- lunedì 01 Dicembre 2025
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Quorum e referendum in Italia: come funziona, da dove viene, perché fa discutere

C’era una volta un Paese appena uscito da una dittatura. Era il 1947 e in Italia si discuteva su come costruire una democrazia nuova, più giusta, più partecipata. I lavori dell’Assemblea Costituente erano in pieno fermento. Una delle questioni più delicate riguardava lo strumento referendario: come permettere ai cittadini di intervenire davvero sulle leggi? Come garantire che la loro voce contasse, ma senza correre il rischio che una minoranza troppo piccola decidesse per tutti?

Fu in quel contesto che nacque il cosiddetto quorum di partecipazione: affinché un referendum abrogativo fosse valido, avrebbe dovuto votare almeno la metà più uno degli aventi diritto. Una soglia alta, ma ritenuta necessaria dai costituenti per proteggere l’equilibrio democratico da derive impulsive o da astensioni di massa.

Quorum referendum

All’epoca, va detto, l’affluenza era altissima: si raggiungeva tranquillamente l’80–90% dei votanti. Andare a votare era sentito come un dovere civico, un diritto conquistato. Nessuno avrebbe potuto immaginare che, decenni dopo, proprio quel quorum si sarebbe trasformato da garanzia a ostacolo sistemico alla partecipazione.

Il meccanismo del referendum

Il meccanismo è semplice: nei referendum abrogativi – cioè quelli in cui si chiede ai cittadini di cancellare una legge o una sua parte – serve il voto favorevole della maggioranza dei votanti, ma solo se ha votato almeno il 50% + 1 degli aventi diritto. Questo è stabilito dall’articolo 75 della Costituzione.

Anche se in teoria è una misura di tutela, nella pratica — soprattutto negli ultimi anni — si è trasformata in una leva strategica per neutralizzare il referendum stesso.

Infatti, chi vuole che una legge resti in vigore, spesso non invita a votare “No”, ma chiede agli elettori di non votare affatto, confidando nel mancato raggiungimento del quorum. L’astensione diventa così una tattica politica. Non si discute più nel merito della questione, ma si cerca di affossare preventivamente il confronto stesso.

E funziona: se l’affluenza è bassa, il referendum decade, anche se il 90% dei votanti ha espresso un Sì o un No netto. In altre parole, l’assenza pesa più della presenza, e chi resta a casa può contare più di chi si informa e partecipa.

Dalla nascita della Repubblica ad oggi, in Italia si sono svolti 72 referendum abrogativi (dal 1974 al 2022). Di questi, 39 hanno raggiunto il quorum e quindi sono stati validi, mentre 33 sono falliti per insufficiente partecipazione. Non sempre per disinteresse: in diversi casi, la mancata affluenza è stata il risultato di strategie astensionistiche deliberate, promosse da partiti o istituzioni per neutralizzare l’effetto del voto popolare.

Negli ultimi anni, questo meccanismo ha mostrato tutta la sua fragilità. Dopo il grande successo del referendum del 2011 – quello sull’acqua pubblica, sul nucleare e sul legittimo impedimento – con un’affluenza del 54,8% e oltre il 95% di “Sì”, nessun altro referendum abrogativo ha superato il quorum.

Nel 2022, ad esempio, si è votato su cinque quesiti riguardanti la giustizia: la partecipazione si è fermata attorno al 20,9%. E anche chi era già al seggio per altri motivi – ad esempio per le elezioni comunali – spesso ha rifiutato la scheda referendaria. Una scelta figlia non solo della disinformazione, ma anche di un clima culturale in cui il referendum è ormai percepito come inutile.

Il cortocircuito

Il risultato è un cortocircuito: chi si astiene per protesta, chi per disillusione, chi per distrazione… finiscono tutti nel calderone del quorum. E il sistema, di fatto, premia la non-partecipazione. Non perché lo abbia deciso chi non vota, ma perché la regola impone che il silenzio conti più della parola.

Non tutti i Paesi funzionano così. In Svizzera, ad esempio, non esiste il quorum. Se si tiene un referendum, chi vota decide. Chi si astiene, accetta implicitamente l’esito. La Svizzera vota spesso, con una media di circa 4 votazioni popolari federali all’anno, su tantissimi temi, e proprio questa frequenza ha portato a una partecipazione più selettiva ma anche più consapevole. Chi si sente preparato o coinvolto vota, chi no si fa da parte. Nessuno grida allo scandalo se va a votare solo il 40%: quella è la volontà attiva. Nessun politico fa campagna per l’astensione, perché sarebbe un controsenso. Il confronto è sempre sul merito.

Quorum Svizzera

Anche in Italia, in realtà, alcuni referendum non sono soggetti a quorum: è il caso dei referendum costituzionali, previsti dall’articolo 138 della Costituzione. In questi casi, il risultato è valido indipendentemente dall’affluenza. È un segnale importante: la nostra stessa architettura costituzionale prevede già strumenti di democrazia diretta senza soglia di partecipazione. E non per questo si è mai messa in discussione la legittimità dell’esito.

Anche i meccanismi di attivazione sono molto diversi.

I referendum costituzionali

I referendum costituzionali confermativi, previsti dall’articolo 138 della Costituzione, non sono di iniziativa popolare diretta: possono essere richiesti solo in seguito all’approvazione di una legge costituzionale da parte del Parlamento, ma senza la maggioranza qualificata dei due terzi. In quel caso, entro tre mesi, il referendum può essere promosso da un quinto dei membri di una Camera, da cinque Consigli regionali oppure da 500.000 elettori. Il popolo, dunque, ha voce in capitolo solo su iniziativa “a valle” di un iter parlamentare.

Al contrario, i referendum abrogativi, disciplinati dall’articolo 75, possono essere promossi direttamente dal basso, tramite la raccolta di almeno 500.000 firme certificate, oppure da cinque Consigli regionali.

Un processo molto più oneroso, che richiede mobilitazione, organizzazione, fondi e tempi strettissimi. Questa barriera iniziale seleziona fortemente i temi proposti e limita il rischio di derive minoritarie o demagogiche.

Ecco perché oggi, a distanza di quasi ottant’anni dalla nascita del quorum, ci si interroga: è ancora necessario mantenere una soglia così rigida, quando già l’accesso al referendum è regolato da filtri così selettivi?

Chi è a favore dell’abolizione del quorum sostiene che la vera democrazia non debba temere la partecipazione, e che chi non vota sceglie comunque: di delegare.

Alcuni propongono di superare il quorum assoluto del 50%+1 e di sostituirlo con un criterio più flessibile.

Ad esempio, si potrebbe introdurre un quorum relativo, calcolato non sugli aventi diritto al voto ma sul numero effettivo di votanti alle ultime elezioni politiche o europee, così da ancorarlo a un livello di partecipazione reale e più aggiornato.

Altri suggeriscono di collegare la validità del referendum alla qualità dell’informazione fornita ai cittadini, imponendo standard minimi di trasparenza nella campagna informativa, anche da parte delle istituzioni.

Un’altra ipotesi ancora è quella di potenziare i canali di informazione pubblica, con campagne di comunicazione istituzionale più chiare, accessibili e capillari, per aiutare le persone a capire davvero cosa stanno votando.

Quorum partecipazione

Quel che è certo è che il quorum, così com’è oggi, rischia di disincentivare proprio ciò che la Costituzione voleva promuovere: la sovranità popolare.

Il referendum dovrebbe essere una festa della democrazia, un momento di confronto maturo tra cittadini. Oggi, troppo spesso, è diventato una trappola aritmetica, dove si vince non convincendo, ma svuotando le urne.

Ripensare il quorum

Ripensare il quorum non significa disprezzare la prudenza dei costituenti, ma riconoscere che i tempi sono cambiati. E che la partecipazione – vera, libera, informata – va favorita, non ostacolata.

Siamo pronti a fidarci davvero della cittadinanza? A costruire un sistema dove a contare siano le scelte di chi partecipa, e non l’inerzia di chi si astiene?

Perché una democrazia non vive di regole astratte, ma di fiducia concreta nei cittadini.

Alice Salvatore
Alice Salvatore
Alice Salvatore, è una politica “scollocata”, il concetto di scollocamento è un atto di volontaria autodeterminazione. Significa abbandonare un lavoro sicuro e redditizio, per seguire le proprie aspirazioni e rimanere coerente e fedele al proprio spirito. Alice Salvatore si è dunque scollocata, rinunciando a posti di prestigio, profumatamente remunerati, per non piegare il capo a logiche contrarie al suo senso etico e alla sua coerenza. Con spirito indomito, Alice continua a fare divulgazione responsabile, con un consistente bagaglio esperienziale nel campo della politica, dell’ambiente, della salute, della società e dell’urbanistica. La nostra società sta cambiando, e, o cambia nella direzione giusta o la cultura occidentale arriverà presto al TIME OUT. Alice è linguista, specializzata in inglese e francese, ha fatto un PhD in Letterature comparate Euro-americane, e macina politica ed etica come respira.
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