- lunedì 01 Dicembre 2025
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Quando serve davvero separare le ciclabili: cosa dicono gli standard internazionali e perché in Italia continuiamo a ignorarli

Le ciclabili disegnate non bastano: servono infrastrutture sicure, progettate per proteggere davvero chi pedala.

Immagina la scena: sei in sella alla tua bici, con tuo figlio nel seggiolino dietro. Stai percorrendo quella che il Comune ha definito “pista ciclabile”: una striscia bianca dipinta sull’asfalto, larga poco più di un metro, schiacciata tra il traffico e le auto in sosta. I veicoli ti sfrecciano accanto a cinquanta all’ora, a pochi centimetri dalla tua gamba. Il bambino ride, ignaro, mentre tu stringi il manubrio e conti i minuti che ti separano dalla fine di questo corridoio d’ansia. Quella riga di vernice dovrebbe proteggerti, almeno sulla carta. Nella realtà, è poco più di una promessa cosmetica, un’illusione di sicurezza che si sgretola a ogni passaggio ravvicinato.

Questa non è un’iperbole. È l’esperienza quotidiana di migliaia di persone che provano ad andare al lavoro, a scuola o semplicemente a spostarsi in bici nelle nostre città. E mentre molte amministrazioni si affrettano a dipingere strisce e a inaugurare chilometri di “nuove ciclabili”, la domanda che dovremmo farci è più semplice e più urgente: queste infrastrutture sono davvero sicure? O sono solo il modo più economico per dire di aver fatto qualcosa?

Quando la bici convive e quando deve essere protetta

La bicicletta convive benissimo con il traffico motorizzato quando le condizioni lo permettono. In una strada residenziale con limite a 30 km/h, volumi di traffico bassi e automobilisti consapevoli, non serve separare nulla: ciclisti e auto condividono lo spazio senza rischi significativi. Il problema nasce quando questa convivenza diventa squilibrata. Quando le velocità aumentano, quando i volumi di traffico crescono, quando la differenza di massa e velocità tra una bici e un’auto diventa un fattore letale.

Sopra i 40 km/h, la sicurezza crolla. Sopra i 50 km/h, parlare di convivenza è semplicemente una follia.

Non è un’opinione ideologica, non è il capriccio di qualche attivista ciclabile. È ingegneria. È statistica. È la fisica dei corpi in movimento e l’energia cinetica in gioco quando qualcosa va storto.

Cosa dicono NACTO e CROW, i riferimenti più autorevoli al mondo

Quando si parla di progettazione di infrastrutture ciclabili, due nomi fanno testo a livello internazionale: NACTO e CROW.

Il primo è il manuale della National Association of City Transportation Officials, il riferimento tecnico più autorevole negli Stati Uniti.

Il secondo arriva dai Paesi Bassi, le nazioni con la più alta sicurezza ciclistica al mondo e decenni di dati reali su cui fondare le proprie linee guida.

Entrambi convergono su un punto fondamentale: con volumi di traffico elevati o velocità superiori ai 40 km/h, la separazione fisica è essenziale per garantire la sicurezza dei ciclisti.

Oltre i 50 km/h, diventa uno standard obbligato.

Questi limiti non sono arbitrari: sono il frutto di analisi approfondite sulle traiettorie, le capacità di frenata, i tempi di reazione e l’energia che si libera in caso di impatto. Quando un ciclista e un’auto entrano in collisione a velocità elevate, la differenza di massa trasforma l’incidente in un trauma che può essere fatale. La separazione fisica non è un dettaglio estetico: è ciò che fa la differenza tra tornare a casa e finire in ospedale.

Le soluzioni esistono già: basta applicarle

Le soluzioni non sono misteriose, né devono essere inventate da zero. Esistono già, sono state testate per decenni e funzionano.

La pista ciclabile rialzata, allo stesso livello del marciapiede, stacca naturalmente la bici dal traffico senza bisogno di muri o barriere aggressive: è una soluzione elegante, percepita come sicura da chi pedala e rispettosa dello spazio urbano.

C’è poi il cycle track, protetto da cordoli continui, con larghezze standard tra 1,8 e 2,2 metri per le monodirezionali e tra 3 e 4 metri per le bidirezionali.

Infine, la protezione tramite la fila di sosta, dove le auto parcheggiate diventano un cuscinetto tra bici e veicoli in movimento, ma solo se esiste uno spartitraffico adeguato (0,6–1 metro) e una progettazione conforme alle linee guida.

Un aspetto cruciale, sottolineato dal manuale CROW, è la continuità dell’infrastruttura: non bastano tratti separati se poi la pista si interrompe, costringe a slalom improvvisi o obbliga il ciclista a tornare nel traffico senza preavviso. La sicurezza percepita e reale si costruisce con percorsi coerenti, senza buchi, che accompagnano chi pedala dall’inizio alla fine del tragitto.

I numeri della sicurezza: perché separare funziona davvero

La separazione fisica riduce drammaticamente l’incidentalità perché riduce i conflitti: meno veicoli in svolta che tagliano la strada ai ciclisti, maggiore prevedibilità dei movimenti, più distanza reale tra corpi vulnerabili e masse in movimento, meno sorpassi stretti, meno stress.

E meno stress significa più persone disposte a usare la bici, perché si sentono finalmente al sicuro.

Il ritorno economico è altrettanto evidente. Meno incidenti significano meno costi sanitari, meno giornate lavorative perse, meno vite spezzate e famiglie distrutte. Gli studi mostrano che dove si separa bene, cresce l’uso della bici e cala il traffico automobilistico complessivo.

È un investimento che si ripaga, non solo in termini economici, ma in qualità della vita urbana.

Il problema italiano: perché ancora non lo facciamo?

Eppure, in molte città italiane ci si accontenta ancora della riga di vernice. Perché?

Perché è economica, immediata, visibile politicamente. Crea “la foto” per l’inaugurazione, ma non crea sicurezza.

È il paradosso delle nostre amministrazioni: spendiamo soldi per infrastrutture che non proteggono, e poi spendiamo ancora di più per gli incidenti che non abbiamo evitato.

Diverse analisi sottolineano che in Italia spesso si adottano soluzioni di basso impatto economico e visivo, come strisce di vernice, che non garantiscono una reale protezione, con conseguenti elevati rischi di incidenti. Il ritardo culturale rispetto alle città europee che hanno già adottato standard seri è lampante. E continua a costare vite.

La protezione non è un lusso, è un diritto

L’infrastruttura ciclabile è un’infrastruttura sociale, che restituisce tempo, salute e aria pulita.

Scegliere standard seri significa scegliere la vita delle persone.

Significa permettere a un genitore di accompagnare il figlio a scuola senza ansia, a una persona anziana di andare al mercato senza rischiare, a chiunque di spostarsi con dignità e sicurezza.

La separazione fisica non è un capriccio dei ciclisti. È ciò che permette alle persone di tornare a casa.

Bibliografia

Eywa – Dossier “Sicurezza in bici: quando le ciclabili non bastano”
Approfondimento completo sui limiti delle ciclabili dipinte, standard internazionali e soluzioni di sicurezza.
https://eywadivulgazione.it/cbd-italia-2025-legge-creato-caos/

NACTO – Urban Bikeway Design Guide
Linee guida statunitensi su separazione fisica, larghezze delle piste e progettazione delle infrastrutture ciclabili urbane.
https://nacto.org/publication/urban-bikeway-design-guide

CROW – Design Manual for Bicycle Traffic
Gold standard olandese per progettazione ciclabile: dimensioni, continuità, livelli di protezione e soglie di velocità.
https://www.crow.nl/publicaties/design-manual-for-bicycle-traffic

OECD/ITF – Cycling, Health and Safety
Analisi internazionale su sicurezza ciclistica, dinamiche degli incidenti e correlazioni tra velocità e rischio.
https://www.itf-oecd.org/cycling-health-and-safety

ECF – The Benefits of Cycling
Dati su benefici economici, sanitari e sociali delle infrastrutture ciclabili protette.
https://ecf.com/resources/the-benefits-of-cycling

Legambiente – Città2030 (Rapporto Mobilità)
Analisi italiana su qualità delle infrastrutture urbane, criticità delle ciclabili dipinte e ritardi nelle soluzioni protette.
https://www.legambiente.it

ISTAT – Report Incidenti Stradali
Statistiche ufficiali su incidentalità stradale, vulnerabilità dei ciclisti e dinamiche dei sinistri in ambito urbano.
https://www.istat.it/it/archivio/incidenti+stradali

ISFORT – Audimob, Rapporto sulla Mobilità
Indagini nazionali sui comportamenti di mobilità, uso della bici e carenze infrastrutturali nelle città italiane.
https://www.isfort.it

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