimo dopo.
Un capo usa-e-getta da 15 euro dura una stagione, si scuce, si deforma, finisce in discarica e tocca ricomprarlo.
In sei anni ne hai comprati cinque. Hai speso 75 euro e hai prodotto cinque rifiuti.
Un capo di qualità, pagato 70 o 80 euro, dura quindici anni. Alla fine hai speso meno e inquinato infinitamente meno.
È un cambio di mentalità: non si compra per accumulare, si compra per durare.
Il fast fashion vende l’illusione di “comprare come un milionario”, ma il risultato è una montagna di roba scadente e un mare di microplastiche nei polmoni e negli oceani.
Fiumi di plastica: quando l’acqua diventa discarica
Il finto risparmio diventa debito ambientale.
E come ogni debito, prima o poi lo paghiamo tutti: in salute, in tasse per le bonifiche, in aria sporca e acqua contaminata.
L’EPR serve proprio a rompere questa catena: chi produce inquinando paga, chi produce bene risparmia.
“Ma se la raccolta non funziona, serve a qualcosa pagare?”
Sì, serve, perché la raccolta è parte del sistema, non il sistema stesso.
Pagare un contributo EPR non è una multa, è il carburante per costruire infrastrutture di raccolta e riciclo.
È come dire: “non abbiamo ancora treni ovunque, quindi non ha senso investire nelle ferrovie”.
Il sistema si costruisce facendolo funzionare, non aspettando che si faccia da solo.
Oggi in Francia la raccolta copre un terzo dei capi. Non è perfetto, ma significa centinaia di migliaia di tonnellate sottratte alla discarica e reimmesse nel circuito.
Ed è così che inizia ogni rivoluzione industriale: con numeri piccoli che diventano grandi solo se si comincia.
E l’Italia, concretamente, cosa dovrebbe fare
Non basta “valutare” una tassa sulle importazioni. Serve un pacchetto coerente.
Recepimento rapido dell’EPR tessile con contributi eco-modulati basati su durabilità e riciclabilità.
Criteri ecologici di progettazione per scoraggiare capi-trappola pieni di miste tecniche ingestibili.
Reti di raccolta capillari integrate con i comuni e gli operatori sociali.
Tracciabilità digitale per evitare che il second hand finisca in discariche lontane dagli occhi.
Intelligenza Artificiale e ambiente: chi controlla la Terra?
Controlli sulle piattaforme extra UE, che oggi possono aggirare regole e IVA.
Temu: l’app di shopping che ti spia?
E infine, trasparenza verso i consumatori: etichette chiare, informazioni verificabili, niente promesse vaghe.
Cosa possiamo fare noi, subito
Comprare meno e comprare meglio non è una predica. È politica industriale fatta con il portafoglio.
Scegliere capi che durano e si riparano.
Privilegiare materiali riciclabili.
Usare il second hand con criterio, scegliendo capi di qualità e circuiti di riuso veri, non come scusa per comprare di più.
Chiedere ai marchi dove e come producono.
Ogni euro speso bene accelera chi innova e indebolisce chi campa di vestiti-rifiuti.
La direzione è segnata. I primi dati dicono che la responsabilità estesa del produttore funziona quando è ben progettata, monitorata e finanziata.
Restano nodi duri da sciogliere, soprattutto sul riciclo di qualità e sulla raccolta diffusa.
Ma l’inerzia si è rotta. L’Europa sta costruendo gli strumenti per passare dagli slogan alle infrastrutture.
Altrove si può, perché qui no?
📚 Bibliografia essenziale
Reuters (10 giugno 2025) – French Senate backs law to curb ultra fast-fashion
https://www.reuters.com/sustainability/land-use-biodiversity/french-senate-backs-law-curb-ultra-fast-fashion-2025-06-10/ [approvazione della legge francese con eco-tassa fino a 10 €/capo e divieto di pubblicità].
Refashion (2024) – Rapport Annuel et Bilan d’Activité
https://refashion.fr/pro/en/ressources/annual-report [dati ufficiali sul sistema EPR francese: raccolta, riuso e bonus riparazioni].
Business & Human Rights Resource Centre (2025) – France: Senate passes law to curb ultra-fast fashion…
https://www.business-humanrights.org/en/latest-news/france-senate-passes-law-to-curb-ultra-fast-fashion-with-tax-on-ultra-fast-fashion-items/ [sintesi in inglese della legge francese].
Commissione Europea – Revised Waste Framework Directive
https://environment.ec.europa.eu/topics/waste-and-recycling/textiles_en [introduzione dell’EPR tessile obbligatorio nell’UE].
Governo dei Paesi Bassi (2023) – Textiel UPV
https://www.rijksoverheid.nl/onderwerpen/afval/uitgebreide-producentenverantwoordelijkheid/textiel-upv [EPR tessile olandese attivo dal 1° luglio 2023].
Wall Street Journal (2024) – Europe Tells Textile Producers to Manage Their Own Waste
https://www.wsj.com/articles/europe-textile-producers-waste-recycling-epr-circular-fashion-7a3aab12 [analisi economica del modello europeo EPR].
ISPRA (2024) – Rapporto Rifiuti Speciali – Sezione Tessile
https://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/rapporto-rifiuti-speciali-edizione-2024 [uso del termine “riciclo fibra-a-fibra” e dati italiani].
ENEA & Sistema Moda Italia (2024) – Progetto T4T – Textile for Textile
https://www.enea.it/it/seguici/pubblicazioni/pdf-volumi/t4t-textile-for-textile.pdf [studio sulle tecnologie di riciclo tessile e sperimentazioni italiane].

