CBD in Italia: Storia di un Pasticcio Normativo
DISCLAIMER
Questo dossier ha scopo puramente informativo e divulgativo. Non costituisce consiglio medico, legale o invito all’acquisto. In Italia, le composizioni orali di CBD sono soggette a prescrizione medica. Per qualsiasi utilizzo terapeutico, consultare un medico. Per questioni legali, rivolgersi a un avvocato specializzato.Nota narrativa: Questo dossier è scritto in prima persona attraverso la voce di “Luca”, un personaggio narrativo fittizio che rappresenta il punto di vista di un osservatore informato del settore farmaceutico europeo. Questa scelta stilistica serve a rendere più accessibile e coinvolgente la trattazione di un tema complesso, pur mantenendo rigore scientifico e accuratezza nei contenuti.
1. Il quiz che cambia tutto
Iniziamo con un quiz.
Domanda 1: Il CBD ti fa sballare?
Risposta: No.
Domanda 2: Il CBD crea dipendenza?
Risposta OMS: No.1
Domanda 3: Il CBD è pericoloso per la salute?
Risposta OMS: No, profilo di sicurezza favorevole.1
Domanda 4: Allora il CBD è la stessa cosa della marijuana?
Risposta: No. Ed è qui che inizia la confusione.
Domanda 5: In Italia il CBD è vietato?
Risposta: Dipende. E questa è la storia di quel “dipende”.
Se hai risposto correttamente a tutte le domande, complimenti: fai parte di una minoranza informata.
Se pensavi che CBD e marijuana fossero la stessa cosa, non preoccuparti: sei in ottima compagnia. Insieme a buona parte dei legislatori italiani.
E se ti stai chiedendo come sia possibile che una sostanza che l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera sicura e non stupefacente sia finita al centro di un pasticcio normativo senza precedenti… beh, quella è esattamente la domanda giusta.
E non è solo l’OMS: le Nazioni Unite, fin dagli anni Sessanta, non classificano il CBD come sostanza stupefacente.
Attraverso la voce di un osservatore del settore farmaceutico europeo, questa è la storia di come l’Italia ha trasformato una molecola innocua in un caso nazionale.
Non è una storia di divieti che funzionano.
È una storia di confusione, zone grigie, e leggi che esistono solo sulla carta.
Ma prima di entrare nel caos normativo, dobbiamo fare una cosa fondamentale: capire di cosa stiamo parlando.
Perché senza capire la differenza tra CBD e THC, non si potrà mai capire perché questa storia è così assurda.
2. CBD vs THC: la differenza che cambia tutto
Facciamo un esperimento mentale.
Immaginate due cugini. Stessa famiglia, stesso cognome, ma caratteri completamente diversi.
Uno è tranquillo, ti aiuta a rilassarti, non crea problemi.
L’altro è… diciamo “intenso”. Ti altera la percezione, ti fa vedere il mondo diversamente, e se esageri ti manda in paranoia.
Il primo è il CBD.
Il secondo è il THC.
Stessa pianta. Due molecole. Due mondi diversi.
THC – Quello che tutti conoscono
Il THC (tetraidrocannabinolo) è il principio attivo della marijuana “classica”. Quello che ti sballa.
Come funziona? Si attacca ai recettori del tuo cervello, i famosi CB1, e li attiva a manetta. È come premere l’acceleratore: tutto va più forte, più veloce, più intenso.
Il risultato? Euforia, alterazioni sensoriali, fame chimica. A volte ansia o paranoia. In alcuni casi, specie nei giovani o nei soggetti predisposti, anche rischi psichiatrici documentati.2
Il THC è psicoattivo. Ed è per questo che è classificato come stupefacente in tutto il mondo.
CBD – Quello che nessuno conosce
Il CBD (cannabidiolo) è l’altro componente principale della cannabis. Ma fa tutt’altro.
Non ti sballa. Non altera la percezione. Non ti viene fame alle 3 di notte.
Cosa fa allora?
Vedilo come un regolatore di volume del tuo corpo. Hai presente quando la musica è troppo alta e abbassi il volume? Ecco, il CBD fa quello, ma con gli stimoli del tuo organismo.
Nel nostro corpo esiste un sistema chiamato endocannabinoide3 (sì, lo abbiamo tutti, anche se non avete mai toccato la cannabis). È una rete di “interruttori” che regola dolore, infiammazione, umore, sonno.
Quando qualcosa va storto, troppo stress, troppo dolore, troppa ansia, questi interruttori si accendono troppo forte.
Il CBD interviene e abbassa il volume. Non spegne. Non accende. Regola.
Il confronto diretto
| CBD | THC | |
|---|---|---|
| Ti sballa? | No | Sì |
| Altera la percezione? | No | Sì |
| Crea dipendenza? | No4 | In alcuni casi5 |
| Effetto sul cervello | Regolazione, equilibrio | Attivazione, euforia |
| Status OMS/ONU | “Non controllato”, sicuro (OMS: profilo di sicurezza favorevole; ONU: non classificato come stupefacente)4 | “Controllato” (=sostanza stupefacente), psicotropo |
| Applicazioni | Terapeutiche (epilessia, ansia, dolore) | Ricreative + terapeutiche |
Il paradosso della stessa pianta
Ecco il punto cruciale che molti non capiscono: CBD e THC vengono dalla stessa pianta, ma non sono la stessa cosa.
È come dire che alcol e aceto vengono entrambi dalla fermentazione, ma nessuno si ubriaca con l’insalata.
La cannabis può essere coltivata per avere tanto THC e poco CBD, ed è la marijuana “classica”, quella che sballa. Oppure tanto CBD e poco THC, ed è la canapa light, quella che non sballa. Oppure ancora entrambi bilanciati, come nelle varietà mediche specifiche.
La “cannabis light” che era legale in Italia fino al 2024? Quella con meno dello zero virgola due per cento di THC, una traccia così minima da non poter alterare nemmeno l’umore. Ma piena di CBD, la molecola che rilassa senza sballare.
Perché questa confusione è importante
Questa distinzione non è un dettaglio tecnico da nerd. È il cuore di tutto.
Perché quando un legislatore sente “cannabis”, pensa automaticamente “droga”. E quando pensa “droga”, pensa “vietare”.
Senza capire che sta vietando una sostanza che non sballa, non crea dipendenza, è considerata sicura dall’OMS4 e non stupefacente dalle Nazioni Unite, ed è stata approvata come farmaco da FDA ed EMA6.
È come vietare il pomodoro perché appartiene alla stessa famiglia della belladonna, pianta velenosa. Tecnicamente sono parenti, ma uno lo metti nella pasta, l’altro ti ammazza.
Quindi, CBD e THC: stessa pianta, effetti opposti.
Ricordatevi questa frase. Perché tutto quello che succede dopo, tutto il caos normativo italiano, parte da qui.
Dal non aver capito, o voluto capire, questa differenza fondamentale.
3. Perché il CBD interessa
Ok, il CBD non sballa. Ma allora perché tutta questa attenzione?
Semplice: perché funziona. Per davvero.
Il caso che ha cambiato tutto
C’era una bambina americana, Charlotte Figi, con una forma devastante di epilessia chiamata sindrome di Dravet. Centinaia di crisi al giorno. Nessun farmaco funzionava.
I genitori, disperati, provarono un olio ricco di CBD.
Le crisi passarono da 300 al mese a 2-3.7
Quella storia fece il giro del mondo. E spinse la scienza a guardare il CBD con occhi nuovi.
La svolta scientifica
Nel 2017, uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine8, una delle riviste mediche più prestigiose al mondo, testò il CBD su bambini con epilessia farmaco-resistente, quella che non risponde ai farmaci tradizionali.
Risultato: riduzione delle crisi del trentanove per cento rispetto al placebo.
Non aneddoti. Non testimonianze su Facebook. Scienza vera. Studi clinici randomizzati controllati, il gold standard della ricerca medica.
Nel 2018 la FDA americana approva Epidiolex.9
Nel 2019 l’EMA europea approva Epidyolex.9
Un farmaco a base di CBD purificato al novantanove per cento, per l’epilessia infantile.
Prima volta nella storia che un derivato della cannabis viene approvato come medicinale dopo studi clinici rigorosi.
Un momento storico.
Oltre l’epilessia
Ma il CBD non si ferma lì. Studi in corso, con livelli di evidenza diversi, stanno esplorando altre potenziali applicazioni.
Per quanto riguarda l’ansia, studi preliminari mostrano effetti ansiolitici senza la sedazione pesante delle benzodiazepine. Il CBD interagisce con i recettori della serotonina, gli stessi su cui agiscono molti antidepressivi, producendo un effetto calmante senza ottundimento.10
Nel campo del dolore cronico, le proprietà antinfiammatorie sono state documentate in studi su modelli animali. Applicazioni topiche di CBD hanno ridotto dolore e infiammazione da artrite in test di laboratorio.11 Per l’insonnia, alcuni ricercatori stanno studiando una possibile regolazione del ciclo sonno-veglia attraverso l’interazione con il sistema endocannabinoide. Studi osservazionali su pazienti con disturbi del sonno hanno mostrato miglioramenti soggettivi.12
Nei disturbi neurodegenerativi, la ricerca è ancora più preliminare ma promettente. Studi su Parkinson, Alzheimer e sclerosi multipla stanno esplorando potenziali effetti neuroprotettivi.13
Attenzione: non tutte queste applicazioni sono approvate ufficialmente. Molte sono ancora in fase di ricerca. L’unica indicazione terapeutica pienamente autorizzata in Europa e USA è l’epilessia farmaco-resistente.
Non è una bacchetta magica. Non cura il cancro. Non fa miracoli.
Ma è una molecola promettente, con un profilo di sicurezza eccellente, che merita di essere studiata e utilizzata dove appropriato.
Il punto chiave
Ricapitoliamo. Il CBD non sballa. Non crea dipendenza. È sicuro secondo l’OMS. È approvato come farmaco da FDA ed EMA. Ha applicazioni terapeutiche documentate.
Tenete a mente questi punti.
Perché ora vi racconto cosa ne ha fatto l’Italia.
4. C’era una volta la canapa legale (2016-2024)
2 dicembre 2016. Il Parlamento italiano approva la Legge 242.14
Oggetto: “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”.
In parole semplici: la canapa torna legale in Italia.
Non la marijuana. La canapa industriale: quella con THC inferiore allo zero virgola due per cento, con tolleranza fino allo zero virgola sei per cento. Quella che non ti sballa, ma che ha mille usi: fibra tessile, carta, biocarburanti, materiali da costruzione, alimenti come semi e olio, cosmetici.
E, naturalmente, CBD.
La legge non menzionava esplicitamente il cannabidiolo, ma di fatto lo rendeva disponibile: se potevi coltivare canapa con THC minimo, potevi estrarre CBD dalle infiorescenze e venderlo.
Il boom
Quello che successe dopo fu sorprendente.
In pochi anni il settore esplode. Si coltivano oltre quattromila ettari di canapa.15 Migliaia di aziende agricole riconvertono terreni. Centinaia di negozi specializzati aprono in tutta Italia. La filiera arriva a coinvolgere circa trentamila addetti e a generare un valore economico stimato intorno ai due miliardi di euro.16
Non stiamo parlando di un fenomeno marginale. Era un settore economico vero e proprio.
Gli agricoltori scoprono che la canapa è una coltura ideale. Richiede poca acqua. Non ha bisogno di pesticidi. Migliora il terreno bonificandolo da metalli pesanti. E soprattutto rende più del grano. Un’occasione concreta per la green economy italiana.
I consumatori scoprono il CBD. Oli per gestire l’ansia, creme per dolori articolari, tisane per l’insonnia, prodotti di benessere naturali. Farmacie, erboristerie, negozi specializzati: il CBD è ovunque. Legalmente.
La zona grigia (che c’era già)
Non era tutto rose e fiori. Già allora c’erano ambiguità.
La Legge 242/2016 parlava di canapa industriale, non diceva esplicitamente che potevi vendere le infiorescenze. Molti le vendevano come “prodotto tecnico” o “da collezione”, con disclaimer tipo “non per uso umano”. Diciamo che ci siamo capiti.
Nel 2019 la Cassazione a Sezioni Unite17 aveva messo un primo paletto: i derivati della canapa sono leciti solo se “privi di efficacia drogante”. Traduzione: se non sballano, non sono reato.
Era una zona grigia, certo. Ma funzionava. Il mercato c’era, era fiorente, e tutto sommato regolamentato: controlli sul THC, etichette, canali di distribuzione ufficiali.
Un equilibrio precario, ma un equilibrio.
Quel periodo vedeva negozi di canapa light a Milano, Roma, Firenze: atmosfera tranquilla, clientela variegata (anziani con artrosi, professionisti stressati, mamme con insonnia), personale competente che consigliava il prodotto giusto.
Sembrava normalità.
Poi è arrivata l’estate 2024.
E tutto è cambiato.
5. Estate 2024: la stretta che non stringe
Questa è la parte dove la storia diventa surreale.
ATTO 1 – Il decreto arriva
27 giugno 2024.
Il Ministero della Salute pubblica un decreto.18 Poche righe nella Gazzetta Ufficiale. Linguaggio burocratico. Nessun clamore mediatico iniziale.
Ma il contenuto è una bomba.
Il decreto inserisce “le composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di cannabis” nella Sezione B della Tabella dei medicinali del DPR 309/1990.
Traduzione: il CBD orale diventa medicinale stupefacente.
Stesso regime di morfina, metadone, fentanyl: ricetta non ripetibile, tracciabilità, canali autorizzati, controlli serrati.
Efficacia del decreto: 5 agosto 2024.
Dall’oggi al domani, quella bottiglia di olio al CBD che si comprava in farmacia o in erboristeria diventa illegale senza prescrizione medica.
La motivazione ufficiale citava “assenza di studi tossicologici approfonditi sugli estratti vegetali di CBD” e “presunto rischio di abuso”.
Analizzando il decreto emerge una difficoltà. Presunto rischio di abuso?
Ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva passato anni a esaminare il CBD. Aveva pubblicato un rapporto dettagliato nel 2018.1 La conclusione era inequivocabile: nessun rischio di abuso, nessuna dipendenza, profilo di sicurezza favorevole.
La stessa sostanza che l’EMA aveva approvato come farmaco per l’epilessia infantile nel 2019.9 La stessa che la FDA americana aveva autorizzato già nel 2018.9
Ma in Italia, improvvisamente, nel 2024, diventava troppo pericolosa per essere venduta senza ricetta.
ATTO 2 – Il secondo colpo
Il settore era ancora sotto shock quando arriva il secondo colpo.
11 aprile 2025. Decreto-legge n. 48, articolo 18.19
Questo vieta esplicitamente “l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze […] nonché dei prodotti contenenti o costituiti da tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati”.
In pratica: anche le infiorescenze di canapa legale, quelle con THC sotto lo zero virgola due per cento, non possono più essere vendute per usi diversi da quelli farmaceutici.
La motivazione dichiarata? “Somiglianza morfologica”.
Aspetta, cosa?
Somiglianza morfologica con la cannabis illegale.
Traduzione: sembrano marijuana, quindi le vietiamo. Anche se non lo sono. Anche se non sballano. Anche se sono perfettamente legali per legge.
Il Ministro della Giustizia, presentando il decreto, aveva spiegato20: l’obiettivo era “evitare qualsiasi ambiguità sulla liceità dei fiori di cannabis” ed “eliminare l’area grigia per le forze dell’ordine”.
Problema risolto, quindi?
ATTO 3 – Ma poi…
Settembre 2024. Il TAR Lazio sospende in via cautelare il decreto del 27 giugno.21 Un momento di speranza. Forse c’è stato un errore. Forse tornerà tutto come prima.
16 aprile 2025. Il TAR rigetta i ricorsi.22 Il decreto ministeriale torna pienamente efficace.
9 giugno 2025. Il DL 48/2025 viene convertito in legge (Legge 80/2025).19
Adesso è ufficiale. Definitivo. Il CBD orale va in Tabella B stupefacenti. Le infiorescenze sono vietate. I derivati dalle infiorescenze sono vietati. Il settore della canapa light è stato spazzato via.
O almeno, questa era la teoria.
Perché poi basta fare una cosa semplice.
Aprire il browser. Cercare “olio CBD Italia”.
E trovi decine di siti. Italiani. Che vendono oli al CBD. Capsule al CBD. Cristalli al CBD.
Aggiungi al carrello. Procedi al checkout. Nessun problema. Nessuna richiesta di ricetta. Pagamento con carta. Spedizione in 24-48 ore.
Aspetta.
Ma non era vietato?
ATTO 4 – Il trucco
Ecco dove la storia diventa davvero italiana.
La legge esiste. Il divieto c’è. Sulla carta, tutto il CBD orale da estratti di cannabis è Tabella B. Le infiorescenze sono vietate.
Ma nella pratica?
Nella pratica il mercato non è scomparso. Si è semplicemente spostato in una zona grigia della legalità.
Come funziona il trucco?
Trucco numero uno: l’etichetta magica. I prodotti vengono venduti come “olio tecnico”, “per uso esterno”, “prodotto da collezione”, “non destinato al consumo umano”. Sulla confezione c’è sempre un disclaimer. Tutti sanno che la gente lo consuma. Ma finché l’etichetta dice di no…
Trucco numero due: la fonte misteriosa. Il decreto vieta CBD “da estratti di cannabis” e derivati “dalle infiorescenze”. Ma se non dichiari esplicitamente da dove viene il tuo CBD? Se scrivi genericamente “estratto di canapa” senza specificare la parte della pianta? Chi può dimostrare che proviene dai fiori e non dai semi o dagli steli, che tecnicamente non sono vietati?
Trucco numero tre: l’import europeo. Molti operatori spediscono da altri paesi UE dove il CBD è perfettamente legale, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Spagna. Sfruttano la sentenza Kanavape della Corte di Giustizia Europea del 202023: un prodotto legale in uno Stato membro non può essere vietato in un altro senza motivazioni scientifiche proporzionate. La libera circolazione delle merci, dicono.
Trucco numero quattro: nessuno controlla. Questa è la parte più assurda. L’Italia non ha avviato controlli sistematici. NAS, AIFA, Ministero della Salute: nessun coordinamento. I sequestri sono sporadici, localizzati, imprevedibili. Un negozio viene controllato, un altro no. Un pacco viene fermato in dogana, cento passano. È una lotteria.
Risultato?
Il mercato del CBD in Italia esiste de facto, ma senza riconoscimento giuridico.
Gli operatori agiscono a proprio rischio, confidando nella scarsa applicazione delle norme.
I consumatori comprano, spesso senza sapere che tecnicamente stanno violando la legge.
E lo Stato? Lo Stato ha una legge che non applica, un mercato che non controlla, e zero entrate fiscali da un settore che prima ne generava.
La verità scomoda:
Hanno fatto una legge.
Hanno distrutto un settore legale.
Ma il mercato? Il mercato è ancora lì.
Solo che ora vive in una zona grigia: non tracciato, non tassato, non controllato.
Missione compiuta?
6. Le tre zone grigie (il caos spiegato)
Ok, fermiamoci un attimo. Cerchiamo di capire questo casino.
Perché se la legge dice una cosa e la realtà ne fa un’altra, evidentemente c’è qualcosa che non torna. E quel qualcosa ha un nome: zone grigie normative.
Sono tre. Tre scappatoie, tre buchi nella rete, tre modi in cui il sistema può essere aggirato. Non perché gli operatori siano criminali, ma perché la legge è stata scritta male. Con ambiguità così evidenti che lasciano spazio a interpretazioni creative.
Vediamole una per una.
Prima zona grigia: la fonte misteriosa
Ricordate la distinzione che abbiamo fatto all’inizio? CBD e THC, stessa pianta ma molecole diverse?
Bene, c’è un’altra distinzione che in Italia è diventata cruciale: da quale parte della pianta viene il CBD.
Il decreto ministeriale del 27 giugno 2024 non dice genericamente “composizioni orali di cannabidiolo”. Dice: “composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di cannabis“.24
E il decreto-legge 48/2025 vieta espressamente le infiorescenze e i derivati dalle infiorescenze, compresi “gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati”.25
Quindi, tecnicamente, la situazione è questa. Il CBD estratto dai fiori di canapa è vietato. Il CBD estratto da semi o steli non è esplicitamente vietato dal decreto-legge 48. Il CBD sintetico, quello prodotto in laboratorio, viene escluso espressamente dal perimetro stupefacenti dalla Circolare del Ministero del 7 agosto 2024.26
Questa distinzione non nasce dal nulla. Ha radici storiche che risalgono alla Convenzione ONU sugli Stupefacenti del 1961.27 Quella convenzione definiva come sostanza controllata, cioè stupefacente, solo le “sommità fiorite o fruttifere” della cannabis, escludendo espressamente semi e steli. Perché? Semplice: semi e steli non contengono THC, o ne contengono tracce impercettibili, e servono per usi industriali legittimi come fibra tessile, olio alimentare, biocarburanti.
Se l’Italia avesse vietato anche semi e steli, avrebbe distrutto tutta la filiera agroindustriale della canapa prevista dalla Legge 242/2016. Quindi il legislatore ha dovuto lasciarli fuori.
Ora, il problema è questo: come fai a sapere da dove viene il CBD in quella bottiglia?
Se l’etichetta dice solo “estratto di canapa” senza specificare “da infiorescenze”, chi può dimostrarne la provenienza? Servirebbero analisi genetiche, tracciabilità della filiera, controlli incrociati. Cose che in Italia, al momento, non esistono in modo sistematico.
Ed ecco la prima zona grigia. Il prodotto c’è, si vende, ma la sua origine resta volutamente nebulosa.
C’è poi un paradosso ancora più assurdo. Semi e steli sono legali come fonte di CBD, ma contengono quantità minime di cannabidiolo. Il CBD si concentra nei fiori. Estrarre CBD commercialmente utile da semi e steli è economicamente poco conveniente e qualitativamente inferiore. Quindi quella finestra normativa è tecnicamente aperta, ma praticamente inutilizzabile.
E il CBD sintetico? Costa molto di più da produrre. Nessuno lo produce su scala industriale per il mercato italiano. Quindi anche lì: legale sulla carta, invisibile nella realtà.
Ecco la tabella della situazione:
| Fonte del CBD | Contenuto THC | Efficacia estrattiva | Costo produzione | Status Italia 2025 |
|---|---|---|---|---|
| Fiori | Tracce (<0,2%) | Alta | Basso | Vietato |
| Semi/Steli | Trascurabile | Bassa | Alto | Non vietato ma impraticabile |
| Sintetico | Zero | Alta | Molto alto | Non stupefacente ma non autorizzato come integratore |
Il risultato? Il CBD più naturale, economico ed efficace è vietato. Gli altri due sono tecnicamente permessi ma economicamente insensati. E il mercato? Il mercato continua a vendere quello vietato, semplicemente non dichiarando la fonte.
Seconda zona grigia: l’etichetta magica
Passiamo alla seconda scappatoia. Quella più sfacciata.
Entri in un sito di e-commerce italiano. Vedi una bottiglia con scritto “Olio di canapa 10% CBD”. La descrizione parla di “estratto naturale”, “alta concentrazione”, “qualità premium”. Tutto molto professionale.
Poi, in fondo alla pagina o sul retro dell’etichetta, trovi un disclaimer. Di solito scritto piccolo, a volte quasi nascosto: “Prodotto tecnico, non destinato al consumo umano”. Oppure “Solo per uso esterno”. Oppure ancora “Prodotto da collezione”.
Il trucco è semplice e vecchio come il mondo. Se l’etichetta dice che il prodotto non è per consumo umano, formalmente non ricade nel divieto delle “composizioni per somministrazione ad uso orale”. Perché tecnicamente non viene somministrato oralmente. O almeno, non dovrebbe.
Ovviamente tutti sanno che la gente lo compra per consumarlo. Il venditore lo sa. Il compratore lo sa. Perfino chi controlla lo sa. Ma finché l’etichetta dice di no, c’è una patina di legalità formale.
È la vecchia tattica dell’etichetta salvavita: basta scrivere “non per uso umano” e il problema sparisce. O almeno così sembra.
Questa pratica non è nuova. Era comune già nel periodo della canapa light tra il 2016 e il 2024. All’epoca molte infiorescenze venivano vendute come “prodotto da collezione” o “materiale botanico”, anche se chiaramente erano destinate al consumo. Era un gioco delle parti: il venditore si copriva legalmente, il consumatore comprava sapendo cosa fare.
Con la stretta del 2024-2025, questo meccanismo si è semplicemente intensificato. Gli operatori hanno adattato le etichette, reso i disclaimer più evidenti, e continuato a vendere.
Funziona? Dipende. In caso di controllo, un NAS o la Guardia di Finanza potrebbero sequestrare il prodotto sostenendo che l’uso finale è chiaramente quello orale, quindi il disclaimer è una foglia di fico. Ma servirebbero controlli sistematici. E quelli, come vedremo, non ci sono.
Terza zona grigia: l’import europeo
E qui arriviamo alla zona grigia più raffinata. Quella che sfrutta non un buco nella legge italiana, ma un conflitto tra legge italiana e normativa europea.
Molti operatori hanno spostato la sede legale, o almeno il magazzino, in altri paesi dell’Unione Europea dove il CBD è perfettamente legale. Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Spagna, persino Germania e Francia.
Da lì spediscono i prodotti in Italia. E quando qualcuno li ferma in dogana, tirano fuori la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 19 novembre 2020, conosciuta come “sentenza Kanavape“.28
Quella sentenza è un pilastro. La Corte ha stabilito che il CBD legalmente prodotto in uno Stato membro non può essere vietato in un altro senza motivazioni scientifiche proporzionate. Ha ricordato che, allo stato attuale delle conoscenze, il cannabidiolo estratto dalla pianta nella sua interezza non presenta effetti psicotropi né rischi per la salute: come già riconosciuto dalle Nazioni Unite fin dagli anni Sessanta (!).
In pratica: se un prodotto al CBD è legale in Olanda, l’Italia non può bloccarlo senza dimostrare con evidenze scientifiche concrete che è pericoloso. E visto che l’OMS dice il contrario, diventa difficile.
Questa sentenza è vincolante per tutti gli Stati membri. Quindi, teoricamente, un operatore che importa CBD legale dall’Olanda in Italia dovrebbe poter invocare la libera circolazione delle merci.
Teoricamente.
Nella pratica? È una lotteria. Alcuni pacchi passano senza problemi. Altri vengono fermati dalla dogana italiana, che cita il DM del 27 giugno e sequestra tutto. L’operatore può fare ricorso, citare Kanavape, portare la questione in tribunale. Ma intanto la merce è bloccata, i costi legali salgono, e molti semplicemente rinunciano.
Non c’è coerenza. Non c’è prevedibilità. Dipende dall’ufficio doganale, dal funzionario di turno, dal momento. Alcuni operatori stimano che circa il settanta per cento degli ordini passi, il resto venga fermato. Ma sono stime aneddotiche, perché non ci sono dati ufficiali.
Risultato? Anche qui, un mercato in zona grigia. Esiste, funziona a tratti, ma è un rischio continuo.
Il mercato in zona grigia in numeri
Quanto vale questo mercato che non dovrebbe esistere ma esiste?
Difficile dirlo con precisione, perché per definizione un mercato in zona grigia non è tracciato. Ma possiamo fare delle stime.
Prima della stretta, il settore della canapa light e del CBD valeva circa due miliardi di euro.29 Coinvolgeva trentamila addetti. Migliaia di aziende agricole, centinaia di trasformatori, negozi fisici e online.
Con i decreti del 2024-2025, il settore legale è stato decimato. Le stime associative parlano di ventiduemila posti di lavoro persi e un calo dei ricavi superiore a un miliardo e quattrocento milioni di euro, circa il settantadue per cento del totale.29
Ma dove sono finiti quei consumi? Non sono spariti. La gente che usava CBD per gestire ansia, dolore, insonnia non ha smesso di cercarlo. Si è semplicemente spostata.
Una parte è confluita nel mercato in zona grigia italiano: quegli operatori che continuano a vendere con le etichette “tecniche” o senza dichiarare la fonte.
Una parte ordina dall’estero, sfruttando i siti europei e sperando che il pacco non venga fermato.
Una parte, inevitabilmente, è finita nel mercato nero. Quello vero, quello senza controlli di qualità, senza etichette, senza garanzie.
Secondo analisi di settore non ufficiali, si stima che il mercato del CBD in zona grigia in Italia valga ancora tra i trecento e i cinquecento milioni di euro all’anno. Centinaia di operatori online attivi. Decine di migliaia di consumatori che comprano regolarmente.
Zero controlli sistematici. Zero entrate fiscali per lo Stato. Zero tracciabilità sulla qualità dei prodotti.
Hanno vietato per proteggere la salute pubblica, e il risultato è che ora la salute pubblica è meno protetta di prima.
7. Chi ha pagato il conto (e chi no)
Ogni legge ha delle conseguenze. E quando una legge è scritta male, a pagare le conseguenze sono quasi sempre i soggetti sbagliati.
In questo caso, il conto lo hanno pagato tre categorie di persone che hanno giocato secondo le regole, hanno creduto nella legalità, e si sono trovate con il tappeto tirato via da sotto i piedi.
Gli agricoltori (quelli fregati per primi)
Partiamo da loro. I coltivatori di canapa.
La Legge 242 del 2016 aveva dato loro una speranza. Dopo decenni di abbandono delle campagne, di terreni lasciati a maggese, di margini sempre più risicati su grano e mais, la canapa sembrava una via d’uscita.
Era una coltura perfetta per l’agricoltura sostenibile. Richiedeva poca acqua, non aveva bisogno di pesticidi (la canapa è naturalmente resistente ai parassiti), migliorava il terreno bonificandolo da metalli pesanti. E rendeva. Molto più del grano.
Migliaia di agricoltori ci hanno creduto. Hanno convertito terreni. Hanno comprato semi, attrezzature, macchinari per l’essiccazione. Hanno fatto corsi di formazione. Hanno stipulato contratti pluriennali con aziende di trasformazione.
Hanno investito. Tempo, soldi, fatica.
Il cuore del business erano le infiorescenze. Quelle che venivano vendute come canapa light o trasformate in oli ed estratti ricchi di CBD. I semi e gli steli valevano poco. La fibra aveva un mercato limitato in Italia. Ma i fiori? Quelli valevano oro.
Poi è arrivato l’11 aprile 2025. E il decreto-legge 48 ha vietato le infiorescenze.
Dall’oggi al domani, il novanta per cento del valore economico della pianta è svanito.
Immaginate un viticoltore a cui dicono: puoi coltivare l’uva, ma non puoi vendere i grappoli. Solo i tralci e le foglie. Quanto varrebbe la sua vigna?
Prendiamo Giovanni. Nome di fantasia, storia vera. Agricoltore toscano, cinquant’anni, generazione cresciuta vedendo i campi di famiglia svuotarsi. Nel 2018 decide di provarci con la canapa. Tre ettari. Investe cinquantamila euro fra attrezzature e impianto. I primi due anni vanno bene. Vende le infiorescenze a un’azienda di trasformazione, recupera l’investimento, inizia a guadagnare.
Nel 2024 programma l’espansione. Altri due ettari. Nuovo mutuo.
Agosto 2024: primo decreto. Aprile 2025: secondo decreto.
Ora quei cinque ettari di canapa sono lì, crescono, ma non può venderli. O meglio, può vendere semi e steli a prezzi ridicoli che non coprono nemmeno i costi di coltivazione.
Il mutuo? Quello resta. Da pagare.
Giovanni non è l’unico. Secondo Coldiretti, in Italia c’erano circa quattromila ettari coltivati a canapa nel 2023.30 La maggior parte sono stati abbandonati o riconvertiti ad altre colture nel 2025. Con perdite enormi.
Il controsenso? Mentre l’Europa spinge per l’agricoltura sostenibile e la Green Deal europea promuove colture a basso impatto ambientale, l’Italia ha vietato una delle piante più sostenibili che esistano.
Per tornare a monoculture intensive, irrigue, piene di pesticidi.
I negozianti (quelli che hanno chiuso rispettando la legge)
Poi ci sono loro. I titolari dei negozi di canapa light, erboristerie, farmacie che vendevano CBD.
Nel 2023 in Italia c’erano centinaia di negozi specializzati. Non si parla di spacciatori o mercato nero. Si parla di attività regolari, con partita IVA, contratti di affitto, dipendenti, SCIA, controlli ASL.
Molti erano giovani imprenditori. Avevano visto un’opportunità in un settore legittimo e in crescita. Avevano investito risparmi, chiesto prestiti, aperto negozi in centro città o online.
Sofia. Ventotto anni, Bologna. Nel 2021 apre un negozietto di prodotti naturali in zona universitaria. Vende tisane, integratori, cosmetici bio. E CBD. Oli, capsule, creme. Tutto regolare, tutto certificato, tutto con analisi di laboratorio che attestavano il THC sotto lo zero virgola due per cento.
Il quaranta per cento del suo fatturato veniva dal CBD. Non perché fosse un “cannabis shop”, il negozio aveva anche mille altri prodotti, ma perché i clienti lo cercavano. Studenti stressati per gli esami. Lavoratori con insonnia. Anziani con dolori articolari.
Agosto 2024: primo decreto. Sofia chiama il suo commercialista. “Posso continuare a vendere?” “Tecnicamente no, serve prescrizione medica.” “E se metto un disclaimer?” “Rischi comunque.”
Sofia decide di rispettare la legge. Ritira tutti i prodotti al CBD dagli scaffali. Perde il quaranta per cento del fatturato. Prova a compensare con altri prodotti, ma non basta. Gli affitti a Bologna sono alti. I costi fissi pure.
Gennaio 2025: chiude.
Mentre chiude, sa che online ci sono decine di siti che continuano a vendere CBD. Con disclaimer, con etichette “uso tecnico”, con mille stratagemmi. Alcuni prosperano.
Lei ha seguito le regole. E ha pagato.
I consumatori (quelli senza alternative)
E poi ci sono loro. Quelli di cui si parla meno, ma che forse hanno pagato il conto più alto in termini di qualità della vita.
Elena. Trentadue anni, Firenze. Epilessia farmacoresistente diagnosticata a diciotto anni. Ha provato quattro farmaci antiepilettici diversi. Tutti con effetti collaterali pesanti: sonnolenza, vertigini, aumento di peso, difficoltà cognitive.
Nel 2022 il neurologo le suggerisce di provare un olio al CBD, legale, acquistabile in farmacia. Lei è scettica, ma prova. Dopo due mesi, le crisi diminuiscono. Non spariscono, ma passano da otto-dieci al mese a tre-quattro. E soprattutto: niente effetti collaterali pesanti.
Per la prima volta in anni, riesce a lavorare stabilmente. A fare progetti.
Agosto 2024: il suo olio diventa illegale senza prescrizione.
Esiste un farmaco a base di CBD, l’Epidyolex, ma in Italia è prescrivibile solo per tre rare sindromi epilettiche pediatriche. Per casi come il suo, l’unica opzione efficace e tollerata era l’olio di CBD venduto liberamente in farmacia.
Torna dal neurologo. Lui è imbarazzato. “Tecnicamente dovrei prescrivertelo come medicinale stupefacente. Ma diventa costosissimo, e non tutti i farmacisti preparano galenici al CBD. Inoltre devo giustificare la prescrizione, compilare moduli, registri…”
Alcuni medici si rifiutano. Non vogliono grane burocratiche. Non vogliono rischiare controlli.
Elena prova a ordinare online da un sito che ancora vende. Paga, aspetta. Il pacco arriva, ma non sa cosa c’è dentro davvero. Niente analisi di laboratorio. Niente garanzie. La concentrazione di CBD dichiarata corrisponde a quella reale? Ci sono contaminanti? THC oltre i limiti?
Non lo sa. Ma non ha alternative.
E come lei, migliaia. Persone che usavano il CBD per gestire ansia cronica, dolori da artrite, insonnia. Non perché fosse una moda, ma perché funzionava e aveva meno effetti collaterali di benzodiazepine, oppioidi, o altri farmaci pesanti.
Ora sono senza opzioni legali. O tornano ai farmaci che volevano evitare. O si affidano al mercato in zona grigia. Oppure semplicemente soffrono.
I “vincitori” (tra virgolette pesanti)
E chi ci ha guadagnato da tutto questo?
Il mercato in zona grigia, ovviamente. Quegli operatori senza scrupoli, o semplicemente pragmatici dipende dai punti di vista, che hanno continuato a vendere sfruttando le zone grigie normative.
L’import estero. I siti olandesi, cechi, spagnoli che vedono aumentare le spedizioni verso l’Italia. Soldi che escono dal paese.
Il mercato nero. Quello vero. Perché una parte dei consumatori, disperati, si rivolge lì. Con tutti i rischi del caso.
E lo Stato italiano? Lo Stato ha perso. Ha perso il controllo del settore. Ha perso entrate fiscali (un mercato da due miliardi genera IVA, imposte, contributi). Ha perso posti di lavoro. Ha perso tracciabilità sui prodotti. Ha perso credibilità come legislatore.
Ha vinto qualcuno? Difficile dirlo.
8. Guida pratica al caos: cosa possiamo fare oggi?
Arriviamo alla domanda che probabilmente vi state facendo dall’inizio: ok, ho capito il pasticcio. Ma io, nel concreto, nel 2025, se volessi del CBD, cosa posso fare?
La risposta onesta? Dipende da quanto sei disposto a rischiare.
Perché legalmente, in Italia, le opzioni sono quasi zero. Praticamente, invece, le possibilità ci sono. Solo che navigano tutte in acque più o meno ambigue sul piano legale.
Facciamo ordine.
Scenario uno: voglio CBD legalmente
Partiamo dall’opzione più sicura dal punto di vista legale.
Prima possibilità: prescrizione medica. In teoria, potreste andare dal vostro medico e chiedere una prescrizione. Il CBD è autorizzato in Italia come farmaco per l’epilessia farmacoresistente sotto forma di Epidyolex, la specialità registrata dall’EMA. È prescrivibile per crisi epilettiche associate a sindrome di Lennox-Gastaut, sindrome di Dravet e sclerosi tuberosa in pazienti dai due anni in su.
Tuttavia, si tratta di forme rare di epilessia, diagnosticate quasi sempre in età infantile: per chi soffre di altre forme di epilessia farmacoresistente, il farmaco non è indicato né accessibile tramite prescrizione ordinaria.
Se invece rientrate in queste patologie e il vostro neurologo lo ritiene appropriato, potete ottenere Epidyolex su ricetta. In questo caso siete completamente nel perimetro della legalità.
Ma se non avete epilessia? Se cercate CBD per ansia, dolore cronico, insonnia o altri usi non autorizzati?
Tecnicamente un medico potrebbe prescrivervi una preparazione galenica. Il farmacista potrebbe prepararvi un olio al CBD seguendo il canale dei medicinali in Tabella B (ricetta non ripetibile, tracciabilità, autorizzazioni). Ma è complicato. Molto complicato.
Prima di tutto, il medico deve giustificare clinicamente la prescrizione. Deve essere in grado di motivare perché vi serve il CBD, basandosi su letteratura scientifica e condizioni cliniche documentate. Molti medici, per paura di controlli o semplicemente per ignoranza sulla sostanza, si rifiutano.
Poi c’è il costo. Una preparazione galenica al CBD, passando per il canale stupefacenti, può costare dieci volte tanto rispetto a quello che si pagava prima. Stiamo parlando di centinaia di euro al mese, non sempre rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale.
E infine c’è la disponibilità. Non tutte le farmacie preparano galenici. Non tutte hanno le autorizzazioni per maneggiare sostanze in Tabella B. Trovare un farmacista disposto e attrezzato può essere un’odissea.
Risultato? Sulla carta è possibile. Nella pratica, per la stragrande maggioranza delle persone, è un percorso impraticabile e oneroso.
Seconda possibilità: prodotti per uso esterno. Se non vi interessa l’uso orale ma cercate creme, balsami, oli per massaggio, qui la situazione è leggermente migliore.
I cosmetici contenenti CBD sono ammessi in Italia, purché rispettino il Regolamento europeo sui cosmetici (Regolamento CE 1223/2009) e i limiti stringenti su THC e origine dell’ingrediente.32 Il CBD deve figurare nel database CosIng come ingrediente cosmetico autorizzato, e il prodotto finito deve essere privo di effetti psicotropi.
Trovate creme al CBD in farmacie, erboristerie, negozi di cosmetica naturale. Legalmente. Per dolori articolari, infiammazioni cutanee, dermatiti.
Ovviamente non risolvono ansia o insonnia. Ma per applicazioni topiche localizzate, sono un’opzione.
Terza possibilità: rassegnarsi. L’ultima opzione legale è semplicemente non usare CBD. Tornare alle alternative farmaceutiche tradizionali. Benzodiazepine per l’ansia. Oppioidi per il dolore. Ipnotici per l’insonnia. Con tutti i loro effetti collaterali e rischi di dipendenza.
Non è una soluzione, è un passo indietro. Ma è l’unica completamente dentro la legge per la maggior parte degli usi.
Scenario due: voglio comprare lo stesso il CBD
E qui entriamo nella zona grigia.
Perché se l’opzione legale è sostanzialmente chiusa, le opzioni pratiche ci sono. Basta essere consapevoli dei rischi.
Prima opzione: mercato in zona grigia italiano. Aprite un browser. Cercate “olio CBD Italia”. Vi usciranno decine di risultati. Siti italiani, con sede in Italia, che vendono oli, capsule, cristalli al CBD.
Come fanno? Usano le zone grigie che abbiamo visto. Etichettano i prodotti come “uso tecnico” o “da collezione”. Non dichiarano esplicitamente la fonte del CBD. Sperano che nessuno controlli.
È un rischio? Sì. Sia per chi vende che per chi compra.
Per il venditore: in caso di controllo, rischia sequestro della merce e sanzioni amministrative o penali se viene dimostrato che il CBD proviene da infiorescenze o è destinato all’uso orale.33
Per il compratore: in teoria potreste essere fermati con una bottiglia di CBD non prescritta. Nella pratica, i controlli sui consumatori finali sono rarissimi. Ma il rischio legale esiste.
E poi c’è il rischio qualitativo. Senza controlli ufficiali, come fate a sapere cosa c’è davvero in quella bottiglia? La concentrazione di CBD dichiarata è vera? Ci sono contaminanti? Il THC è davvero sotto i limiti? Non lo sapete. Vi fidate del venditore. Fine.
Seconda opzione: import da altri paesi UE. Molti siti olandesi, cechi, spagnoli vendono CBD e spediscono in Italia. Lì il CBD è legale come novel food o integratore. Prodotti certificati, analizzati, con garanzie di qualità.
Ordinate, pagate, aspettate.
In teoria la sentenza Kanavape vi protegge: un prodotto legale in uno Stato membro dovrebbe poter circolare liberamente.34 Nella vita reale? È una lotteria.
Alcuni pacchi passano la dogana senza problemi. Altri vengono fermati. La dogana italiana può citare il decreto del 27 giugno e sequestrare tutto. Voi perdete i soldi (raramente i venditori rimborsano se il problema è doganale). Potete fare ricorso, ma chi ha voglia e soldi da buttare di fare una battaglia legale per una bottiglia di olio?
Rischio legale personale? Basso, a meno che non ordiniate quantità enormi che facciano pensare a una rivendita. Rischio di perdere il pacco? Medio-alto, forse un trenta per cento di probabilità.
Terza opzione: mercato nero. E poi c’è lui. Il vero mercato nero. Quello senza siti, senza etichette, senza garanzie.
Qualcuno che conosce qualcuno che ha un “contatto”. Prodotti senza analisi, senza tracciabilità, senza certezze. Potrebbe essere olio al CBD vero. Potrebbe essere olio di semi con zero CBD. Potrebbe essere olio con troppo THC. Non lo sapete.
È l’opzione più rischiosa sotto tutti i punti di vista: legale, sanitario, economico. La sconsiglierei senza appello. Ma va detto che esiste, e che una parte dei consumatori, disperati, ci finisce.
Ironia della sorte: il divieto pensato per proteggere la salute pubblica spinge la gente esattamente dove la salute pubblica è meno protetta.
Decision tree: il percorso pratico
Per chiarezza, facciamo un riepilogo del percorso decisionale reale nel 2025.
Volete del CBD? Iniziate chiedendovi: per cosa vi serve?
Se la risposta è epilessia farmacoresistente, e più precisamente sindromi di Dravet, Lennox-Gastaut o sclerosi tuberosa, allora la strada è relativamente pulita. Andate dal neurologo. Epidyolex è prescrivibile, è legale, è rimborsabile in molti casi. Questa è l’unica indicazione terapeutica pienamente autorizzata.
Se la risposta è applicazione topica, quindi dolori articolari, dermatiti, infiammazioni cutanee, allora cercate cosmetici al CBD in farmacia o erboristeria. Sono legali, disponibili, nessun problema.
Se la risposta è tutto il resto, quindi ansia, insonnia, dolore cronico non topico, benessere generale, allora le cose si complicano.
Potete tentare la strada della prescrizione medica per preparazione galenica. Ma preparatevi a un percorso lungo, costoso, e probabilmente frustrante. Molti medici diranno no. Quelli che diranno sì dovranno giustificare clinicamente la prescrizione, seguire procedure burocratiche complesse, e voi vi ritroverete con costi che possono essere dieci volte superiori a quanto si pagava prima. Inoltre non tutte le farmacie preparano galenici con sostanze in Tabella B. Trovarne una disponibile può essere un’odissea.
Oppure entrate nella zona grigia. E qui dovete chiedervi: quanto rischio siete disposti a correre?
Se volete un rischio basso, potete provare il mercato in zona grigia italiano. Comprate da siti che sembrano professionali, leggete recensioni, incrociate le dita. Il rischio legale per voi consumatori è minimo, il rischio qualitativo è medio perché non avete garanzie reali su cosa contenga davvero quel prodotto.
Se accettate un rischio medio, potete tentare l’import dall’Unione Europea. I prodotti sono probabilmente migliori, con maggiori garanzie di qualità perché provengono da paesi dove il CBD è regolamentato. Ma c’è il rischio concreto di sequestro in dogana. Perdete i soldi, non la libertà, ma resta un rischio economico significativo.
Se siete disposti a un rischio alto, esiste il mercato nero. Ma non lo consiglio. Zero garanzie, zero controlli, rischi legali e sanitari elevati.
Oppure, ultima opzione, rinunciate. Tornate a benzodiazepine, oppioidi, o semplicemente convivete con il problema che volevate gestire.
I rischi concreti (tabella riassuntiva)
Per trasparenza, ecco una sintesi dei rischi per ogni opzione:
| Opzione | Rischio legale | Rischio sanitario | Rischio economico | Disponibilità |
|---|---|---|---|---|
| Prescrizione medica (Epidyolex) | Nessuno | Nessuno | Medio (costo) | Bassa (solo epilessia) |
| Preparazione galenica su ricetta | Nessuno | Nessuno | Alto (costo) | Molto bassa |
| Cosmetici uso esterno | Nessuno | Basso | Basso | Buona |
| Mercato in zona grigia italiano | Basso (consumatore) | Medio (qualità incerta) | Medio (no garanzie) | Alta |
| Import UE | Basso | Basso | Medio (sequestri) | Media |
| Mercato nero | Alto | Alto | Alto | Variabile |
La verità è che l’Italia, nel 2025, vi lascia con una scelta impossibile: o rinunciate, o rischiate.
Non è giusto. Non è razionale. Ma è la realtà.
9. Il giro del mondo in sette modelli
Mentre l’Italia creava un labirinto normativo, altri paesi facevano scelte. Giuste o sbagliate, ma scelte chiare.
Non tutti hanno legalizzato. Non tutti hanno adottato approcci libertari. Ma tutti hanno fatto una cosa che l’Italia non è riuscita a fare: hanno tracciato una linea netta tra lecito e illecito. E l’hanno rispettata.
Facciamo il giro del mondo. Sette paesi, sette modelli. Non per dire “copiateli”, ma per mostrare che un altro approccio esiste.
Svizzera: la pragmatica
In Svizzera il CBD è legale dal 2011. Ma non è un far west. È semplicemente regolamentato con chiarezza.
La legge federale sugli stupefacenti svizzera (LStup) stabilisce che la cannabis con meno dell’uno per cento di THC non è considerata stupefacente.35 Punto. Quella con più dell’uno per cento lo è.
Il CBD, essendo non psicoattivo, non è classificato come sostanza controllata. Quindi prodotti ricchi di CBD con THC sotto l’uno per cento sono legali. Venduti liberamente. In tabaccherie, negozi specializzati, perfino distributori automatici.
Ma attenzione: “liberamente” non significa “senza regole”. I prodotti devono rispettare standard di qualità. Devono essere etichettati correttamente. Devono pagare tasse (la cannabis light è tassata come il tabacco). Ci sono controlli, analisi, tracciabilità.
Il risultato? Un mercato legale, trasparente, che genera entrate fiscali. Nessuno spaccia CBD per strada perché lo trovi al supermercato. Nessuno si avvelena con prodotti contaminati perché ci sono controlli ufficiali.
Funziona? Sì. La Svizzera non è collassata. Non c’è un’epidemia di consumo giovanile. Non ci sono morti per overdose di CBD (perché, ricordiamolo, di CBD non si muore). C’è solo un mercato che funziona: come ha funzionato perfettamente anche in Italia per i suoi 9 anni di liceità.
La filosofia svizzera è semplice: distinguere ciò che è pericoloso da ciò che non lo è. Il THC ad alta concentrazione è controllato. Il CBD no. Pragmatismo elvetico.
Regno Unito: il regolatore
Attraversiamo la Manica. Il Regno Unito ha scelto un approccio diverso: regolamentare il CBD come “novel food“.
Cos’è un novel food? Un ingrediente alimentare che non era significativamente consumato nell’UE prima del 1997. Richiede un’autorizzazione specifica per essere venduto come alimento o integratore.36
La Food Standards Agency (FSA) britannica ha classificato il CBD in questa categoria. Quindi per vendere CBD come integratore alimentare nel Regno Unito serve un’autorizzazione. Le aziende devono presentare dossier scientifici, dimostrare la sicurezza, rispettare i limiti.
Nel 2023 la FSA ha anche pubblicato una raccomandazione: gli adulti sani non dovrebbero superare dieci milligrammi di CBD al giorno da integratori.37 Non è un limite legale vincolante, è una linea guida precauzionale. Uno può consumarne di più, ma l’agenzia consiglia prudenza.
Per il THC nei prodotti finiti, il Regno Unito applica regole stringenti: massimo un milligrammo di THC per confezione, e solo in prodotti che soddisfano requisiti tecnici specifici (concetto di “exempt product”).38
Il risultato è un mercato controllato. Non tutti possono vendere CBD. Solo chi ottiene l’autorizzazione. Ma chi ce l’ha può vendere liberamente, con regole chiare.
Funziona? Sì. Il mercato britannico del CBD vale centinaia di milioni di sterline. I consumatori sanno cosa comprano. Le aziende rispettano standard. Nessuno parla di “emergenza CBD”.
La filosofia britannica è la regolamentazione sanitaria. Il CBD non è una droga, è un ingrediente alimentare che va regolato come tutti gli altri.
Canada: il coraggioso
Salto Atlantico. Canada, 2018.
Il governo federale approva il Cannabis Act.39 Legalizza completamente la cannabis. Non solo il CBD. Tutta la cannabis, THC incluso.
Perché? Il primo ministro Justin Trudeau aveva spiegato la filosofia: togliere il mercato dalle mani della criminalità organizzata e proteggere la salute pubblica attraverso regolamentazione, educazione e controllo di qualità.
Non un esperimento hippie. Una politica di salute pubblica.
Il Cannabis Act prevede vendita legale di cannabis, incluso il CBD, in negozi autorizzati. Stabilisce limiti di età rigorosi, solo maggiorenni. Impone controlli stringenti su coltivazione, produzione e distribuzione. Richiede etichettatura obbligatoria con contenuto di THC e CBD chiaramente indicato. Vieta la pubblicità rivolta ai minori. Finanzia programmi di educazione pubblica sui rischi.
Cosa è successo? Il mercato nero è crollato. Secondo dati governativi, nel 2022 circa il settanta per cento dei consumatori canadesi comprava cannabis da fonti legali, rispetto al venti per cento pre-legalizzazione.40
Le entrate fiscali? Miliardi di dollari canadesi all’anno. Investiti in educazione, prevenzione, sanità.
I consumi giovanili? Non sono aumentati. Alcuni studi mostrano addirittura una leggera diminuzione, probabilmente perché i controlli sull’età nei negozi legali sono più severi di quelli degli spacciatori.41
Il CBD in Canada è semplicemente una parte del quadro. Lo trovi nei negozi autorizzati, etichettato, analizzato, sicuro. Senza zone grigie.
Funziona? Sì. Il Canada non è diventato un paese di drogati. È diventato un paese che gestisce razionalmente una sostanza.
La filosofia canadese è la legalizzazione controllata. Meglio regolare che proibire inutilmente.
Stati Uniti: il federale complesso
Gli Stati Uniti sono un caso particolare perché hanno un sistema federale: una legge nazionale e cinquanta leggi statali che possono divergere.
A livello federale, la svolta è arrivata con il Farm Bill del 2018.42 Quella legge ha rimosso la canapa industriale (cannabis con meno dello zero virgola tre per cento di THC) dalla definizione di marijuana nel Controlled Substances Act.
Traduzione: a livello federale, il CBD estratto da canapa con THC sotto lo zero virgola tre per cento è legale.
È stato un terremoto. Nel giro di pochi anni il mercato del CBD è esploso. Oli, capsule, creme, bevande, perfino cibo per cani. Lo trovi nei negozi specializzati, nelle farmacie, nei supermercati, online.
Ogni stato poi ha le sue regole. Alcuni stati hanno legalizzato anche la cannabis ad alto THC (California, Colorado, Washington). Altri mantengono il proibizionismo sulla marijuana ma permettono il CBD. Altri ancora hanno leggi più restrittive.
È un mosaico. Ma il quadro federale dà certezza: il CBD da canapa è ok.
Ci sono problemi? Sì. La FDA non ha ancora completato la regolamentazione del CBD come integratore alimentare, quindi esistono prodotti con etichettature imprecise o contenuti non corrispondenti a quanto dichiarato. Ma il trend è verso un maggiore controllo, non verso il divieto.
Funziona? Sì. Il mercato vale miliardi di dollari. Milioni di americani usano CBD per vari scopi. Non c’è allarme sociale. C’è solo un settore economico in crescita che lentamente viene regolamentato.
La filosofia americana è il federalismo pragmatico. Una base legale federale, poi ogni stato decide.
Israele: il pioniere
Cambiamo continente. Israele è forse il paese più avanzato al mondo nella ricerca e uso medico della cannabis, CBD incluso.
Perché Israele? Perché lì è nato Raphael Mechoulam, il “padre della ricerca sui cannabinoidi”. Quello che negli anni Sessanta ha isolato il THC e il CBD, che ha scoperto il sistema endocannabinoide. Un gigante della scienza.43
Il governo israeliano, saggiamente, ha investito su quella eredità. Dal 1990 esiste un programma nazionale di cannabis medica. Oggi oltre centoventimila pazienti israeliani hanno accesso legale a cannabis e CBD per uso terapeutico.44
Non è libera vendita. È un programma medico strutturato. Serve la prescrizione di un medico autorizzato. Ma le indicazioni sono ampie: dolore cronico, PTSD, epilessia, sclerosi multipla, Parkinson, cancro (per nausea e dolore), e altre.
I prodotti sono forniti da aziende farmaceutiche autorizzate, con controlli di qualità rigorosi. Ci sono formulazioni con alto CBD e basso THC, con rapporti bilanciati, con alto THC. Il medico prescrive in base alla condizione del paziente.
Il risultato? Un sistema che funziona. I pazienti hanno accesso controllato a una terapia che molti trovano efficace. Lo Stato mantiene tracciabilità e controllo. Le aziende investono in ricerca.
Israele ha anche finanziato ricerca clinica avanzata sul CBD: studi su autismo, PTSD, malattie infiammatorie intestinali, fibromialgia. Contributi scientifici che beneficiano il mondo intero.
Funziona? Sì. Israele è diventato un modello globale per l’uso medico della cannabis. In Israele, dunque, il CBD non si compra per rilassarsi: si prescrive per curare. La libertà è nella scienza, non nel fai-da-te.
La filosofia israeliana è la medicina evidence-based. Se una sostanza ha potenziale terapeutico, va studiata e resa disponibile ai pazienti. Con metodo scientifico, non ideologia.
Australia: il farmaceutico
Salto in Oceania. L’Australia ha scelto un approccio intermedio.
Nel 2021 ha classificato il CBD a basso dosaggio come Schedule 3 del Therapeutic Goods Act.45 Cosa significa? Che può essere venduto in farmacia senza ricetta medica (come farmaco da banco), ma solo per prodotti autorizzati dall’agenzia regolatoria TGA e con limiti: massimo centocinquanta milligrammi di CBD al giorno.
È un OTC (over-the-counter) regolato. Il farmacista può consigliare, ma è sua responsabilità verificare che il paziente sia idoneo.
Nella realtà dei fatti l’offerta è ancora limitata perché pochi prodotti hanno ottenuto la registrazione TGA (il processo è lungo e costoso). Ma il quadro normativo è chiaro: se un’azienda vuole vendere CBD da banco, può farlo. Basta seguire le regole.
Funziona? Sì, anche se con volumi ancora bassi. Ma il modello è solido: accesso controllato ma non eccessivamente restrittivo.
La filosofia australiana è il compromesso farmaceutico. Il CBD non è libero, ma non è nemmeno stupefacente. È un farmaco da banco, come l’ibuprofene.
Uruguay: il visionario
Torniamo nel continente americano. Uruguay, 2013.
Primo paese al mondo a legalizzare completamente la cannabis. Con produzione e distribuzione controllate dallo Stato.46
I cittadini uruguaiani possono coltivare fino a sei piante a casa. Possono unirsi a club della cannabis, che sono cooperative di coltivatori registrate. Possono comprare cannabis in farmacia, dove viene distribuita con il marchio statale.
Il CBD è parte integrante di questo sistema. Le farmacie distribuiscono anche estratti ad alto contenuto di CBD per uso medico.
È il modello più “liberale”, ma anche il più controllato. Tutto passa per canali statali. Niente pubblicità. Niente marketing. Registro nazionale degli utenti.
Funziona? Sì e no. Il mercato legale copre circa il quaranta per cento dei consumi. Il mercato nero non è sparito, ma si è ridotto. Succede perché il modello uruguaiano è fortemente regolato. Per comprare serve iscriversi a un registro statale, i quantitativi sono limitati, le varietà ufficiali poche e a basso contenuto di THC. Molti preferiscono restare nell’ombra, altri cercano prodotti diversi. Ma la criminalità legata al traffico si è sgonfiata, e lo Stato ha conquistato ciò che conta davvero: trasparenza, sicurezza, controllo.47
E soprattutto: nessun disastro sociale. L’Uruguay non è collassato. È semplicemente un paese che ha fatto una scelta radicale e la sta gestendo.
La filosofia uruguaiana è la legalizzazione totale controllata. Lo Stato gestisce tutto, dalla coltivazione alla vendita.
Il filo conduttore
Sette paesi. Sette modelli diversi. Alcuni più restrittivi (Israele, Australia), altri più permissivi (Canada, Uruguay), altri pragmatici (Svizzera, UK).
Ma tutti hanno una cosa in comune: chiarezza.
In Svizzera sai che il CBD con THC sotto l’uno per cento è legale. In Canada sai che puoi comprarlo nei negozi autorizzati. Nel Regno Unito sai che serve l’autorizzazione novel food. In Israele sai che serve la prescrizione medica. In Australia sai che è OTC (cioè farmaci da banco, acquistabili senza ricetta) in farmacia. Negli USA sai che il federale lo permette.
Possono piacere o non piacere questi modelli. Ma funzionano. Nessuno di questi paesi ha un mercato in zona grigia incontrollato. Nessuno ha migliaia di aziende legali distrutte da un decreto. Nessuno ha consumatori costretti a navigare nell’illegalità per comprare una sostanza sicura.
E in Italia? In Italia non sai. Non sai se è legale. Non sai dove comprarlo legalmente. Non sai chi controlla. Non sai quali rischi corri.
Questa è la differenza tra il fare una scelta e creare un pasticcio.
10. Il filo conduttore: hanno fatto una scelta
Ricapitoliamo. Sette paesi, sette approcci diversi. Ma non casuali. Dietro ognuno c’è una filosofia precisa.
Possiamo raggrupparli in tre modelli principali.
Modello uno: legalizzazione totale controllata
Canada e Uruguay rappresentano questo approccio. Legalizzano tutta la cannabis, THC incluso, ma con controlli statali ferrei.
Non è anarchia. È il contrario: massimo controllo attraverso la regolamentazione anziché attraverso il divieto. Lo Stato decide chi può produrre, come deve produrre, dove si può vendere, a chi, con quali etichette, con quali limiti.
Il principio sottostante è semplice: se una sostanza è richiesta da milioni di persone, proibirla crea solo un mercato nero incontrollato. Meglio legalizzarla e gestirla.
I risultati parlano: mercato nero crollato, entrate fiscali miliardarie, nessun aumento patologico dei consumi, controllo qualità garantito.
Il CBD in questi paesi è semplicemente una parte del quadro. Non serve distinguerlo particolarmente dal resto perché tutto è già regolamentato.
Modello due: programma medico avanzato
Israele incarna questo approccio. La cannabis (incluso il CBD) è vista come una risorsa terapeutica da studiare, comprendere, e rendere disponibile ai pazienti attraverso canali medici strutturati.
Non è libera vendita. Serve prescrizione medica. Ma le indicazioni sono ampie, i medici sono formati, i pazienti hanno accesso reale.
Il principio sottostante è evidence-based medicine: se gli studi mostrano efficacia, la sostanza va integrata nella pratica clinica. Con metodo scientifico, non pregiudizi.
I risultati: oltre centoventimila pazienti trattati, ricerca clinica all’avanguardia, sistema sanitario che funziona.
Il CBD qui ha pari dignità di qualsiasi altro farmaco. Viene prescritto, monitorato, ottimizzato caso per caso.
Modello tre: regolamentazione come integratore
Svizzera, Regno Unito, Australia e Stati Uniti (a livello federale) rappresentano questo approccio: lo stesso che aveva adottato anche l’Italia fino al 2024. Il CBD viene trattato non come droga né come farmaco da prescrizione, ma come ingrediente alimentare o prodotto da banco che richiede controlli specifici.
Nel Regno Unito è novel food. In Svizzera è prodotto di consumo con limiti sul THC. In Australia è OTC farmaceutico. Negli USA è estratto di canapa legale.
Le forme sono diverse, ma il principio è lo stesso: distinguere nettamente il CBD dal THC. Il primo è sicuro e va regolamentato come altri prodotti di consumo. Il secondo è psicoattivo e richiede controlli più stringenti.
I risultati: mercati legali fiorenti, consumatori protetti da standard di qualità, industria innovativa, zero allarmi sociali.
Il CBD qui è un prodotto come tanti altri. Controllato, sì. Ma disponibile.
Il denominatore comune
Al di là delle diverse scelte, tutti questi paesi condividono alcuni elementi chiave.
Primo: basano le loro scelte su evidenze scientifiche. Tutti hanno guardato i dati dell’OMS, della ricerca internazionale, degli studi clinici. E hanno concluso che il CBD non è una minaccia per la salute pubblica.
Secondo: distinguono CBD da THC. Nessuno di questi paesi confonde una sostanza non psicoattiva con una psicoattiva. La distinzione è chiara, normata, rispettata.
Terzo: creano regole chiare. Che siano più o meno restrittive, le regole sono univoche. Un operatore economico sa cosa può e non può fare. Un consumatore sa cosa può e non può comprare. Un controllore sa cosa deve verificare.
Quarto: controllano davvero. Non basta fare una legge. Serve applicarla. Questi paesi hanno investito in sistemi di controllo qualità, tracciabilità, vigilanza del mercato. Le regole sono rispettate perché c’è chi verifica.
Quinto: evitano le zone grigie. Non c’è spazio per interpretazioni creative, etichette ambigue, mercati paralleli tollerati. O una cosa è legale, o non lo è. E se non lo è, viene fermata.
Tutto ciò che l’Italia non ha fatto.
Il contrasto con l’Italia
Proviamo a confrontare.
In Svizzera compri CBD con THC sotto l’uno per cento. Sai che è legale. Sai dove comprarlo. Sai che è controllato. Fine.
In Italia? Compri CBD (forse) con THC sotto lo zero virgola due per cento. Non sai se è legale (dipende da dove viene). Non sai dove comprarlo legalmente (teoricamente da nessuna parte senza ricetta). Non sai se è controllato (probabilmente no). E intanto decine di siti lo vendono comunque, in una zona grigia che nessuno gestisce.
In Canada compri cannabis in un negozio autorizzato. L’etichetta ti dice esattamente quanto THC e quanto CBD c’è. Il personale è formato. La qualità è garantita dallo Stato. Fine.
In Italia? Prima la compravi legalmente. Poi improvvisamente no. Poi continui a trovarla online ma non sai se chi te la vende rischia sanzioni, se tu rischi sanzioni, se il prodotto è quello dichiarato, se domani verrà sequestrato tutto. E nessuno ti spiega niente.
Nel Regno Unito il CBD è novel food. Serve l’autorizzazione. Chi ha l’autorizzazione può vendere, chi non ce l’ha no. La FSA pubblica una lista delle aziende conformi. Fine.
In Italia? Il CBD è in Tabella B come stupefacente. Ma solo quello “ottenuto da estratti di cannabis”. E solo quello orale. E solo quello da infiorescenze. Ma se non dichiari la fonte? O dici che proviene da semi e steli (tanto nessuno controlla)? Oppure che è per uso tecnico? E se importi dall’UE? Nessuno lo sa davvero.
La differenza non è tra “paesi che hanno legalizzato” e “paesi che hanno vietato”. La differenza è tra paesi che hanno scelto una strada chiara e paesi che hanno creato un labirinto normativo, confuso e incompleto.
11. Le ragioni (dichiarate e probabili) del caos italiano
Arriviamo alla domanda centrale. Quella che probabilmente vi state facendo da un po’: ma perché? Perché l’Italia ha fatto questo casino?
Cerchiamo di capirlo. Senza complottismi, senza demonizzare nessuno. Con onestà intellettuale.
Le ragioni ufficiali
Partiamo da quello che hanno detto le istituzioni.
Il Ministero della Salute, presentando il decreto del 27 giugno 2024, ha citato due motivazioni principali per inserire il CBD orale in Tabella B: “assenza di studi tossicologici approfonditi sugli estratti vegetali di CBD” e “presunto rischio di abuso”.48
Il Ministro della Giustizia, presentando il decreto-legge 48/2025 sulle infiorescenze, ha parlato di “somiglianza morfologica” con la cannabis illegale e della necessità di “evitare ambiguità per le forze dell’ordine”.49
Queste sono le ragioni dichiarate. Analizziamole.
Assenza di studi tossicologici approfonditi? Questo è difficile da sostenere. Già nel 1961 le Nazioni Unite, nella Convenzione Unica sugli Stupefacenti, non avevano incluso il CBD tra le sostanze controllate, perché privo di effetti psicotropi o tossici rilevanti. Decenni dopo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato nel 2018 un rapporto dettagliato sul CBD, esaminando tutta la letteratura scientifica disponibile. Conclusione: profilo di sicurezza favorevole, nessun potenziale di abuso, nessuna tossicità rilevante.50
L’EMA ha autorizzato Epidyolex nel 2019 dopo studi clinici rigorosi che hanno valutato anche la sicurezza.51 La FDA aveva fatto lo stesso nel 2018.52 Studi su migliaia di pazienti, monitorati per anni.
Dire che mancano studi tossicologici è semplicemente falso. Gli studi ci sono. Sono pubblici. Sono stati condotti secondo gli standard più elevati della ricerca farmacologica.
Presunto rischio di abuso? Ancora più difficile. L’OMS è stata chiara: “In humans, CBD exhibits no effects indicative of any abuse or dependence potential”.50 Nessun effetto indicativo di potenziale d’abuso o dipendenza negli esseri umani.
Non è un’opinione. È il risultato di analisi sistematiche della letteratura scientifica. Il CBD non attiva i circuiti cerebrali della ricompensa. Non crea dipendenza fisica o psicologica. Non ha potenziale d’abuso.
Il THC sì. Il CBD no. È proprio questa la differenza fondamentale.
Somiglianza morfologica? Qui il discorso diventa surreale. Le infiorescenze di canapa light (THC sotto lo zero virgola due per cento) assomigliano a quelle di marijuana ad alto THC. Vero. Come una mela Golden assomiglia a una Granny Smith. Stesso frutto, varietà diverse.
Ma vietare una sostanza perché “somiglia” a un’altra sostanza illegale è un principio giuridico pericoloso. I papaveri da giardino somigliano ai papaveri da oppio. Dovremmo vietarli? L’acqua somiglia alla vodka (!). Il paracetamolo somiglia all’aspirina, che può avere effetti collaterali ben più gravi se abusata.
La somiglianza non è un criterio di pericolosità. La chimica lo è. E chimicamente, canapa light e marijuana ad alto THC sono sostanze diverse.
Ambiguità per le forze dell’ordine? Questo è forse l’unico argomento con un minimo di razionalità pratica. È vero che un agente sul campo non può distinguere a occhio una cima di canapa light da una di marijuana. Servono test. E i test richiedono tempo.
Ma questo è un problema di dotazioni tecniche, non di pericolosità della sostanza. Se il problema è “non riusciamo a distinguerle”, la soluzione è dotare le forze dell’ordine di test rapidi, non vietare tutto.
Molti paesi usano test salivari o reagenti chimici rapidi che danno un risultato in pochi minuti. La tecnologia esiste. Basterebbe investirci.
Vietare una sostanza sicura solo perché somiglia a una illegale è come vietare certe caramelle perché ricordano le pastiglie di ecstasy (che vengono prodotte appositamente per imitarne l’aspetto, ma non per questo si mette al bando il dolcetto originale e innocente…). L’aspetto non è la sostanza.
Le ragioni probabili (non dichiarate)
Ok, le motivazioni ufficiali non reggono. Quindi quali sono le ragioni vere?
Qui entriamo nel territorio delle ipotesi. Ma le scelte politiche raramente si spiegano con la logica scientifica. Per capire davvero perché l’Italia abbia deciso di imboccare la strada opposta a quella europea, bisogna guardare un po’ più in profondità.
Cultura e propaganda: la paura funziona sempre
Non è solo ignoranza. È anche convenienza politica.
Da decenni la parola “cannabis” in Italia evoca allarme, devianza, pericolo. È un riflesso culturale radicato negli anni Ottanta, quando l’eroina devastava famiglie intere e le droghe erano viste come il nemico pubblico numero uno. In quell’immaginario, cannabis uguale droga uguale male assoluto.
Oggi quella generazione non è più giovane, ma spesso ancora vota, e chi fa politica lo sa. Così, ogni volta che serve una bandiera identitaria, qualcuno rispolvera il vecchio lessico della paura. Non importa che il CBD non abbia alcun effetto psicoattivo: dire “droga” basta a spostare consensi. E in tempi in cui la politica vive di slogan più che di analisi, la paura resta un’arma semplice, economica e redditizia.
Non si tratta quindi di ministri ignoranti, ma di ministri che sanno esattamente come toccare le corde dell’elettorato più conservatore. In un Paese dove la sicurezza è percepita come valore morale prima ancora che come diritto, è facile ottenere applausi dicendo “tolleranza zero”, anche se si tratta di una pianta che non sballa nessuno.
Quella generazione che ha vissuto gli anni dell’eroina è ora al governo. Molti decisori politici hanno sessanta, settanta anni. Cresciuti in un’epoca in cui cannabis significava solo problemi. Per loro è tutto “marijuana”. È un pregiudizio culturale, non scientifico. Ma è potente. E politicamente spendibile.
La confusione tra CBD e THC (quando l’ignoranza fa legge)
Molti legislatori semplicemente non capiscono la differenza. Osservando i resoconti stenografici delle sedute parlamentari (atti ufficiali della Camera e del Senato), si vedono deputati parlare di “cannabis” senza mai distinguere tra cannabinoidi diversi.55
Per loro, se viene dalla pianta di cannabis, è droga. Fine. Il fatto che una molecola sballa e l’altra no non è un concetto che trova facilmente spazio nel dibattito politico. È ignoranza scientifica. Ma quando l’ignoranza scrive le leggi, nascono pasticci.
In più di un intervento parlamentare, durante la discussione sul DL 48/2025, è stato necessario ribadire esplicitamente che il CBD non è psicotropo e che la “canapa light” non è “droga”.56 Anche il testo normativo di riferimento, che vieta in blocco infiorescenze ed estratti, non distingue tra CBD e THC sul piano degli effetti: un’impostazione che non solo alimenta la confusione regolatoria, ma ostacola qualsiasi approccio scientificamente fondato.
Le forze dell’ordine e la scorciatoia del divieto
C’è poi un fattore pratico, di cui si parla poco ma che pesa molto: la gestione operativa.
Le forze dell’ordine, negli anni della cannabis light, hanno segnalato difficoltà obiettive. Un agente trova un sacchetto di infiorescenze: è legale o no? Per saperlo servono test di laboratorio, settimane di attesa, burocrazia, costi. Comprensibilmente, molti sindacati hanno chiesto chiarezza e strumenti rapidi.
Il problema, però, è come lo Stato ha scelto di risolverlo. Invece di fornire test portatili, formazione e protocolli adeguati, come avviene in altri paesi, ha preferito tagliare corto. Vietare tutto. Una soluzione comoda per chi deve controllare, disastrosa per chi produce legalmente.
È un modo di fare leggi al contrario: adattare la norma alla comodità del controllo, invece che alla realtà della sostanza. Così si elimina l’ambiguità, certo. Ma insieme all’ambiguità si eliminano anche la logica e ventimila posti di lavoro.
Paura, inerzia e scarico di responsabilità
Qui sì, è mancato il coraggio. Ma non quello di osare, bensì di proteggere ciò che stava nascendo.
Difendere un settore sostenibile, innovativo e in crescita avrebbe richiesto visione, e, appunto, coraggio. Avrebbe significato riconoscere il valore della canapa come risorsa, non come minaccia. Ma serviva la forza di resistere alla pressione dei comparti più grandi, più radicati, più potenti.
Il principio di precauzione è stato usato come travestimento, una maschera dietro cui si è nascosta una scelta che sembrava già scritta: quella di affossare un settore che funzionava troppo bene per restare innocuo. Il governo non ha “evitato un rischio”, ne ha creato uno enorme, economico, sociale e giuridico, pur di mostrarsi inflessibile su un tema che spaventa una parte dell’elettorato e rassicura interessi consolidati.
Non c’era bisogno di vietare: bastava vigilare, migliorare i controlli, investire nei test rapidi, garantire tracciabilità. Si è preferito invece inscenare la pantomima della “tutela della salute pubblica”, come se il CBD fosse un pericolo da cui difendere il Paese.
Ma stavolta dietro la prudenza non c’è cautela: c’è propaganda. E quando la propaganda detta legge, la realtà si piega. Si perdono aziende sane, posti di lavoro, investimenti, credibilità. Un intero comparto agricolo è stato sacrificato non per errore, ma per calcolo politico.
Gli interessi economici: quando la canapa disturba
Poi c’è il capitolo più scomodo, ma inevitabile: gli interessi economici.
Non serve credere ai complotti per riconoscere che alcune scelte politiche hanno effetti molto comodi per certi settori. La canapa è una pianta straordinaria. Bonifica i terreni dai metalli pesanti, cresce senza pesticidi, assorbe CO₂ più di molti alberi, fornisce fibra tessile, bioplastica, biocarburante, alimenti e materiali da costruzione.57 Un singolo ettaro di canapa può rendere inutili un intero ciclo di bonifica chimica o un’intera filiera plastica.
Capite il problema?
Chi vive di bonifiche milionarie finanziate con fondi pubblici, o chi produce materiali fossili, non ha nessun interesse a veder crescere una coltura che bonifica gratis e produce alternative ecologiche. Le inchieste di Legambiente e dell’ISPRA mostrano da anni che le ecomafie sono fortemente presenti nel settore delle bonifiche ambientali.58 Un’espansione della canapa industriale significherebbe togliergli terreno, letteralmente.
E poi c’è il comparto tessile. Il “canapone” emiliano o la fibra di canapa toscana erano eccellenze italiane fino agli anni Cinquanta.59 Oggi un loro ritorno su larga scala farebbe concorrenza diretta a cotone, viscosa e poliestere. In gioco c’è un equilibrio economico che non ha nessuna voglia di cambiare. E quando un settore sostenibile mette in discussione i profitti consolidati di altri, difficilmente riceve protezione politica.
Il risultato: un disastro perfettamente spiegabile
Mettete insieme questi pezzi: il conservatorismo culturale che porta voti, la presunta confusione scientifica di chi legifera, la pressione delle forze dell’ordine che chiedono semplicità, la paura di assumersi responsabilità, gli interessi economici che preferiscono lo status quo.
Non serve nessun grande complotto. Basta un Paese che si muove, come spesso accade, per paura, inerzia e convenienza.
Il risultato è una legge che non risolve nessun problema e ne crea dieci nuovi: un settore legale distrutto, un mercato nero rinvigorito, cittadini confusi e uno Stato che perde credibilità.
Non è malafede. È, come sempre, la somma di mediocrità perfettamente allineate.
12. Il conflitto con l’Europa: la legge italiana fuori rotta
E come se non bastasse il caos interno, ora si apre anche il fronte europeo. Perché all’interno dell’Unione le regole non finiscono ai confini: un divieto nazionale che contraddice una normativa comune prima o poi genera un conflitto. E l’Italia, con questa legge, è già sulla traiettoria d’impatto.
La sentenza Kanavape
Torniamo alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 19 novembre 2020, causa C-663/18.53
I fatti: due imprenditori francesi vendevano sigarette elettroniche con liquido al CBD importato dalla Repubblica Ceca. Le autorità francesi le sequestrano, sostenendo che il CBD è illegale in Francia.
Gli imprenditori fanno ricorso. Il caso arriva fino alla Corte di Giustizia UE.
La Corte stabilisce alcuni principi fondamentali.
Primo: il CBD estratto dalla pianta di cannabis non ha, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, effetti psicotropi né effetti nocivi per la salute umana.
Secondo: il CBD non è classificato come stupefacente dalla Convenzione Unica ONU del 1961 (che copre solo le sommità fiorite con THC, non il CBD puro).
Terzo: un prodotto contenente CBD legalmente prodotto in uno Stato membro (in quel caso, Repubblica Ceca) non può essere vietato in un altro Stato membro a meno che tale divieto sia necessario per proteggere la salute pubblica e sia proporzionato a tale obiettivo.
Quarto: eventuali restrizioni devono basarsi su valutazioni scientifiche aggiornate e non possono essere giustificate da mere ipotesi di pericolo.
Questa sentenza è vincolante per tutti gli Stati membri dell’UE.
Il problema italiano
Ora applichiamo questi principi all’Italia.
L’Italia ha vietato il CBD orale classificandolo come stupefacente. Le motivazioni ufficiali parlano di “assenza di studi” e “presunto rischio di abuso”.
Ma la Corte UE ha detto che il CBD non ha effetti psicotropi o nocivi noti. L’ONU lo aveva già escluso nel 1961 dalle sostanze stupefacenti, proprio per l’assenza di effetti psicotropi. L’OMS lo conferma, e anche tutta la ricerca scientifica lo conferma.
L’Italia può vietare una sostanza che il resto dell’Unione Europea considera sicura? Solo se dimostra, con evidenze scientifiche concrete e aggiornate, che esiste un rischio reale e proporzionato per la salute pubblica.
Quelle evidenze ci sono? No.
Questo pone l’Italia in una posizione giuridicamente fragile.
La libera circolazione delle merci
C’è poi il principio della libera circolazione delle merci all’interno del mercato unico europeo, sancito dall’articolo 34 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.54
Se un prodotto al CBD è legalmente prodotto e venduto nei Paesi Bassi, in Germania o in Spagna (dove è considerato novel food o integratore), un cittadino italiano dovrebbe poterlo importare per uso personale senza ostacoli.
Invece, cosa succede? La dogana italiana sequestra pacchi contenenti CBD proveniente da altri Stati membri, citando il decreto italiano.
È una restrizione alla libera circolazione. Ed è ammissibile solo se giustificata da motivi imperativi di interesse generale (salute pubblica) e proporzionata.
Ma se la Corte UE ha già stabilito che il CBD non è pericoloso, su quali basi l’Italia giustifica questi sequestri?
Nessuna procedura di infrazione (ancora)
Sorprendentemente, la Commissione Europea non ha ancora avviato una procedura di infrazione contro l’Italia per questa vicenda.
Perché? Le ragioni sono più politiche che giuridiche. Prima di aprire un’infrazione formale, Bruxelles tenta sempre la via diplomatica: chiede chiarimenti ai ministeri competenti, valuta le risposte, prova a risolvere in silenzio. È la logica del “cooperare prima, procedere dopo”.
C’è poi un altro fattore: sul CBD l’Europa cammina con il freno tirato. L’EFSA non ha ancora concluso la valutazione sul suo impiego come ingrediente alimentare, segnalando la necessità di dati più completi su esposizione e interazioni.
Non si parla di pericolosità né, tantomeno, di sostanza stupefacente, ma di parametri tecnici di consumo, come accade per qualsiasi nuovo alimento o integratore.
Infine, molti ricorsi sono ancora pendenti nei tribunali italiani. La Commissione preferisce vedere come si assesta la giurisprudenza nazionale prima di passare alle maniere forti.
Ma la tensione c’è, eccome. Diversi operatori stanno valutando ricorsi diretti a Bruxelles, e nei contenziosi con le dogane italiane la sentenza Kanavape viene già citata come precedente.
Prima o poi, la questione arriverà sul tavolo europeo.
Il paradosso: dentro l’UE, fuori dalle regole
L’Italia è nell’Unione Europea. Beneficia del mercato unico, della libera circolazione, delle politiche comunitarie.
Ma su questo tema fa finta di non farne parte. Ignora le sentenze della Corte UE. Ignora le linee guida dell’OMS (che pure non sono vincolanti, ma sono il punto di riferimento scientifico globale). Crea barriere alla libera circolazione.
È un paradosso insostenibile.
O l’Italia modifica la normativa allineandosi al resto d’Europa, o prima o poi verrà sanzionata.
13. Una legge che non regge
Siamo arrivati al punto cruciale di questa storia: capire perché il sistema, così com’è, non regge più.
Cosa abbiamo imparato
Ripercorriamo la storia.
Il CBD è una molecola sicura, non psicoattiva, con potenziale terapeutico documentato. L’OMS lo dice. La FDA e l’EMA lo confermano approvandolo come farmaco. La ricerca scientifica lo supporta.
In Italia, tra il 2016 e il 2024, il CBD era disponibile legalmente. Si era creato un settore economico fiorente: trentamila addetti, due miliardi di valore, migliaia di aziende agricole. Un esempio di green economy, di agricoltura sostenibile, di innovazione.
Nell’estate del 2024 e nella primavera del 2025, due decreti hanno cambiato tutto. Il CBD orale è stato inserito in Tabella B come stupefacente. Le infiorescenze sono state vietate.
Le motivazioni ufficiali non reggono al confronto con le evidenze scientifiche. Le ragioni probabili sono un mix di pregiudizio culturale, ignoranza, pressioni operative, inerzia burocratica.
Il risultato? Un settore legale decimato. Ventiduemila posti di lavoro persi. Un miliardo e quattrocento milioni di euro di economia svaniti. Migliaia di consumatori senza alternative legali.
Il mercato non è scomparso: si è solo spostato in una zona grigia, dove lo Stato non incassa e non controlla. Operatori che vendono con etichette ambigue, import dall’estero, mercato nero rinvigorito.
Lo Stato ha perso: controllo, entrate fiscali, tracciabilità, credibilità legislativa.
Nel frattempo, il resto d’Europa e del mondo va avanti. Svizzera, Canada, Regno Unito, Israele, Stati Uniti, Australia: tutti hanno fatto scelte chiare. Alcuni più permissivi, altri più restrittivi, ma tutti chiari.
L’Italia ha fatto un pasticcio.
Le contraddizioni insostenibili
Ricapitoliamo le contraddizioni di questa normativa.
Contraddizione scientifica: l’Organizzazione Mondiale della Sanità dice che il CBD è sicuro, l’Italia lo classifica come stupefacente.
Contraddizione economica: l’Italia distrugge un settore agricolo sostenibile nazionale e favorisce l’import estero o il mercato nero.
Contraddizione sociale: la legge doveva proteggere la salute pubblica, invece spinge i consumatori verso prodotti non controllati, meno sicuri.
Contraddizione giuridica: l’Italia è in tensione con la giurisprudenza europea e con i principi del mercato unico.
Contraddizione pratica: la legge vieta sulla carta, ma nella realtà il mercato continua a esistere, semplicemente senza controllo.
Queste contraddizioni non sono sostenibili nel lungo periodo. Una legge che non riflette la realtà, che non viene applicata coerentemente, che crea più problemi di quanti ne risolva, è una cattiva legge. E prima o poi deve cambiare.
Il punto di non ritorno
L’Italia si trova ora a un bivio.
Prima opzione: applicare davvero la legge. Bloccare tutto. Sequestri massicci, controlli sistematici, chiusura di tutti i siti che vendono CBD in zona grigia, stop all’import dall’UE anche a costo di conflitto con Bruxelles. Conseguenze? Mercato completamente sotterraneo, zero controllo qualità, maggiori rischi per i consumatori, conflitto con l’Europa, immagine internazionale disastrosa.
Seconda opzione: lasciare tutto com’è. Legge esistente ma non applicata. Mercato in zona grigia tollerato. Status quo. Conseguenze? Incertezza permanente per operatori e consumatori, nessuna entrata fiscale, nessun controllo, delegittimazione dello Stato e delle sue leggi.
Terza opzione: cambiare la legge. Tornare alla ragione. Riconoscere che il CBD non è il nemico. Regolamentarlo come fanno altri paesi civili. Conseguenze? Settore che può ripartire, consumatori protetti, controlli reali, entrate fiscali, allineamento con l’Europa, credibilità recuperata.
Quale sceglierà l’Italia? Al momento, sembra bloccata nell’opzione due: legge fantasma, mercato in zona grigia, paralisi decisionale. Ma non può durare per sempre.
14. Conclusione – Dal pasticcio alla chiarezza
All’inizio di questo dossier vi ho fatto un quiz. Vi ho chiesto se il CBD fosse sicuro, se creasse dipendenza, se fosse pericoloso. Le risposte scientifiche erano tutte no.
Poi vi ho chiesto: in Italia è vietato?
E la risposta era: dipende.
Ora, dopo questo viaggio, capite perché quella risposta è così assurda.
Il CBD non è vietato perché pericoloso. È vietato perché qualcuno ha confuso pericolosità con somiglianza, scienza con precauzione ideologica, regolamentazione con proibizione.
E il risultato non è una società più sicura. È una società più confusa, con un mercato meno controllato, con consumatori meno protetti, con operatori economici onesti penalizzati e disonesti favoriti.
I tre errori fondamentali
L’Italia ha fatto tre errori fondamentali.
Primo errore: vietare senza distinguere. CBD e THC sono molecole diverse, con effetti diversi, con profili di sicurezza diversi. Confonderle è un errore scientifico. Trattarle allo stesso modo è un errore legislativo. Non si fa una buona legge mettendo nello stesso calderone cose diverse solo perché provengono dalla stessa pianta.
Secondo errore: vietare senza controllare. Una legge senza applicazione è peggio di nessuna legge. Crea illusione di ordine mentre regna il caos. Se vieti qualcosa, poi devi controllare. Servono risorse, personale, sistemi di tracciabilità, laboratori, coordinamento tra enti. L’Italia ha fatto il decreto ma non ha costruito il sistema di controllo. Risultato? Legge che esiste solo sulla carta mentre il mercato fa quello che vuole.
Terzo errore: vietare senza alternative. Se togli a migliaia di persone l’accesso a una sostanza che usavano per gestire ansia, dolore, insonnia, devi dare loro un’alternativa legale e accessibile. Dire “tornate alle benzodiazepine” non è un’alternativa. Dire “prendete appuntamento per una prescrizione che probabilmente non otterrete” non è un’alternativa. Senza alternative, hai solo creato domanda insoddisfatta. E la domanda insoddisfatta trova sempre un’offerta. Illegale, ma la trova.
Cosa si poteva fare (e si può ancora fare)
Non serviva inventare nulla di nuovo.
Bastava guardarsi intorno.
Dal Regno Unito alla Svizzera, dall’Australia a Israele: ovunque il CBD è stato inquadrato con buon senso.
Farmaco da banco, integratore regolato, limite di THC, programma medico controllato: forme diverse, stessa logica.
Chiarezza. Proporzionalità. Responsabilità.
Nessuno di quei Paesi ha scelto la strada del caos, nessuno ha scambiato la prudenza per proibizionismo.
Noi sì.
E il risultato lo vediamo: un settore legale spazzato via, un mercato in zona grigia che prospera indisturbato, uno Stato che perde soldi, fiducia e credibilità.
Non serve copiare. Serve solo imparare e ammettere che, questa volta, abbiamo sbagliato strada.
L’auspicio finale
Non serve legalizzare tutto.
Serve riconoscere la realtà.
Chiedo che le leggi tornino a basarsi sui fatti, non sulle paure.
Che si distingua tra una sostanza sicura e una pericolosa. Tra CBD e THC. Tra scienza e propaganda.
L’OMS lo dice da anni. L’ONU lo conferma. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea l’ha scritto nero su bianco.
E tutta la ricerca scientifica internazionale lo ribadisce: il CBD non è stupefacente, non crea dipendenza, non fa male.
A ignorarlo non è la scienza. È la politica.
E quando la politica chiude gli occhi, la realtà non scompare: si deforma.
Si piega alle convenienze, agli interessi, alle paure.
Mettere mano a questo pasticcio non sarebbe un atto di coraggio.
Sarebbe un atto di onestà.
Perché ogni legge che punisce la ragione, prima o poi, presenta il conto.
Il messaggio finale
Il CBD non è il problema.
Il problema è come abbiamo deciso di non gestirlo.
Abbiamo preso una molecola sicura, studiata, utile.
E l’abbiamo trasformata in un caso nazionale.
Abbiamo distrutto un settore pulito, creato zone grigie immense, confuso cittadini, operatori e forze dell’ordine.
Per cosa?
Per “proteggere la salute pubblica”? No. Oggi la salute pubblica è meno protetta di prima.
Per “combattere la criminalità”? No. L’abbiamo solo spinta a prosperare nel mercato nero.
Per “seguire la scienza”? No. L’abbiamo ignorata.
La verità è più semplice e più scomoda: è stata una scelta politica.
Fatta di paura, di inerzia, di calcolo.
Non per errore, ma per convenienza.
Eppure, nulla è irreversibile.
Le leggi si possono correggere.
Le scelte si possono cambiare.
I pasticci si possono rimettere a posto.
Altrove hanno deciso: giustamente o sbagliando, non importa, ma con chiarezza.
Qui abbiamo scelto la nebbia.
E quando la nebbia si diraderà, resterà solo l’evidenza che avevamo tutto:
le prove, la tecnologia, la ricerca, la possibilità di fare bene.
E abbiamo scelto di non usarle.
Questa non è una questione di cannabis.
È una questione di serietà politica.
E finché non lo capiremo, continueremo a fare leggi che puniscono la realtà invece di governarla.
NOTE
- WHO Expert Committee on Drug Dependence (ECDD), Cannabidiol Critical Review Report, 2018
- Rischi psichiatrici da uso di THC, specie in adolescenti: aumento rischio psicosi, disturbi cognitivi, dipendenza psicologica. National Institute on Drug Abuse (NIDA), dati epidemiologici
- Sistema endocannabinoide: scoperto negli anni ’90 studiando gli effetti della cannabis. Comprende recettori CB1 e CB2, endocannabinoidi endogeni (anandamide, 2-AG), enzimi di sintesi/degradazione
- WHO ECDD 2018: “In humans, CBD exhibits no effects indicative of any abuse or dependence potential”
- Circa 9% utilizzatori di cannabis sviluppa dipendenza; percentuale sale al 17% per chi inizia in adolescenza (NIDA)
- FDA 2018 approva Epidiolex (USA); EMA 2019 approva Epidyolex (UE) per epilessie farmaco-resistenti
- Storia di Charlotte Figi, sindrome di Dravet, documentata da CNN 2013 e successive pubblicazioni mediche
- Devinsky et al., “Cannabidiol in patients with treatment-resistant epilepsy: an open-label interventional trial”, The Lancet Neurology, 2016; seguito da trial controllato randomizzato, New England Journal of Medicine, 2017
- FDA (US) approva Epidiolex nel 2018; EMA (EU) approva Epidyolex nel 2019 per crisi epilettiche associate a sindrome di Lennox-Gastaut, Dravet, sclerosi tuberosa in pazienti ≥2 anni
- Blessing et al., “Cannabidiol as a potential treatment for anxiety disorders”, Neurotherapeutics, 2015; studi preliminari su interazione con recettori 5-HT1A (serotonina)
- Hammell et al., “Transdermal cannabidiol reduces inflammation and pain-related behaviours in a rat model of arthritis”, European Journal of Pain, 2016
- Studi osservazionali preliminari su CBD e sonno; evidenze ancora insufficienti per raccomandazioni cliniche definitive
- Ricerca preclinica su potenziali effetti neuroprotettivi del CBD in modelli di malattie neurodegenerative; fase molto preliminare
- Legge 2 dicembre 2016, n. 242, pubblicata in G.U. n. 304 del 30/12/2016: “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”
- Dati Coldiretti: circa 4.000 ettari coltivati a canapa in Italia nel 2018
- Stime associative del settore canapa/cannabis light in Italia (2023-2024): circa 30.000 addetti, valore economico complessivo stimato €1,9-2 miliardi. Fonti: Coldiretti, Confagricoltura, associazioni di categoria
- Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza n. 30475 del 30 maggio 2019: vendita derivati canapa lecita se prodotti “privi di efficacia drogante”
- Decreto Ministeriale Salute 27 giugno 2024, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 157 del 6 luglio 2024, efficace dal 5 agosto 2024
- Decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, art. 18 (G.U. n. 85 del 11/04/2025), convertito con modifiche nella Legge 9 giugno 2025, n. 80
- Dichiarazioni Ministro Giustizia Carlo Nordio in conferenza stampa presentazione DL Sicurezza, aprile 2025
- TAR Lazio, sospensiva cautelare DM 27/06/2024, settembre 2024
- TAR Lazio, sentenza n. 7509 del 16 aprile 2025: rigetta ricorsi, DM 27/06/2024 torna pienamente efficace
- Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), causa C-663/18 (Kanavape), sentenza 19 novembre 2020: CBD legalmente prodotto in uno Stato membro non può essere vietato in altro Stato senza motivazioni scientifiche proporzionate
- DM Salute 27 giugno 2024 (G.U. 6 luglio 2024), testo integrale
- DL 11 aprile 2025 n. 48, art. 18, convertito in Legge 9 giugno 2025 n. 80
- Circolare Ministero Salute 7 agosto 2024: chiarisce che il DM 27/06/2024 non si applica al CBD sintetico
- Convenzione Unica ONU sugli Stupefacenti, 1961, ratificata dall’Italia
- CGUE, sentenza C-663/18 (Kanavape), 19 novembre 2020
- Stime associative settore canapa/cannabis light Italia (fonti: Coldiretti, Confagricoltura, associazioni categoria)
- Dati Coldiretti 2023 su ettari coltivati a canapa in Italia
- EMA, European Public Assessment Report (EPAR) – Epidyolex, 2019
- Regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai prodotti cosmetici
- DPR 309/1990, art. 73: sanzioni per produzione/commercio sostanze stupefacenti
- CGUE, sentenza C-663/18 (Kanavape), 19 novembre 2020
- Legge federale svizzera sugli stupefacenti e sulle sostanze psicotrope (LStup); Federal Office of Public Health (FOPH), admin.ch
- Regolamento (UE) 2015/2283 relativo ai nuovi alimenti (novel food)
- Food Standards Agency (FSA), guidance ottobre 2023: raccomandazione 10 mg CBD/die per adulti sani
- UK Misuse of Drugs Regulations 2001: exempt product con max 1 mg THC per confezione e requisiti tecnici specifici
- Cannabis Act (S.C. 2018, c. 16), Government of Canada
- Dati Statistics Canada e Health Canada, rapporti annuali 2020-2022 su consumo cannabis post-legalizzazione
- Canadian Cannabis Survey, varie edizioni 2019-2023
- Agriculture Improvement Act of 2018 (Farm Bill 2018), 7 U.S.C. § 1639o
- Mechoulam R, contributi pionieristici: isolamento THC (1964), CBD (1963), scoperta sistema endocannabinoide (anni ’90)
- Dati Israeli Medical Cannabis Agency (IMCA), Ministry of Health, 2024
- Therapeutic Goods Administration (TGA), Australia: CBD Schedule 3 (Pharmacist Only Medicine) dal 2021, max 150 mg/die
- Ley n° 19.172 (Uruguay, dicembre 2013): legalizzazione e regolamentazione statale produzione/vendita cannabis
- Dati Junta Nacional de Drogas (JND), Uruguay, rapporti 2020-2023
- Relazione illustrativa DM Salute 27 giugno 2024
- Dichiarazioni Ministro Carlo Nordio, conferenza stampa aprile 2025
- WHO ECDD, Cannabidiol Critical Review Report, 2018
- EMA EPAR Epidyolex, 2019
- FDA, Epidiolex prescribing information, 2018
- CGUE, causa C-663/18 (Kanavape), sentenza 19 novembre 2020
- Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), art. 34: libera circolazione merci
- Resoconti stenografici delle sedute parlamentari, Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, discussione DL 48/2025 (marzo-aprile 2025). Disponibili su camera.it e senato.it
- Interventi parlamentari durante la discussione del DL 48/2025, in particolare le sedute della Commissione Giustizia del Senato (aprile 2025) in cui sono emersi chiarimenti sulla distinzione tra CBD e THC
- Proprietà fitorimedianti della canapa documentate in: Linger P. et al., “Industrial hemp (Cannabis sativa L.) growing on heavy metal contaminated soil: fibre quality and phytoremediation potential”, Industrial Crops and Products, 2002. Capacità di assorbimento CO₂: Bouché M.B. et al., “Carbon storage in hemp field”, Biotechnology, Agronomy and Society and Environment, 2018
- Legambiente, “Ecomafia 2024. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia”, rapporto annuale. ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), vari rapporti su bonifiche e criminalità ambientale
- Storia della canapicultura italiana: Ranalli P., “Current status and future scenarios of hemp breeding”, Euphytica, 2004. La produzione di canapa in Italia passò da oltre 100.000 ettari negli anni ’40 a poche centinaia negli anni ’70, con crollo delle varietà tradizionali come il Carmagnola e il Bolognese
💡 DOMANDE FREQUENTI SUL CBD
Le risposte alle domande che tutti si fanno
📚 Bibliografia essenziale
(ordine per aree: Scienza → Regolatori → Norme italiane → UE → Confronti internazionali → Interni Eywa)
Scienza & sicurezza
WHO ECDD (2018), Cannabidiol (CBD) – Critical Review Report.
https://www.who.int/medicines/access/controlled-substances/CannabidiolCriticalReview.pdf
[profilo di sicurezza: nessun potenziale di abuso/dipendenza; base OMS del dossier]Devinsky O. et al. (2017), Trial of Cannabidiol for Drug-Resistant Seizures in the Dravet Syndrome, New England Journal of Medicine.
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1611618
[evidenza clinica: approvazione farmaco al CBD]NIDA (DrugFacts: Marijuana / THC).
https://nida.nih.gov/publications/drugfacts/marijuana
[rischi psichiatrici associati al THC per distinguere CBD/THC]
Farmaci a base di CBD
EMA — EPAR Epidyolex.
https://www.ema.europa.eu/en/medicines/human/EPAR/epidyolex
[CBD approvato in UE per epilessie gravi]FDA — Press release Epidiolex (2018).
https://www.fda.gov/news-events/press-announcements/fda-approves-first-drug-comprised-active-ingredient-derived-marijuana-treat-rare-severe-forms
[prima approvazione mondiale: status terapeutico riconosciuto]
Normativa italiana
Legge 2 dicembre 2016, n. 242
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/12/30/16G00258/sg
[legalizzazione filiera canapa industriale; base per canapa light]DM Salute 27 giugno 2024
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2024/07/06/24A03606/sg
[classifica CBD orale tra stupefacenti; origine del “pasticcio”]DL 11 aprile 2025, n. 48 — art. 18
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2025/04/11/25G00060/sg
[divieto su infiorescenze e derivati: colpo al settore]Legge 9 giugno 2025, n. 80 (conversione DL 48/2025)
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2025/06/11/25G00085/sg
[divieto reso definitivo nel 2025]TAR Lazio, sent. 7509/2025
https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/decisione?id=7509-2025-TARLAZIO
[rigetta ricorsi: il decreto resta efficace]
Quadro UE & libera circolazione
CGUE — C-663/18 (Kanavape), sent. 19/11/2020
https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=233925&doclang=EN
[CBD non stupefacente; import UE non può essere vietato senza basi scientifiche]Reg. (UE) 2015/2283 — Novel Food
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32015R2283
[CBD come ingrediente alimentare regolamentato nell’UE]
Modelli internazionali (confronto, soluzioni alternative)
Svizzera — FOPH/UFSP: Cannabis & CBD
https://www.bag.admin.ch/bag/en/home/gesund-leben/sucht/cannabis.html
[soglia THC 1%: modello pragmatico “chiaro”]UK — Food Standards Agency: CBD Guidance
https://www.food.gov.uk/safety-hygiene/cannabidiol-cbd
[dose raccomandata; esempio di regolazione sanitaria]Canada — Cannabis Act (2018)
https://laws-lois.justice.gc.ca/eng/acts/C-24.5/
[legalizzazione regolata: controllo qualità + crollo mercato nero]Australia — TGA: CBD Schedule 3
https://www.tga.gov.au/news/media-releases/down-scheduling-of-low-dose-cannabidiol-to-schedule-3
[CBD da banco in farmacia fino a 150 mg/die]
Interni Eywa (solo quelli davvero utili alla navigazione del lettore)
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