- giovedì 29 Maggio 2025
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La guerra segreta della Cia e degli Stati Uniti in Ucraina

La guerra in Ucraina ha molte sfaccettature. Non basta pensare ad un aggredito, il popolo ucraino e un aggressore, la Russia. Non serve capire chi ha sbagliato, o forse chi ha sbagliato per primo, si può guardare anche solamente la realtà: la dura e lucida guerra tra due nazioni.

Già, due nazioni. Siamo sicuri che sia proprio così? Ovviamente no. E la prova ce lo dà questo articolo. Non è di chi scrive, ma dei giornalisti del New York Times. Abbiamo letto l’originale, tradotto e condensato alcune parti per renderlo molto più facile da leggere e da capire.
Di cosa parla? Della guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia.

Se poi vogliamo vederla in modo più etico, l’aiuto degli Stati Uniti in una guerra tra un colosso, la Russia e una nazione fiera ma piccola, l’Ucraina.

Ma come sappiamo tutti, l’etica, in guerra, non ha posto. In fondo all’articolo trovate il link al lunghissimo originale del Nyt.

Traduzione e adattamento di Alessandro Trizio

Il segreto dell’alleanza tra Ucraina e Occidente, tra strategie militari e missioni clandestine

In una mattina di primavera, a due mesi dall’entrata delle truppe d’invasione di Vladimir Putin in Ucraina, un convoglio di auto non contrassegnate si è fermato in un angolo di una strada di Kiev, caricando due uomini in abiti civili di mezza età . Il convoglio composto da commando britannici in uniforme e pesantemente armati ha poi percorso 640 chilometri fino al confine polacco, attraversato agevolmente grazie a passaporti diplomatici, per raggiungere l’aeroporto di Rzeszów-Jasionka. Lì un aereo cargo C-130 attendeva pronto con i motori accesi per decollare alla volta della Clay Kaserne di Wiesbaden, quartier generale dell’esercito americano in Europa e Africa.

A bordo, due generali ucraini di alto rango, fra cui il tenente generale Mykhaylo Zabrodskyi, invitato a contribuire alla creazione di quello che sarebbe divenuto uno dei segreti più gelosamente custoditi della guerra: una partnership di intelligence, strategia, pianificazione e tecnologia destinata a cambiare le sorti del conflitto. Questa struttura avrebbe permesso all’amministrazione Biden di sostenere l’esercito ucraino e di contrapporsi, senza rischi di escalation, alle forze russe.

Tale alleanza ha operato in un crescendo di operazioni clandestine, pianificazioni condivise e uno scambio costante di informazioni. Dalla fornitura di artiglieria M777 e sistemi missilistici HIMARS allo sviluppo di droni marittimi, la collaborazione tra Stati Uniti, Paesi NATO e Ucraina si è rivelata cruciale nel respingere gli assalti russi, come nel caso dell’affondamento dell’incrociatore Moskva o nel contrasto alle offensive terrestri a Kharkiv e Cherson. Eppure, secondo le ricostruzioni degli stessi protagonisti, non sono mancati momenti di attrito, diffidenza e visioni strategiche divergenti.

I primi passi della partnership: da Kiev a Wiesbaden

Tutto è iniziato quando il generale Zabrodskyi è stato condotto all’Auditorium Tony Bass della guarnigione di Wiesbaden. Un ambiente che fino a poco tempo prima ospitava gare di tiro di scout e concerti di bande militari, ora trasformato in un fitto dedalo di cubicoli con ufficiali di varie nazioni. Qui si coordinavano le prime spedizioni occidentali di artiglieria pesante in Ucraina, tra cui i temuti M777 e i preziosi proiettili da 155 mm.

Ricevuto dal tenente generale Christopher T. Donahue, comandante del 18° corpo aviotrasportato, Zabrodskyi si è sentito proporre un patto: unire le competenze sul campo degli ucraini alle avanzate capacità d’intelligence e di pianificazione dell’esercito statunitense e dei suoi alleati. “Ho detto al comandante in capo che avevamo trovato il nostro partner”, ricorda lo stesso Zabrodskyi, rimasto colpito dalla leadership di Donahue.

Nonostante le diffidenze iniziali dovute anche ai tentennamenti occidentali del 2014 e delle limitazioni imposte dalla Casa Bianca nella condivisione di informazioni sensibili, gli ucraini scoprirono rapidamente i vantaggi di ricevere dati di intelligence precisi e in tempo reale. Grazie a questi, le forze di Kiev riuscirono a neutralizzare un radar russo “Zoopark” (Si tratta di un radar attivo mobile a scansione elettronica) e a sventare un tentativo di attraversamento fluviale vicino a Sievierodonetsk. Era solo l’inizio della convergenza fra l’analisi strategica occidentale e l’audacia operativa ucraina.

La sfida degli M777 e l’evoluzione verso gli HIMARS

Se i primi aiuti militari erano stati limitati a sistemi antiaerei, anticarro e droni, con l’avanzare del conflitto divenne necessario un cambio di passo. Gli Stati Uniti decisero di inviare obici M777 e munizioni a lungo raggio, permettendo agli ucraini di reggere l’urto russo nel Donbass e di frenare le avanzate sul fronte meridionale.

Malgrado la freddezza iniziale per il timore di innescare un’escalation internazionale, gli Stati Uniti acconsentirono a fornire poi i sistemi missilistici ad alta mobilità (HIMARS), con una gittata di circa 80 chilometri e testate di precisione. A Wiesbaden, il generale Donahue e i suoi uomini iniziarono a trasmettere “punti di interesse”, ovvero coordinate di obiettivi russi estrapolate dall’intelligence americana, che gli artiglieri ucraini avrebbero colpito con fermezza. Il successo fu immediato: le forze russe, sorprese, subirono durissimi colpi al morale e perdite crescenti.

Due offensive, un dubbio: Kherson e Kharkiv

In quel momento, le forze di Kiev apparivano in grado di passare all’offensiva. Dopo un periodo di pianificazione tra ucraini e Task Force Dragon (così era stata ribattezzata la squadra guidata dal generale Donahue), si decise di sferrare un colpo a sud, verso Kherson, e di lanciare un’azione più contenuta a est, nella zona di Kharkiv.

I due assalti avrebbero dovuti scaglionare nel tempo. Ma la decisione del presidente Volodymyr Zelensky di anticipare l’operazione meridionale, con la speranza di mostrare risultati concreti prima di un importante vertice internazionale, portò paradossalmente a un’evoluzione fulminea a est, dove la resistenza russa collassò inaspettatamente. Le forze di Kharkiv avanzarono così a tappe forzate, mentre a sud il comando ucraino esitava nel colpire i russi in ritirata sulla riva occidentale del Dnipro.

Gli attriti e l’incertezza su come sfruttare il vantaggio rallentarono i progressi: alcuni comandanti preferivano un approccio più cauto, altri invocavano l’audacia. Intanto, le trincee difensive scavate dall’esercito russo si moltiplicavano, arginando l’eventuale avanzata ucraina verso la Crimea.

Il peso delle rivalità interne e la cautela occidentale

L’alleanza era solida, eppure non priva di incrinature. Sul fronte ucraino, rivalità personali emergevano tra i generali Valery Zaluzhny e Oleksandr Syrsky, in competizione per leadership e risorse (come i preziosi sistemi HIMARS) . Alcune scelte, come il dispendioso assalto a Bakhmut, finirono per depotenziare il grande sforzo offensivo a sud, trasformando quella che avrebbe potuto essere un’avanzata decisiva in un nuovo stallo.

Dal lato americano, vigevano restrizioni e linee rosse dettate da Washington. L’amministrazione Biden temeva che un coinvolgimento troppo profondo, o attacchi diretti su obiettivi “sensibili” in territorio russo, potesse scatenare una reazione ancora più estrema di Putin. Perciò, all’inizio, era proibito segnalare con precisione obiettivi in Crimea o fornire coordinate che permettessero di colpire dentro i confini russi. Tuttavia, col passare dei mesi e l’intensificarsi della guerra, tali limitazioni furono progressivamente allentate.

I droni e la flotta del Mar Nero: l’escalation nel Mar d’Azov

Un esempio di questa evoluzione fu la serie di attacchi contro la flotta russa del Mar Nero a Sebastopoli, in Crimea. Inizialmente, la Casa Bianca aveva vietato di aiutare direttamente un’azione in territori che Mosca considerava parte della Federazione. Ma i timori degli alleati lasciarono gradualmente spazio all’urgenza di colpire basi, navi e sottomarini russi che continuavano a lanciare missili contro l’Ucraina.

Con il placet americano e britannico, la marina ucraina, sostenuta dalla CIA, sviluppò una flotta di droni marittimi in grado di superare i sistemi di difesa russi. Parallelamente, il Pentagono allargò la condivisione d’intelligence, inviando “punti di interesse” per colpire con razzi di precisione obiettivi sensibili, come depositi di munizioni o centri di comando russi.

Le linee rosse si spostano: Crimea, Russia e nuovi scenari

Se in precedenza era impensabile toccare il ponte sullo Stretto di Kerch, simbolo dell’annessione della Crimea, ora il clima era cambiato. L’amministrazione Biden diede il via libera a un piano congiunto fra esercito ucraino, CIA e Regno Unito per provare a far collassare il ponte con missili ATACMS e droni marittimi. Il risultato, però, non fu quello sperato: il ponte subì danni riparabili, lasciando l’amaro in bocca a chi sperava in un colpo simbolico a Putin.

Allo stesso tempo, i generali americani riconsiderarono la possibilità di sostenere azioni anche sul suolo russo, specialmente quando i sistemi di artiglieria di Mosca minacciavano dal confine regioni ucraine densamente popolate come Kharkiv. Si iniziò così a parlare di un’“area operativa” oltrefrontiera, in cui gli ucraini avrebbero potuto colpire con armi e intelligence occidentali obiettivi russi, rovesciando un altro tabù che all’inizio del conflitto sembrava invalicabile.

Uno dei successi più eclatanti della campagna ucraina, l’affondamento dell’incrociatore Moskva, nave ammiraglia della flotta russa nel Mar Nero, segnò un punto di svolta. 

La Moskva era la nave ammiraglia della Flotta russa del Mar Nero. Gli ucraini la affondarono.

L’affondamento fu un trionfo clamoroso, una dimostrazione dell’abilità ucraina e dell’inettitudine russa. Ma l’episodio rifletteva anche la disgregazione delle relazioni ucraino-americane nelle prime settimane di guerra.

Gli americani provarono rabbia perché gli ucraini non avevano dato alcun preavviso; sorpresa perché l’Ucraina possedeva missili in grado di raggiungere la nave; e panico perché l’amministrazione Biden non aveva avuto intenzione di consentire agli ucraini di attaccare un simbolo così potente della potenza russa.

Gli ucraini aggredirono la nave sfruttando anche informazioni ricavate dalle comunicazioni con la marina statunitense, pur senza avvisare gli americani dell’imminente attacco. 

Nel corso dei mesi, il coordinamento sul campo si è fatto talmente stretto che alcuni ufficiali europei hanno definito gli occidentali “parte integrante della catena di morte”. Con la mappa degli obiettivi condivisi a Wiesbaden e la tecnologia delle forze NATO, le artiglierie ucraine hanno potuto infliggere perdite elevatissime all’esercito russo. Eppure, ogni successo incrementava anche il rischio di oltrepassare quella linea rossa che Mosca aveva tracciato, e che comprendeva la minaccia nucleare.

Le offensive mancate e l’incubo dell’escalation

La grande controffensiva del 2023 mirava, nei progetti originari di Kiev, a riconquistare in breve tempo territori chiave come Melitopol, spezzando il collegamento terrestre con la Crimea. Ma le rivalità interne ai vertici militari, la pressione politica di Zelensky per ottenere risultati rapidi, la mancanza di coordinamento con gli Stati Uniti e l’eccessiva attenzione su Bakhmut, teatro di una battaglia logorante, finirono per rallentare e poi arenare la controffensiva. La partnership ha operato all’ombra del più profondo timore geopolitico: che Putin potesse considerarla una violazione di una linea rossa dell’impegno militare e dare seguito alle sue minacce nucleari. La storia della partnership mostra quanto gli americani e i loro alleati siano talvolta arrivati ​​vicini a quella linea rossa, come eventi sempre più disastrosi li abbiano costretti, alcuni hanno detto troppo lentamente, a spingerla su un terreno più pericoloso e come abbiano attentamente elaborato protocolli per rimanere al sicuro.

L’amministrazione Biden ha ripetutamente autorizzato operazioni clandestine che in precedenza aveva proibito. Consiglieri militari americani sono stati inviati a Kiev e in seguito autorizzati ad avvicinarsi ai luoghi dei combattimenti. Ufficiali militari e della CIA a Wiesbaden hanno contribuito a pianificare e sostenere una campagna di attacchi ucraini nella Crimea annessa alla Russia. Infine, l’esercito e poi la CIA hanno ricevuto il via libera per consentire attacchi mirati nelle profondità della Russia stessa.

Per certi versi, l’Ucraina è stata, in un contesto più ampio, una rivincita in una lunga storia di guerre per procura tra Stati Uniti e Russia: in Vietnam negli anni ’60, in Afghanistan negli anni ’80, in Siria tre decenni dopo.

Fu anche un grande esperimento di guerra, che non solo avrebbe aiutato gli ucraini, ma avrebbe anche ricompensato gli americani con lezioni da trarre per qualsiasi guerra futura.

Dall’altra parte, la Casa Bianca temeva costantemente che l’avanzare ucraino verso la Crimea potesse spingere Putin a considerare l’uso di armi nucleari tattiche. Ciò portò a contrattazioni continue su quali sistemi e munizioni consentire, su quali aree fosse lecito colpire e con quali modalità di targeting.

Dal 2024 in poi: nuove operazioni, nuove tensioni

Con il passare del tempo, la partnership ha prodotto risultati militari impressionanti, ma anche tensioni crescenti. Le trincee russe si moltiplicavano, e nuovi fronti si aprivano. Episodi come l’incursione del generale Syrsky oltre il confine russo a Kursk, inizialmente all’oscuro degli americani, hanno sollevato questioni sulla fiducia e sul rischio di escalation. Per gli americani, lo svolgimento dell’incursione rappresentò una grave violazione della fiducia. Non solo gli ucraini li avevano tenuti ancora una volta all’oscuro; avevano segretamente oltrepassato un limite concordato, portando equipaggiamento fornito dalla coalizione nel territorio russo compreso nell’area operativa, violando le regole stabilite al momento della sua creazione.

La cooperazione era stata istituita per prevenire un disastro umanitario non perché gli ucraini potessero approfittarne per impadronirsi del suolo russo. Gli americani avrebbero potuto staccare la spina alle operazioni. Eppure sapevano che farlo, ha spiegato un funzionario dell’amministrazione, “avrebbe potuto portare a una catastrofe”: i soldati ucraini a Kursk sarebbero morti senza la protezione dei razzi HIMARS e dell’intelligence statunitense.

Kursk, conclusero gli americani, era la vittoria a cui Zelensky aveva accennato fin dall’inizio. Era anche la prova dei suoi calcoli: parlava ancora di vittoria totale. Ma uno degli obiettivi dell’operazione, spiegò agli americani, era la leva finanziaria: catturare e mantenere il territorio russo che avrebbe potuto essere scambiato con quello ucraino nei futuri negoziati.

Nel frattempo, l’amministrazione Biden, sebbene inizialmente riluttante, ha autorizzato operazioni sempre più audaci, come la campagna denominata “Lunar Hail” per indebolire la presenza militare russa in Crimea. Si è persino discusso dell’opportunità di colpire obiettivi in profondità nella Federazione Russa, in particolare depositi di munizioni e centri logistici ritenuti cruciali per sostenere l’esercito invasore.

Un conflitto appeso a un filo geopolitico

Oggi l’alleanza tra l’Ucraina e l’Occidente, rappresentata simbolicamente dalla “Task Force Dragon” a Wiesbaden, appare come un laboratorio di guerra moderno, in cui si fondono tecnologia d’avanguardia, intelligence internazionale e il coraggio di un Paese invaso che combatte per la propria sopravvivenza.

In questa lotta, non esiste un punto di equilibrio stabile. Dalle audaci sortite con droni marittimi ai sistemi di difesa Patriot, dalle operazioni sotterranee della CIA alle divergenze fra generali sul campo, la partnership ha resistito tra successi e scetticismi. Resta da vedere se l’Ucraina riuscirà a trasformare questa collaborazione, forgiata in emergenza e imperniata sull’urgenza di un’“arma segreta”, in una vittoria duratura sul campo e, soprattutto, in una pace sostenibile.

I russi avevano compiuto progressi lenti ma costanti contro le forze ucraine ormai ridotte a est. Stavano anche riconquistando parte del territorio a Kursk, fino a riprenderlo completamente. Certo, le perdite russe erano aumentate vertiginosamente, raggiungendo tra le 1.000 e le 1.500 unità al giorno. Ma continuavano ad avanzare.

Nel primo anno di guerra, con l’aiuto di Wiesbaden, gli ucraini avevano preso il sopravvento, riconquistando più della metà del territorio perso dopo l’invasione del 2022. Ora, si stavano battendo per minuscole zolle di terra a est e a Kursk, ma continuavano a retrocedere.

La nuova situazione determinata dalla presenza alla Casa Bianca di Donald Trump porta tutto lo sforzo fatto ad un solo risultato: la Russia avrà le terre che voleva fin dall’inizio. Un accordo pare ormai fatto, le continue “alleanze” tecnico politiche tra Putin e Trump sembrano accertarlo. E la domanda diventa sempre più imponente, sempre più pressante: a cosa è servita la guerra?

E’ una domanda che ci si pone ormai da sempre dopo guerre devastanti che portano poi a risultati che si potevano forse ottenere in altro modo. Ma questo altro modo, la diplomazia, non viene mai ascoltato, sembra essere sempre una richiesta assurda perché non si può permettere a nessuno di oltrepassare la linea e di accaparrarsi terre non sue. Ci vuole la guerra perché capisca che non può farlo.

Ma alla fine, le terre rimangono comunque all’invasore.

Originale: https://www.nytimes.com/interactive/2025/03/29/world/europe/us-ukraine-military-war-wiesbaden.html 

 

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