- sabato 13 Dicembre 2025
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Il Giappone e la riforestazione che funziona davvero (e perché piantare alberi a caso è solo marketing)

I sink forestali europei stanno calando e le foreste assorbono sempre meno CO₂. Il Giappone mostra risultati migliori, ma non per magia: si tratta di gestione forestale basata su ecologia, non su KPI da report. Il metodo Miyawaki funziona perché ricostruisce ecosistemi, non pianta alberi in fila. La differenza tra sequestrare e stoccare stabilmente la CO₂ è fondamentale: le foreste giovani sono fragili, quelle mature sono affidabili nel lungo periodo. Le foreste non possono compensare emissioni che non riduciamo. Il green si fa, non si conta.

Negli ultimi mesi gira una notizia che sembra quasi controcorrente: mentre in Europa i sink forestali – cioè la capacità delle foreste di assorbire CO₂ dall’atmosfera e stoccarla nella biomassa – sono in calo evidente (dati alla mano, gli ultimi anni confermano), il Giappone viene citato come modello virtuoso di riforestazione e gestione forestale.

La tentazione è forte: prenderla come buona notizia, condividerla, archiviarla come “ecco la prova che funziona”.

La realtà è più scomoda. Ma anche più utile.

Il Giappone non è una favola verde da Instagram. È un caso di studio che funziona solo se lo guardiamo per quello che è davvero: un sistema complesso, pieno di contraddizioni, che però dimostra una cosa fondamentale. Le foreste funzionano quando smettiamo di usarle come alibi per non ridurre le emissioni.

Un paese molto boscoso, ma non per caso

Il Giappone ha circa il 67% del territorio coperto da foreste. Uno dei tassi più alti tra i paesi industrializzati. Questo dato viene citato come prova di grande attenzione ambientale.

Sbagliato.

Una parte consistente di queste foreste è frutto di rimboschimenti intensivi avvenuti nel secondo dopoguerra, spesso realizzati con monoculture di conifere a crescita rapida – principalmente cedri giapponesi (Cryptomeria japonica) e cipressi hinoki (Chamaecyparis obtusa). Impianti uniformi, densi, poco resilienti. Non biodiversità incontaminata. Non foresta “sana” in senso ecologico.

Eppure negli ultimi anni qualcosa è cambiato. In parte della gestione forestale più recente, alcuni progetti stanno spostando il focus dalla quantità alla qualità. Meno ettari da piantare per fare numero, più attenzione a come un ecosistema cresce, matura, resiste agli stress ambientali.

Il metodo Miyawaki: ecosistemi, non filari

Uno dei contributi più interessanti dal Giappone è il metodo Miyawaki, sviluppato dal botanico Akira Miyawaki negli anni ’70. Ormai è diventato quasi una buzzword, usata a sproposito ovunque. Ma il principio alla base è semplice e potente.

Non si piantano alberi isolati o filari ordinati. Si ricostruisce un ecosistema forestale completo, stratificato.

Il metodo funziona così: prima si identificano le specie vegetali potenziali naturali (PNV, Potential Natural Vegetation), cioè le specie autoctone che esisterebbero in quella specifica area senza intervento umano. Poi si pianta ad alta densità – parliamo di 3-5 piantine per metro quadrato – mescolando specie arboree, arbustive ed erbacee nello stesso impianto. Il suolo viene preparato per favorire la microbiologia del suolo e la simbiosi micorrizica, fondamentale per la salute dell’ecosistema. Dopodiché si lascia che la successione ecologica faccia il resto: competizione naturale, selezione, stratificazione verticale. Tutto quello che in una foresta naturale avverrebbe in decenni, qui viene accelerato attraverso le condizioni iniziali ottimali.

Il risultato sono micro-foreste urbane e periurbane che crescono molto più rapidamente rapidamente, diventano autosufficienti in 2-3 anni e ospitano biodiversità sorprendente anche in spazi ridotti.

Queste esperienze non risolvono il cambiamento climatico globale. Nessuno lo fa. Ma mostrano una direzione: la riforestazione funziona quando smette di essere un gesto simbolico e diventa un processo ecologico basato su dinamiche naturali.

La differenza cruciale: sequestro vs stoccaggio

Qui sta il punto che manca quasi sempre nel dibattito pubblico.

Sequestrare CO₂ (carbon sequestration) non è la stessa cosa che stoccarla stabilmente (carbon storage) nel lungo periodo.

Una foresta giovane cresce velocemente, ha un alto tasso di incremento annuo di biomassa, assorbe carbonio rapidamente. Ma è anche fragile. Un incendio, una siccità estrema, un’infestazione parassitaria (come quella del bostrico in Europa) e quel carbonio torna in atmosfera in giorni o settimane.

Le foreste mature invece crescono più lentamente, hanno un incremento annuo minore, ma accumulano carbonio stabile nei tronchi, nel legno morto (necromassa), nel suolo organico, nella lettiera forestale. Sono meno spettacolari nei report annuali, ma infinitamente più affidabili come stock di carbonio a lungo termine.

Il Giappone, in alcune politiche forestali più recenti, sta andando in questa direzione: meno enfasi sulla performance immediata nei report climatici, più attenzione alla resilienza ecologica delle foreste. È esattamente il contrario di molte strategie europee, ancora basate su stime ottimistiche dei sink naturali che poi regolarmente vengono smentite dai dati.

Certo, anche il Giappone ha le sue contraddizioni: molte foreste impiantate decenni fa restano sottoutilizzate, poco gestite, con accumuli eccessivi di biomassa secca che aumentano il rischio di incendi. Non esistono modelli perfetti. Esistono scelte di gestione migliori o peggiori.

La lezione scomoda per l’Europa

Guardare al Giappone non dovrebbe portarci a dire “vedete, basta riforestare e tutto si risolve”.

Dovrebbe portarci a porci una domanda più scomoda.

Perché stiamo chiedendo alle foreste di compensare ciò che non vogliamo smettere di emettere?

In Europa continuiamo a consumare suolo fertile a ritmi insostenibili, a intensificare l’agricoltura con pratiche che degradano il suolo, a tagliare e potare in modo aggressivo (gestione forestale estrattiva), a contare sui carbon offset forestali per tenere in piedi modelli produttivi invariati. Poi ci stupiamo se i sink forestali crollano.

Il Giappone, con tutte le sue contraddizioni, mostra che quando la gestione forestale cambia approccio, i risultati arrivano. Ma mostra anche un’altra cosa: la riforestazione funziona solo se è parte di una strategia sistemica di mitigazione climatica, non se viene usata come toppa per evitare di ridurre le emissioni.

Riforestare sì, ma senza illusioni

La vera notizia positiva non è che “il Giappone sta riforestando come non mai”.

La vera notizia è questa: è possibile progettare interventi forestali che rispettano le dinamiche ecologiche, aumentano la biodiversità funzionale e migliorano la capacità di stoccaggio stabile del carbonio nel tempo. Ma questo richiede competenze ecologiche, pazienza e soprattutto onestà politica.

Piantare alberi a caso non basta. Contare gli alberi piantati non serve. Usare le foreste come scusa per rimandare le riduzioni reali delle emissioni è un errore clamoroso, con conseguenze che stiamo già vedendo.

Se c’è una lezione da portare a casa è questa: la natura funziona quando smettiamo di trattarla come una tecnologia di compensazione e iniziamo a riconoscerla per ciò che è. Un sistema vivo, complesso, che ha bisogno di spazio, tempo e rispetto per le sue dinamiche.

Il resto è marketing climatico. E di quello ne abbiamo fin troppo.

Bibliografia essenziale

Tutto è connesso: il microbioma del suolo e la rete segreta che sostiene la vita
https://eywadivulgazione.it/tutto-e-connesso-il-microbioma-del-suolo-e-la-rete-segreta-che-sostiene-la-vita/
Dossier Eywa che spiega il ruolo fondamentale del suolo e dei microbi nella stabilità degli ecosistemi e nel ciclo del carbonio, concetto utile per comprendere perché il suolo conta quanto gli alberi (se non di più).

Forest and Forestry in Japan – Annual Report 2022
https://www.maff.go.jp/e/data/publish/attach/pdf/AnnualReportonForestandForestryinJapan_FY2023_web.pdf
Rapporto ufficiale sulla copertura forestale giapponese, con dati su estensione, funzioni multiple e struttura delle foreste, utile per confermare il fatto che circa due terzi del territorio sono boschivi e che gran parte è gestita attivamente.

Global Forest Watch – Japan Deforestation Rates & Statistics
https://www.globalforestwatch.org/dashboards/country/JPN/
Dashboard aggiornata che mostra perdita netta di foresta naturale e dati di copertura, utile per evidenziare dinamiche recenti di cambiamento forestale in Giappone.

Akira Miyawaki – Wikipedia
https://en.wikipedia.org/wiki/Akira_Miyawaki
Pagina bio su Akira Miyawaki e descrizione del suo metodo di riforestazione, che spiega il principio della vegetazione naturale potenziale e l’approccio ecologico di ricostruzione.

Seeing the forest for the trees? An exploration of the Miyawaki forest method in the UK
https://eprints.whiterose.ac.uk/id/eprint/218777/1/Seeing%20the%20forest%20for%20the%20trees%20%20An%20exploration%20of%20the%20Miyawaki%20forest%20method%20in%20the%20UK.pdf
Studio recente che esplora il metodo Miyawaki, la sua applicazione e i risultati osservati, utile per dare una base scientifica alla descrizione del metodo.

Potential Natural Vegetation – Wikipedia
https://en.wikipedia.org/wiki/Potential_natural_vegetation
Definizione di vegetazione naturale potenziale (PNV), concetto usato nel testo per spiegare la scelta delle specie nelle foreste Miyawaki.

Alice Salvatore
Alice Salvatore
Alice Salvatore, è una politica “scollocata”, il concetto di scollocamento è un atto di volontaria autodeterminazione. Significa abbandonare un lavoro sicuro e redditizio, per seguire le proprie aspirazioni e rimanere coerente e fedele al proprio spirito. Alice Salvatore si è dunque scollocata, rinunciando a posti di prestigio, profumatamente remunerati, per non piegare il capo a logiche contrarie al suo senso etico e alla sua coerenza. Con spirito indomito, Alice continua a fare divulgazione responsabile, con un consistente bagaglio esperienziale nel campo della politica, dell’ambiente, della salute, della società e dell’urbanistica. La nostra società sta cambiando, e, o cambia nella direzione giusta o la cultura occidentale arriverà presto al TIME OUT. Alice è linguista, specializzata in inglese e francese, ha fatto un PhD in Letterature comparate Euro-americane, e macina politica ed etica come respira.
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