- giovedì 29 Maggio 2025
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PAC e agricoltura italiana: perché il Sud resta indietro (e cosa si può fare)

Nonostante i miliardi messi in campo dalla Politica Agricola Comune (PAC), il divario tra Nord e Sud Italia in campo agricolo non accenna a ridursi. Anzi, in molti casi si allarga. Colpa di una burocrazia ostile, di infrastrutture carenti e di una gestione disomogenea dei fondi europei. Ma le soluzioni ci sono – e alcune sono già sulla carta. Basta attuarle.

Un’Europa agricola a due velocità

La PAC rappresenta oltre il 30% del reddito degli agricoltori italiani e, in alcune aree del Sud, arriva a coprire fino al 50%. Eppure, secondo i dati dell’ultimo dossier Ismea, il valore aggiunto per ettaro in regioni come Calabria o Sicilia è ancora inferiore del 40% rispetto a regioni come Lombardia o Emilia-Romagna. Il motivo? Non mancano i fondi, ma la capacità di utilizzarli efficacemente.

Le Regioni del Nord sono più rapide nell’attivare i Programmi di Sviluppo Rurale (PSR), hanno personale formato, sportelli digitali funzionanti, e un tessuto imprenditoriale più strutturato. Al Sud, invece, si inciampa in pratiche complesse, bandi poco accessibili e un sistema di assistenza tecnica frammentato. Il risultato è che molte aziende agricole – specie le più piccole – rinunciano a chiedere i fondi.

Burocrazia, il grande nemico

Il paradosso è lampante: fondi ci sono, ma gli agricoltori non riescono a ottenerli. La domanda di accesso ai pagamenti diretti PAC richiede conoscenze tecniche, documentazione precisa e una capacità gestionale che molte microimprese agricole non hanno. E nel Mezzogiorno – dove la digitalizzazione procede a rilento e i Centri di Assistenza Agricola (CAA) sono sotto organico – tutto diventa più difficile.

Nel frattempo, le aziende del Nord, più informatizzate e con personale dedicato, accedono ai fondi senza troppe difficoltà, spesso investendoli in tecnologie, logistica e promozione. Così, il divario si autoalimenta: chi ha, riceve di più. Chi ha poco, resta indietro.

Come colmare il divario: tre proposte concrete

1) Piattaforma unica e semplificata

Serve una piattaforma digitale nazionale che centralizzi tutte le pratiche relative alla PAC, interconnessa con Regioni, Ministero dell’Agricoltura e Unione Europea. Un sistema semplice, intuitivo e accessibile da mobile, dove ogni agricoltore possa monitorare in tempo reale lo stato delle proprie richieste. L’Italia ha già fatto passi simili in altri settori (es. SPID, app IO): è tempo che lo faccia anche per l’agricoltura.

2) Assistenza tecnica pubblica e gratuita nel Mezzogiorno

 I CAA devono essere rafforzati, soprattutto nelle aree svantaggiate. Una proposta: istituire un “corpo tecnico agricolo” sul modello dei navigator, composto da giovani agronomi e tecnici formati per accompagnare le imprese nei PSR, nella compilazione delle domande e nel rispetto delle eco-condizionalità. Un investimento pubblico che genererebbe lavoro qualificato e rilancerebbe il settore.

3) Credito agevolato e garanzie pubbliche per le PMI agricole del Sud

 Uno dei freni principali è l’accesso al credito: molte banche considerano le micro-aziende agricole del Sud a rischio e negano prestiti anche in presenza di bandi attivi. Lo Stato può intervenire con garanzie pubbliche (es. Fondo di Garanzia PMI) e strumenti di microcredito dedicati, magari gestiti tramite Cassa Depositi e Prestiti o Invitalia.

Una questione di equità (e di futuro)

Non si tratta solo di distribuire meglio le risorse: è in gioco l’identità stessa dell’agricoltura italiana. Le coltivazioni mediterranee – olio d’oliva, agrumi, ortofrutta, legumi – che fioriscono al Sud sono tra le più sostenibili d’Europa. Eppure sono le più penalizzate da un sistema che premia la quantità (ettari, superficie) e non la qualità (valore aggiunto, certificazioni, impatto ambientale positivo).

Se vogliamo un’agricoltura che sia davvero parte del Green Deal europeo, non possiamo permetterci che mezza Italia resti indietro. Il Sud non ha bisogno di assistenza, ma di strumenti equi. Di una PAC pensata per la sua realtà – fatta di piccole imprese, biodiversità e resilienza – e non solo per i giganti agricoli continentali.

Trasformare la PAC in un’opportunità per tutti

La PAC 2023-2027 offre margini di manovra importanti: gli Stati membri hanno più autonomia nel definire i propri Piani Strategici Nazionali. Questo significa che l’Italia può – e deve – ricalibrare le proprie scelte per valorizzare i territori svantaggiati. Ma per farlo serve volontà politica, visione strategica e una gestione finalmente efficiente.

Il tempo delle occasioni perse deve finire. Perché il futuro dell’agricoltura italiana passa anche – e soprattutto – dal Sud.

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