Rinnovabile non significa innocuo
C’è un parco eolico sulle colline marchigiane. Le turbine bianche girano lente contro il cielo azzurro, promessa di energia pulita e futuro sostenibile. Sotto, nell’erba alta, tre rondoni che non torneranno mai al nido. Poi un grillaio. Poi un nibbio. Uccelli rapaci che hanno incontrato pale rotanti a 300 chilometri orari mentre cercavano di raggiungere i loro territori di caccia.
“Le energie rinnovabili sono pulite”. Vero, ma incompleto. Sul ciclo di vita, l’eolico onshore emette in media 10–15 g CO₂e/kWh, il fotovoltaico circa 40–50 g CO₂e/kWh. Il gas naturale produce tipicamente 400–500 g CO₂e/kWh e il carbone circa 800–1000 g CO₂e/kWh. Ma uccidono uccelli, frammentano habitat, eliminano corridoi ecologici, sterminano colonie di pipistrelli, cancellano popolazioni di insetti. Non sempre, non ovunque, ma abbastanza spesso da rendere il problema strutturale anziché aneddotico.
L’Italia sta installando parchi eolici e fotovoltaici senza mappare dove volano i rapaci protetti, dove nidificano le specie in declino, dove si muovono i mammiferi selvatici. Le valutazioni d’impatto ambientale sono in realtà insufficienti: i monitoraggi durano settimane anziché anni, le mitigazioni restano un optional. Risultato: energia rinnovabile che distrugge la biodiversità invece di proteggerla.
Non è colpa delle tecnologie. È colpa di come le installiamo. Pale eoliche posizionate su rotte migratorie quando basterebbe spostarle di qualche chilometro. Fotovoltaico a terra sui prati quando ci sono ettari di tetti industriali inutilizzati. Recinzioni invalicabili dove servirebbero passaggi faunistici. La differenza tra una progettazione intelligente e una progettazione distruttiva è netta, ma in Italia la seconda vince quasi sempre.
Il problema non è tecnico ma culturale
Abbiamo costruito un sistema autorizzativo che tratta le rinnovabili come infrastrutture “pulite per definizione”, quindi meritevoli di corsie preferenziali e valutazioni ambientali molto “alleggerite”. L’urgenza climatica è reale, ma non giustifica la cecità ecologica.
Il quadro normativo italiano c’è, e sulla carta è anche rigoroso. L’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha pubblicato linee guida dettagliate per gli Studi di Impatto Ambientale relativi agli impianti fotovoltaici ed eolici. Protocolli precisi, metodologie rigorose, indicazioni chiare su come valutare gli effetti sulla biodiversità e sugli habitat sensibili. Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, ha elaborato piani di monitoraggio ambientale che descrivono esattamente come rilevare la presenza della fauna protetta, come mappare i corridoi ecologici, come verificare nel tempo gli impatti reali degli impianti energetici. Tutto perfetto sulla carta. Tra il dire e il fare, però, il problema è tutto nell’applicazione.
Questi protocolli sono spesso disattesi. Applicati con la stessa convinzione con cui si rispettano i limiti di velocità in autostrada: quando c’è l’autovelox, forse. Le valutazioni d’impatto ambientale sono diventate documenti standardizzati, copiati pari pari da progetti simili, redatti con tempistiche incompatibili con dei monitoraggi faunistici seri.
Manca cronicamente la conoscenza di base del territorio: l’Italia ha una biodiversità straordinaria, ma la cartografia è frammentaria. Non si sa dove quella biodiversità effettivamente si muova, nidifichi, cacci, migri. Le banche dati regionali sono incomplete e obsolete. In molti casi Province e Regioni autorizzano gli impianti senza conoscere davvero cosa c’è sul territorio. Non per malafede necessariamente, ma per assenza strutturale di informazioni.
Gli animali invisibili della transizione energetica
Ogni tecnologia energetica ha un impatto. Anche le rinnovabili. Gli animali che non vediamo sono quelli che pagano il prezzo di ogni megawatt prodotto male.
Eolico e rapaci: quando il cielo diventa una trappola
Un grillaio che plana a venti metri dal suolo non la “vede” una pala che ruota a velocità tali da renderla quasi invisibile. Le pale delle turbine eoliche moderne raggiungono velocità di punta dell’ordine dei 250–300 km/h. I rapaci sono particolarmente vulnerabili perché volano proprio nelle fasce altimetriche dove le turbine operano, e perché le loro rotte migratorie seguono creste, crinali, conche di vento: proprio dove conviene installare gli impianti eolici per massimizzarne la produzione.
In Europa la mortalità avifaunistica varia moltissimo da sito a sito: da valori molto bassi fino a diverse decine di uccelli per turbina all’anno nelle aree più sensibili.
Numerosi studi riportano mortalità dell’ordine di 20–30 individui/anno nelle zone di maggiore vulnerabilità, in particolare per i rapaci. Non sono stime teoriche: in Spagna, diversi studi condotti su centinaia di turbine hanno rilevato mortalità annuali significative, concentrate soprattutto sui rapaci. Le analisi mostrano inoltre che fino al 70–80% dei cadaveri può scomparire entro 48 ore per predazione, rendendo la mortalità reale molto più alta dei ritrovamenti. Quello che troviamo è solo la punta dell’iceberg.
L’associazione Altura ha documentato casi di “massacri eolizzati”: decine di uccelli e pipistrelli morti sotto turbine posizionate lungo corridoi migratori noti. Cicogne, rapaci diurni e notturni, rondoni che nidificano in colonie numerose e che durante i voli di caccia finiscono travolti dalle pale. Purtroppo non si parla di “incidenti occasionali”. È un problema sistemico causato dall’assenza di pianificazione faunistica seria.
In Europa i dati sono chiari: le turbine mal posizionate rappresentano una minaccia significativa per le specie già in declino. Eppure in Italia continuiamo a installare impianti senza mappare preventivamente dove volano gli uccelli protetti, senza verificare se quel crinale è una rotta migratoria, senza calcolare il rischio reale prima di gettare le fondamenta.
Pipistrelli: non muoiono perché vengono colpiti. Esplodono
I pipistrelli sono ancora più vulnerabili degli uccelli. Non vengono solo colpiti dalle pale: molti muoiono per barotrauma, l’improvviso cambiamento di pressione che si crea vicino alle turbine in movimento. I loro polmoni esplodono letteralmente. Diversi studi autoptici mostrano che una parte significativa della mortalità dei pipistrelli presso le turbine è dovuta al barotrauma, cioè lesioni interne causate dal brusco calo di pressione vicino alle pale, anche senza impatto diretto. Volano vicini alle turbine per cacciare gli insetti che si concentrano attorno alle strutture illuminate, e muoiono senza nemmeno essere colpiti.
In Italia tutte le specie di pipistrelli sono tutelate come fauna “particolarmente protetta” dalla Legge 157/1992 e sono elencate come specie di interesse comunitario nella Direttiva Habitat (92/43/CEE). I chirotteri italiani sono tutti protetti, molte specie sono in drammatico declino, eppure i monitoraggi su di loro sono ancora rari e incompleti. È difficile trovare cadaveri, perché sono piccoli, vengono portati via rapidamente dai predatori o si decompongono in pochi giorni. Quindi ufficialmente “non ci sono dati”, il che nella retorica italiana significherebbe che “il problema non esiste”.
La mortalità osservata nei monitoraggi europei è tipicamente dell’ordine di 10–20 pipistrelli l’anno per turbina in condizioni standard. Ma questo è solo ciò che viene trovato: le stime cumulative a scala nazionale o continentale tengono conto della mortalità corretta per i cadaveri non rilevati (spesso solo il 10–30% viene effettivamente ritrovato), delle turbine situate lungo rotte migratorie e del numero totale di impianti. Per questo motivo, le review europee indicano mortalità complessive dell’ordine delle decine o centinaia di migliaia di pipistrelli all’anno.
Esistono, però, eccome, tecnologie di mitigazione: sistemi che fermano le turbine nelle notti con condizioni ottimali per i pipistrelli, radar bioacustici che rilevano l’attività chiropterologica e modulano il funzionamento degli impianti. Le misure di “fermo intelligente” delle turbine (curtailment), applicate nelle notti in cui i pipistrelli sono più attivi, possono ridurre la mortalità del 40–80%, con perdite di produzione elettrica spesso inferiori all’1% annuo. Funzionano riducendo drasticamente la mortalità.
Fotovoltaico a terra: il deserto nero che cancella gli impollinatori
Il fotovoltaico a terra sembra innocuo. Pannelli silenziosi che catturano luce solare, cosa potrebbe andare storto? Parecchio, quando l’impianto è progettato male. Distese nere che coprono ettari di terreno agricolo o seminaturale generano microclimi alterati: ombra costante sotto i moduli, cambiamenti nella temperatura e umidità del suolo, un effetto barriera che interrompe corridoi ecologici fondamentali per mammiferi e insetti.
Gli impollinatori sono particolarmente sensibili. Api, bombi, farfalle dipendono da habitat aperti con fioriture diversificate. Un campo fotovoltaico che elimina tutta la vegetazione spontanea e crea un deserto nero tra le file di pannelli è una condanna a morte per le popolazioni locali di insetti. E senza insetti, niente impollinazione. Senza impollinazione, niente agricoltura. Ma questo tipo di connessioni ecologiche sembrano troppo complesse per chi autorizza gli impianti guardando solo a planimetrie e rendimenti energetici.
Secondo le analisi ISPRA, il fotovoltaico a terra in Italia occupa oggi circa 17.000–18.000 ettari di suolo, in larga parte agricolo. Solo nel 2023 sono stati convertiti altri 400 ettari di suolo agricolo, il 9,5% del consumo di suolo complessivo dell’anno. La grande maggioranza delle nuove installazioni su suolo libero al Centro-Nord avviene su seminativi produttivi. Terreni che producevano cibo e biodiversità, trasformati in distese nere.
Per fortuna esistono anche casi opposti: impianti fotovoltaici che invece aumentano la biodiversità. Succede quando vengono installati su aree già degradate, discariche dismesse, siti industriali abbandonati, cave esaurite. Casi studio documentati, come quelli pubblicati da Lightsource BP, mostrano che su aree già degradate il fotovoltaico può portare a un aumento misurabile della biodiversità, grazie a prati fioriti, semine di specie autoctone e gestione ecologica dell’area. Uno studio americano durato 5 anni su impianti agrivoltaici in Minnesota ha dimostrato risultati straordinari: l’abbondanza totale degli insetti è triplicata, il numero di api autoctone è aumentato di 20 volte. In quei contesti i pannelli creano ombra in zone aride, permettono la ricrescita della vegetazione sotto di loro, offrono rifugio alla piccola fauna. Ma la condizione è che si parta da superfici già compromesse, non da prati stabili o terreni agricoli vitali.
Corridoi spezzati: i mammiferi che nessuno conta
Volpi, lepri, tassi, piccoli carnivori come faine e donnole si muovono sul territorio seguendo reti complesse di corridoi ecologici: fasce boscate, siepi, margini di campo, corsi d’acqua.
Spezzare questi corridoi significa isolare intere popolazioni, ridurre la variabilità genetica, condannare gli animali a territori troppo piccoli per il loro sostentamento.
Gli impianti energetici mal progettati fanno questo. Recinzioni spesso invalicabili attorno ai parchi fotovoltaici, sbancamenti per le strade di accesso alle turbine che tagliano habitat in due, eliminazione della vegetazione di connessione. Nessuno li conta perché sono piccoli, comuni, “non protetti”. Ma il loro declino silenzioso è un sintomo preoccupante di ecosistemi che smettono di funzionare.
Le mitigazioni esisterebbero: passaggi faunistici sotto le recinzioni, il mantenimento di fasce verdi di connessione; con una progettazione che rispetti la permeabilità ecologica del territorio. Ma richiedono che qualcuno, prima di piazzare i pannelli, si sia preso la briga di capire cosa vive lì e come si muove.
Dove l’Italia sbaglia
Valutare seriamente l’impatto faunistico richiede almeno un anno di monitoraggi, coprendo tutte le stagioni, con metodologie standardizzate. Ma, come abbiamo già anticipato, molti progetti sono autorizzati con rilievi di poche settimane, fatti nella stagione sbagliata, con campionamenti insufficienti. Il risultato è che gli impianti vengono costruiti in aree critiche per specie protette, senza che nessuno se ne sia accorto prima.
Un esempio concreto: nelle Marche, un parco eolico è stato installato su un crinale appenninico senza valutare che quella zona era una rotta migratoria. Risultato: mortalità significativa di uccelli protetti, documentata solo dopo dai volontari. Nessuna sanzione, nessuna modifica all’impianto.
A Bitonto, in Puglia, un progetto fotovoltaico ha comportato l’espianto di circa 2.000 ulivi produttivi: un caso emblematico di autorizzazione rilasciata senza adeguata valutazione del valore agronomico ed ecologico dell’area. La Rivista di Agraria documenta casi in cui gli impianti energetici hanno avuto conseguenze negative su habitat di alto valore naturalistico proprio per l’insufficienza delle valutazioni preliminari.
L’equivoco concettuale alla base di tutto
L’errore è chiaro: abbiamo deciso che “energia rinnovabile” significhi automaticamente “energia senza impatti negativi”. È un salto logico comodo ma falso. Rinnovabile significa che la fonte si rigenera, non che raccoglierla sia privo di conseguenze.
La letteratura sui fiumi europei documenta che dighe e sbarramenti idroelettrici sono una delle principali cause di frammentazione degli ecosistemi fluviali, ostacolando la migrazione dei pesci e riducendo la biodiversità d’acqua dolce. Un impianto idroelettrico produce energia rinnovabile ma può devastare interi ecosistemi fluviali. Casi studio documentati mostrano che, in presenza di estrazione non bilanciata da reiniezione, la geotermia può causare subsidenza del suolo e problemi di contaminazione delle acque. Una centrale geotermica è rinnovabile ma può causare subsidenza (cioè l’abbassamento del terreno dovuto al prelievo eccessivo delle falde, che si compattano e fanno sprofondare il suolo) e contaminazione delle falde. L’eolico e il fotovoltaico sono rinnovabili ma possono frammentare habitat, uccidere fauna, consumare suolo naturale.
Questo non significa che le rinnovabili siano peggio dei fossili. Sarebbe una conclusione ridicola. Significa che ogni tecnologia energetica ha degli impatti ambientali che vanno valutati caso per caso, territorio per territorio, con competenze ecologiche serie e non con slogan pubblicitari.
Il rischio politico e culturale è concreto: se continuiamo a vendere le rinnovabili come “perfette” e poi le persone scoprono che sotto i pannelli muoiono lucertole e attorno alle turbine cadono gli uccelli, la reazione sarà di sfiducia totale. E la sfiducia è terreno fertile per chi vuole bloccare la transizione energetica per proteggere gli interessi fossili.
La trasparenza è più efficace della propaganda. Dire “le rinnovabili hanno impatti ma molto inferiori ai fossili e possiamo renderle ancora più sostenibili” è più convincente di “le rinnovabili sono pulite punto”. La prima è vera, la seconda è marketing.
Quello che funziona in Europa (e che noi ignoriamo)
Quindi è impossibile conciliare rinnovabili e natura? No. È difficile solo se scegliamo di farlo male.
L’Unione Europea sta moltiplicando gli appelli per procedure più rigorose, per monitoraggi ambientali obbligatori e continuativi, per l’adozione di tecnologie avanzate. Germania, Danimarca, Paesi Bassi hanno integrato nelle loro politiche energetiche vincoli ambientali stringenti che non rallentano la transizione ma la rendono compatibile con la conservazione della biodiversità.
Esistono radar anti-collisione che rilevano stormi in avvicinamento e fermano automaticamente le turbine quando necessario. Esistono sistemi di fermo-turbina intelligenteche modulano il funzionamento in base all’attività faunistica rilevata da sensori bioacustici.
Esistono droni e tecnologie lidar che mappano con precisione gli spostamenti della fauna selvatica nelle aree dove si pianificano impianti. Queste tecnologie funzionano, sono disponibili, hanno costi ormai accessibili. Il sistema IdentiFlight, che usa intelligenza artificiale e telecamere per rilevare uccelli in arrivo, riduce la mortalità dell’82%. DTBird, un altro sistema che combina telecamere, sensori acustici e fermo automatico, è già installato su oltre 450 turbine in 90 parchi eolici di 15 Paesi. Non vengono utilizzate in Italia non per limiti tecnici ma per assenza di obblighi normativi. Se non sei costretto a monitorare, non monitori. Se non devi installare mitigazioni, non le installi. Razionale economico perfettamente comprensibile, pessimo per la natura.
Confagricoltura ha recentemente sottolineato che abbiamo gli strumenti per affrontare contemporaneamente transizione energetica e conservazione della biodiversità. Non mancano le conoscenze, come al solito manca la volontà politica di renderle obbligatorie.
Le soluzioni esistono già
Fin qui abbiamo visto cosa fa l’Europa. Ora vediamo cosa potremmo fare noi, concretamente, sul territorio italiano.
Rete Clima propone da tempo un approccio diverso, quello “nature positive”: progettare impianti che non solo minimizzino i danni ma che attivamente migliorino la biodiversità locale. Non è utopia, è ingegneria ambientale seria. Che richiede competenze, investimenti, tempi di progettazione più lunghi. Cose che il mercato delle rinnovabili italiano, preso dalla fretta di raggiungere obiettivi europei e intercettare incentivi, considera spesso un optional.
Posizionare correttamente le turbine eoliche riduce drasticamente le mortalità aviare. Evitare crinali che coincidono con rotte migratorie, installare impianti lontano da zone di nidificazione di rapaci, creare buffer di sicurezza attorno alle colonie di uccelli protetti. Banale, eppure ancora purtroppo raro in Italia.
Progettare fotovoltaico che aumenti la biodiversità è possibile. Creare fasce fiorite tra le file di pannelli per favorire gli impollinatori. Mantenere corridoi ecologici permeabili con passaggi faunistici nelle recinzioni. Integrare pascolo ovino e fotovoltaico, creando sistemi agrivoltaici dove l’energia convive con l’agricoltura e con la fauna che vive negli spazi agricoli.
Esistono esempi di impianti fotovoltaici progettati seguendo principi nature-positive: seminare sotto i pannelli specie vegetali autoctone che forniscono habitat per insetti e piccoli mammiferi, progettare la disposizione dei moduli per massimizzare la ricrescita vegetale nelle aree ombreggiate, creare microhabitat diversificati al posto di deserti artificiali.
Monitorare costantemente è tecnicamente fattibile. Sensori di vario tipo possono rilevare la presenza e i movimenti della fauna, i sistemi di intelligenza artificiale possono analizzare i dati in tempo reale, i droni possono ispezionare aree vaste rapidamente. La bioacustica permette di monitorare pipistrelli e uccelli notturni senza dover cercare i piccoli cadaveri. Le telecamere termiche rilevano mammiferi e possono guidare strategie di mitigazione.
Tutte queste soluzioni esistono, funzionano, in alcuni casi costano poco più del business-as-usual. Manca solo la scelta di renderle la norma, non l’eccezione.
Transizione energetica vera o caricatura?
La crisi climatica richiede accelerazione. La crisi ecologica richiede attenzione. Non sono in contraddizione, sono facce della stessa medaglia: salvare il pianeta significa salvarlo davvero, non sostituire una forma di distruzione con un’altra.
Le rinnovabili servono, rapidamente e su larga scala. Ma devono essere progettate con intelligenza, non piazzate a caso sul territorio sperando che nessuno noti i danni collaterali.
La transizione energetica può essere alleata della natura, ma solo se mettiamo la natura al centro della progettazione fin dall’inizio. Non come vincolo burocratico da aggirare, o come adempimento formale da sbrigare. Deve diventare un criterio guida reale. Un impianto rinnovabile ben progettato può convivere con ecosistemi vitali. Un impianto mal progettato è solo un altro modo di rovinare territori già fragili.
Serve trasparenza. Servono dati pubblici e accessibili su dove vengono installati gli impianti e con quali impatti. Servono valutazioni indipendenti, non firmate da consulenti pagati dai proponenti. È necessario che i cittadini possano verificare se le promesse di sostenibilità corrispondono alla realtà o sono solo parole stampate su brochure.
Serve pretendere che “rinnovabile” significhi davvero sostenibile, non solo nel senso della fonte energetica ma nel senso più ampio di compatibilità con la vita che già esiste in quei territori. Gli animali che muoiono sotto turbine mal posizionate non sono “danni collaterali accettabili”. Sono sintomi di una progettazione inadeguata e di controlli insufficienti.
Il green si fa, non si dice. E si fa guardandolo cosa succede davvero sul campo, non limitandosi a contare i megawatt prodotti. Altrimenti non è transizione ecologica, è solo un altro modo di trattare la natura come se non contasse.
Bibliografia e fonti:
ISPRA – Linee guida per Studi di Impatto Ambientale su impianti fotovoltaici e agrivoltaici https://amblav.it/ispra-pubblica-le-linee-guida-per-la-redazione-degli-studi-di-impatto-ambientale-relativi-ad-impianti-agrivoltaici-e-fotovoltaici/
- Impianti rinnovabili: la checklist per capire se rispettano davvero la biodiversità
Terna – Piani di monitoraggio ambientale per impianti energetici https://www.terna.it/it/progetti-territorio/come-gestiamo-progetti/valutazione-di-impatto-ambientale/monitoraggio-in-corso
Rete Clima – Approccio nature-positive per transizione energetica e biodiversità https://www.reteclima.it/transizione-energetica-tutela-della-natura/
Associazione Tutela Pipistrelli – Impatti dell’eolico sui chirotteri https://www.tutelapipistrelli.it/2012/05/07/le-turbine-eoliche-mettono-a-rischio-anche-i-pipistrelli/
Altura – Documentazione mortalità aviare e chiropterologica da impianti eolici http://www.altura-rapaci.org/un-massacro-di-uccelli-e-pipistrelli-eolizzati/
VPSolar – Appello UE per regole più stringenti su fotovoltaico e biodiversità https://www.vpsolar.com/fotovoltaico-appello-alle-istituzioni-ue/
Lightsource BP – Casi di impianti solari con effetti positivi su ecosistemi locali https://lightsourcebp.com/it/news/lenergia-solare-puo-giovare-agli-ecosistemi/
Rivista di Agraria – Analisi sostenibilità e impatti ambientali in contesto agricolo italiano https://www.rivistadiagraria.org/articoli/anno-2020/la-sostenibilita-della-zootecnia-italiana-unanalisi-scala-regionale-limpronta-ecologica/
Confagricoltura – Dichiarazioni su strumenti disponibili per conciliare transizione energetica e biodiversità https://www.confagricoltura.it/ita/area-stampa/notizie-brevi/transizione-energetica-e-conservazione-della-biodiversit%C3%A0-rotundo-abbiamo-gli-strumenti-per-affrontare-queste-sfide
Rinnovabili.it – Impatti climatici su specie aviarie e habitat https://www.rinnovabili.it/clima-e-ambiente/cambiamenti-climatici/cambiamento-climatico-rondini/

