- lunedì 01 Dicembre 2025
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Gli alieni sono già qui (e noi li abbiamo invitati): come riconoscere e fermare le specie invasive prima che sia troppo tardi

Dal granchio blu ai pappagalli verdi: perché le specie aliene stanno cambiando i nostri ecosistemi e come possiamo diventare parte della soluzione.

Ho percorso le lagune venete e visto reti da pesca distrutte da chele blu, filari di ailanti che soffocano i margini delle ferrovie, stormi di pappagalli verdi sopra i viali di Milano. Ecco cosa significa invasione biologica: non fantascienza, ma realtà quotidiana che racconta cosa sono davvero le specie invasive in Italia, un fenomeno che costa milioni di euro e cancella biodiversità.

Le specie aliene non arrivano con dischi volanti o segnali nel cielo. Arrivano in valigia, nelle stive delle navi, nei carichi vivi, nei giardini ornamentali, nei porti turistici. E quando ci accorgiamo di loro è già tardi. Il granchio blu che ha trasformato l’Adriatico e le lagune in un campo di battaglia, con un conto stimato intorno ai 100 milioni di euro di danni e piani straordinari di indennizzo per le imprese di pesca, non è piombato dal nulla: da anni gli ecologi spiegano che il Mediterraneo è una porta spalancata, e che ogni varco non controllato si traduce in una pressione in più sugli ecosistemi locali.
{Per capire come l’intelligenza artificiale può aiutare a prevenire questi impatti, leggi anche Il Machine Learning: quando le macchine imparano, l’articolo in cui Eywa spiega come le reti neurali imparano a leggere il mondo naturale.}

I numeri dell’invasione silenziosa

In Italia sono state identificate oltre 3.300 specie aliene, molte entrate tramite merci, trasporti, acquari domestici e commercio ornamentale. Non è un fenomeno marginale: ogni anno nuove specie si stabiliscono nei nostri ecosistemi, e con loro arrivano impatti ecologici, sanitari ed economici che spesso scopriamo solo quando il danno è fatto. Tu puoi essere il primo guardiano del tuo quartiere, basta sapere cosa osservare.

Oggi lo vediamo perché tocca la vongola, la cozza, il reddito della pesca artigianale, le casse delle Regioni. Ma la biodiversità italiana era già in guerra da prima. Il nostro paesaggio urbano lo conferma: stormi di parrocchetti dal collare (Psittacula krameri) sopra i viali di Roma e Milano, procioni (Procyon lotor) che compaiono dove non dovrebbero, zanzare tigre (Aedes albopictus) ormai stabilizzate nelle città del Nord e riconosciute come vettore sanitario, non solo fauna curiosa. Sono gli “alieni che non vengono dallo spazio”: li abbiamo invitati noi, direttamente o indirettamente. E ora dobbiamo imparare a riconoscerli e a segnalarli.

Perché succede? La responsabilità è (anche) nostra

Molte invasioni biologiche avvengono per colpa nostra. Compriamo piante ornamentali esotiche per i giardini condominiali, importiamo animali da compagnia che poi fuggono o vengono liberati, riempiamo acquari con specie tropicali che finiscono nei fiumi. Normalizzare queste presenze è facile: un pappagallo colorato sembra simpatico, una pianta che cresce veloce risolve un angolo vuoto. Ma quando una specie aliena trova le condizioni giuste, smette di essere un dettaglio pittoresco e diventa un problema sistemico. È questa familiarità ingannevole che ci impedisce di vedere l’invasione mentre accade.

Il punto è che non è una storia curiosa da rubrica estiva. È un problema ecologico, sanitario ed economico. Quando arriva una specie esotica invasiva, in genere fa due cose: compete meglio di chi già viveva lì e altera l’habitat. Una pianta come l’ailanto si diffonde in modo aggressivo e scalza le specie autoctone, rilasciando nel terreno l’ailantone, una sostanza che impedisce ad altre piante di crescere; una specie animale predatrice come il granchio blu colpisce direttamente risorse di valore commerciale, dalle vongole alle cozze, devastando attrezzi e filiere. A questo si aggiunge la parte sanitaria: nuove zecche, zanzare e parassiti sono vettori di malattie, allergie, virus; più la temperatura media aumenta, più questi ospiti trovano le condizioni per restare.
{Un’analisi più ampia del rapporto tra tecnologia e ambiente è raccontata in Agricoltura Intelligente: la rivoluzione tecnologica nei campi, dove Eywa mostra come l’innovazione può diventare alleata della biodiversità.}

Non è vero quindi che lo Stato non abbia strumenti: esiste un quadro europeo preciso, il Regolamento (UE) 1143/2014, aggiornato negli anni con nuove specie di “rilevanza unionale”, che l’Italia ha recepito; esiste un database ISPRA con le specie già presenti e con quelle da tenere d’occhio; il MASE pubblica gli aggiornamenti e indica i vettori d’ingresso. Quello che manca, spesso, è la traduzione in azioni operative: le liste ci sono, ma le strategie di attuazione sono spesso lente o non coordinate, e non arrivano ai cittadini e ai Comuni con la stessa velocità con cui arriva l’animale o la pianta invasiva.

Riconoscerle per fermarle: guida visiva alle specie invasive in Italia

Per rendere questo tema concreto bisogna riconoscere le specie, non solo nominarle.

🔍 RICONOSCI LE SPECIE INVASIVE INTORNO A TE

Parrocchetto dal collare (Psittacula krameri) → Dove: periferie urbane, parchi cittadini → Come riconoscerlo: pappagallo verde brillante con becco rosso, collare nero sul collo (nei maschi), si muove in stormi rumorosi → Cosa fa: compete per i nidi con picchi, passeri e altre specie autoctone

Granchio blu (Callinectes sapidus) → Dove: coste adriatiche, lagune venete e toscane → Come riconoscerlo: carapace blu-azzurro, chele robuste e appuntite, comportamento aggressivo → Cosa fa: predatore vorace di vongole, cozze e altri molluschi; danneggia reti e attrezzi da pesca

Ailanto (Ailanthus altissima) → Dove: margini stradali, ferrovie, aree urbane degradate → Come riconoscerlo: albero a crescita rapidissima, foglie grandi composte, odore acre se spezzate → Cosa fa: colonizza rapidamente spazi vuoti, scalza specie autoctone, altera la composizione del suolo

Zanzara tigre (Aedes albopictus) → Dove: città del Centro-Nord, aree urbane con ristagni d’acqua → Come riconoscerla: corpo nero con striature bianche, attiva anche di giorno → Cosa fa: vettore di malattie tropicali (dengue, chikungunya, Zika); punture aggressive

Procione (Procyon lotor) → Dove: aree periurbane, parchi, zone umide → Come riconoscerlo: pelliccia grigia, caratteristica “mascherina” nera sul muso, coda ad anelli → Cosa fa: predatore opportunista, danneggia colture, può trasmettere malattie

Se in periferia senti gridare forte e vedi un pappagallo verde con becco rosso che si muove in gruppo, non stai assistendo alla fuga di un animale da compagnia: stai guardando una colonia urbana stabilizzata di parrocchetti dal collare, come quelle che si sono espanse a Roma e Milano negli ultimi vent’anni, e che competono per nidi e risorse con gli uccelli autoctoni che vivevano lì da secoli.

Se al mare ti capita in mano un granchio azzurro, con chele robuste e un comportamento tutt’altro che timido, non è un souvenir tropicale: è il Callinectes sapidus, oggi fra i principali predatori opportunisti dei nostri litorali e delle lagune venete e toscane.

Se in città o lungo le ferrovie vedi una pianta in fretta, con fusto dritto, foglie lunghe e composte da tante piccole foglioline ovali, e senti un odore acre e resinoso quando la spezzi, potresti avere davanti un ailanto; se in un’area umida trovi tappeti vegetali che soffocano tutto, potrebbe essere una specie acquatica alloctona, una di quelle che ISPRA e la lista europea indicano come prioritarie da eradicare.

E poi ci sono gli ospiti meno visibili: alghe introdotte nei porti tramite le acque di zavorra e che si attaccano alle infrastrutture, robinia che colonizza margini e sponde e cambia la composizione del suolo. Visti uno per uno sembrano episodi; visti insieme raccontano una pressione costante, che in un Paese stretto e densamente abitato come l’Italia produce effetti molto più rapidi che altrove.

Citizen science: quando i cittadini diventano sentinelle

A questo punto entra in gioco la cittadinanza. Non quella generica del “facciamo attenzione”, ma una cittadinanza operativa. In Italia abbiamo già strumenti che permettono a chiunque di segnalare la presenza di specie aliene, di caricare una foto, di farla geolocalizzare e mandarla a una banca dati nazionale: CSMON-Life lo fa da anni, con campagne di citizen science su biodiversità, cambiamenti climatici e specie invasive; iNaturalist è usato da una comunità internazionale che poi i ricercatori possono interrogare; esistono app dedicate ai singoli progetti, anche per specie molto specifiche come gli scoiattoli alloctoni.

Funzionano tutte allo stesso modo: scatti, invii, lasci attivato il GPS, non catturi l’animale, non lo sposti, non tenti un’eradicazione fai-da-te che potrebbe essere illegale o addirittura favorire la dispersione. Quando queste segnalazioni arrivano numerose e dalla stessa area, i tecnici possono mappare con precisione un’invasione e intervenire prima che diventi ingestibile.

Un esempio tipico è quello delle scuole e delle reti locali che partecipano a campagne di monitoraggio: in pochi mesi producono decine di osservazioni valide, che da sole un ente pubblico non riuscirebbe mai a raccogliere con la stessa capillarità. Lo Stato arriva tardi perché è lento per natura; i cittadini arrivano presto perché vivono sul campo. Se li metti in condizione di agire (con app accessibili, istruzioni chiare e feedback rapidi) la loro velocità diventa il vero argine all’invasione.
{È lo stesso principio alla base di La rivoluzione silenziosa: come l’Intelligenza Artificiale sta liberando milioni di animali dai laboratori, dove l’IA diventa strumento di liberazione e tutela della vita.}

L’intelligenza artificiale che stiamo sprecando

E poi c’è l’intelligenza artificiale, il capitolo che oggi stiamo sprecando. I modelli di IA riconoscono già piante e animali da una foto scattata con lo smartphone e li classificano incrociando database pubblici. In diversi Paesi, dalla Spagna al Regno Unito, questi strumenti vengono usati per monitorare specie invasive in tempo quasi reale, incrociando le segnalazioni dei cittadini con i dati ambientali e producendo mappe di rischio che dicono dove intervenire prima.

In Italia ci sono esperimenti avanzati, come il progetto piemontese che usa l’IA per controllare specie non indigene nei parchi, e ci sono lavori di ricerca che sfruttano machine learning e dati FAIR per seguire l’ingresso di specie marine lungo le nostre coste. Ma sono isole, non sistema. Abbiamo app, dati, comunità digitali disponibili, ricercatori che progettano soluzioni, perfino fondi europei appena attivati su questo tema; quello che non abbiamo è il ponte tra questi mondi, cioè una regia nazionale che dica: “questo è il flusso dati standard, così li validiamo, così interveniamo, così finanziamo gli enti locali per le rimozioni”.

È qui che la domanda retorica è inevitabile: se tutto esiste già, perché non lo usiamo?
{Una riflessione etica simile è al centro di Quando l’intelligenza artificiale imita i nostri difetti, che mostra come anche le macchine finiscano per riprodurre la nostra stessa inerzia morale.}

Cosa puoi fare tu, subito

La conclusione, per Eywa, è la stessa che ritorna su tanti fronti: altrove si può, perché qui no? Non basta indignarsi quando un’invasione tocca le tasche o le vacanze al mare. La gestione delle specie aliene è un pezzo della cura del territorio, e la cura del territorio è una scelta politica, non un hobby verde. Significa pretendere che i Comuni pubblichino i canali di segnalazione, che le Regioni comunichino per tempo i piani di contenimento, che il governo nazionale coordini ISPRA, MASE, parchi, porti, autorità sanitarie. {Per capire come la responsabilità ambientale passa anche attraverso la trasparenza dei comportamenti collettivi, leggi Etichette “a impatto zero”: come riconoscere il greenwashing (anche dopo le nuove leggi UE).}Significa anche accettare che non tutte le specie arrivate potranno essere eliminate e che con alcune dovremo convivere riducendo l’impatto. Ma la differenza fra subire e governare sta lì: nella capacità di vedere per tempo ciò che sta arrivando.

Tre cose che puoi fare da subito:

  1. Scarica un’app di segnalazione (CSMON-Life, iNaturalist) e attivala quando esci: bastano pochi secondi per fotografare e geolocalizzare una specie sospetta
  2. Scatta una foto se vedi qualcosa di insolito: un animale, una pianta; e condividila con le autorità locali o tramite le piattaforme di citizen science
  3. Parla con il tuo Comune: chiedi se esistono piani di monitoraggio locali, se ci sono elenchi di specie da segnalare, se il Comune ha attivato protocolli con ISPRA o enti regionali

Tutto è connesso davvero, non come slogan. Dalle stive che scaricano specie nei porti ai giardini condominiali con piante esotiche, fino all’algoritmo che potrebbe avvertirci in anticipo e che invece rimane spento. E questo è il punto di caduta più forte: abbiamo a portata di mano gli strumenti per proteggere la biodiversità italiana, ma ci manca ancora la decisione di usarli con continuità.


📚 Bibliografia essenziale

ISPRA – Specie esotiche invasive di rilevanza unionale. Elenco aggiornato delle specie invasive prioritarie in Europa e banca dati nazionale italiana. [Contiene le liste ufficiali e gli aggiornamenti recepiti dal Regolamento (UE) 1143/2014 citati nell’articolo.]
specieinvasive.isprambiente.it

Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) – Sezione “Specie esotiche invasive”. Quadro normativo italiano e linee guida di recepimento del Regolamento (UE) 1143/2014. [Riferimento istituzionale alle politiche di prevenzione, controllo e segnalazione sul territorio nazionale.]
mase.gov.it

Unione Europea – Regolamento (UE) n. 1143/2014 e successive integrazioni. Testo normativo europeo sulle misure di prevenzione e gestione delle specie esotiche invasive. [Fonte primaria che stabilisce gli obblighi di monitoraggio e contenimento citati nel dossier.]
specieinvasive.isprambiente.it

Renewable Matter – “L’invasione del granchio blu mette a rischio biodiversità e pesca nel Mediterraneo.” Dati aggiornati sui danni economici e sull’impatto ecologico del Callinectes sapidus nel bacino mediterraneo.
renewablematter.eu

Coldiretti / Regione Emilia-Romagna – “Granchio blu, liquidati oltre 3,1 milioni di euro di indennizzi per i danni subiti nel 2023.” Stime ufficiali dei danni economici e delle misure di compensazione attivate per la pesca adriatica.
agricoltura.regione.emilia-romagna.it

Indicatori ambientali ISPRA – “Specie aliene in Italia.” Statistiche 2024 sul numero complessivo di specie aliene registrate (oltre 3.300) e sui principali vettori di introduzione.
indicatoriambientali.isprambiente.it

CSMON-LIFE – App di citizen science per segnalazioni di specie aliene. Applicazione italiana ufficiale per segnalare specie esotiche invasive con foto e geolocalizzazione, integrata con la Rete Nazionale Biodiversità.
Google Play

iNaturalist – Piattaforma internazionale di osservazione naturalistica. App collaborativa per riconoscere e condividere osservazioni di piante e animali con comunità scientifiche e cittadini.
inaturalist.org

Piemonte Parchi – “Progetto AUTOMA: l’intelligenza artificiale a difesa della biodiversità.” Esempio italiano di applicazione di machine learning per il monitoraggio di specie non indigene nei parchi regionali.
piemonteparchi.it

30Science / Horizon Europe – “Europa, lanciati due progetti contro le specie invasive.” Panoramica dei progetti europei 2025 sull’uso dell’IA per il monitoraggio e la prevenzione delle invasioni biologiche.
30science.com

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