La Bresaola della Valtellina IGP è uno dei simboli dell’eccellenza gastronomica italiana, un prodotto che richiama immediatamente l’immagine delle Alpi lombarde, dei pascoli verdi e delle tradizioni secolari della provincia di Sondrio. Tuttavia, dietro questa narrazione suggestiva e rassicurante, si cela una realtà molto più complessa e meno nota al grande pubblico. La maggior parte della carne utilizzata per produrre la Bresaola della Valtellina IGP non proviene dalla Valtellina, né dall’Italia, ma dal Brasile. Un dettaglio che sorprende molti consumatori, abituati a credere che un prodotto a Indicazione Geografica Protetta sia realizzato con materie prime locali.
La storia della bresaola inizia molto lontano dalle montagne lombarde, precisamente in Sudamerica. Qui viene allevato lo zebù, un bovino originario dell’Asia e dell’Africa, riconoscibile per la sua caratteristica gobba e la grande giogaia. Questo animale, considerato sacro in India, è stato importato in Brasile all’inizio del Novecento e successivamente incrociato con la razza bovina francese Charolaise. Il risultato è un bovino robusto, dalla carne magra e tenace, che si presta perfettamente alla produzione di salumi come la bresaola. La carne di zebù, congelata e spedita in container verso l’Italia, rappresenta oggi la materia prima principale per la produzione della Bresaola della Valtellina IGP.
Il consumatore medio, però, raramente è consapevole di questa filiera globale. L’immagine veicolata dalla pubblicità e dalle etichette suggerisce un prodotto autenticamente valtellinese, frutto della lavorazione di bovini allevati tra le montagne italiane. In realtà, il disciplinare di produzione della Bresaola della Valtellina IGP, approvato dal Ministero delle Politiche Agricole, prevede che la carne debba essere semplicemente “elaborata” nella provincia di Sondrio. Non esiste alcun obbligo che la materia prima sia italiana: basta che la lavorazione e la stagionatura avvengano in Valtellina. L’articolo 3 del disciplinare specifica solo che la carne deve provenire da cosce di bovino tra i 18 mesi e i 4 anni, senza alcun vincolo sull’origine geografica dell’animale.
Questa situazione non costituisce una truffa alimentare, ma sicuramente può essere considerata ingannevole per chi si aspetta di consumare un prodotto interamente “made in Italy”. Il Consorzio di Tutela della Bresaola della Valtellina, attivo dal 1998, sottolinea come l’utilizzo della carne brasiliana sia una scelta dettata da esigenze tecniche e di mercato. La carne italiana ed europea, infatti, viene giudicata troppo grassa per la produzione di bresaola, mentre quella di zebù è magra e adatta alle lavorazioni richieste dal disciplinare. Questa scelta, secondo i produttori, garantisce un prodotto di qualità costante e risponde alle richieste di un mercato in crescita: negli ultimi 15 anni, il consumo di bresaola in Italia è aumentato del 39%.
Il paradosso è che, dal punto di vista nutrizionale, la carne di zebù allevato al pascolo in Brasile potrebbe essere persino più sana di quella proveniente da allevamenti intensivi italiani, dove gli animali vivono chiusi in stalla e sviluppano carni più grasse, con possibili residui di antibiotici e pesticidi. Tuttavia, rimane il fatto che la denominazione IGP induce molti consumatori a credere di acquistare un prodotto locale, mentre la filiera è in realtà globale. Questa dinamica non riguarda solo la bresaola, ma molti altri prodotti DOP e IGP italiani, dove la lavorazione avviene in Italia ma la materia prima può provenire da ogni parte del mondo.
Negli ultimi anni, la crescente attenzione dei consumatori verso la trasparenza e l’origine degli alimenti ha spinto alcune realtà, come Coldiretti, a promuovere progetti per una bresaola 100% italiana. Nel 2017 è stato siglato un accordo tra la filiera agricola italiana e la Rigamonti Spa, azienda leader del settore, per utilizzare esclusivamente bovini italiani nella produzione di bresaola. L’obiettivo dichiarato è quello di arrivare a produrre bresaola con 500.000 capi italiani all’anno, ricostruendo una filiera nazionale ormai quasi scomparsa e creando nuove opportunità di lavoro sul territorio.
Nonostante questi sforzi, la realtà attuale vede ancora una predominanza della carne brasiliana nella produzione della Bresaola della Valtellina IGP. In Valtellina, gli allevamenti di bovini da carne sono ormai quasi del tutto scomparsi, sostituiti da quelli di mucche da latte. Questo rende praticamente impossibile produrre bresaola in quantità significative utilizzando solo carne locale. La scelta di importare carne dal Brasile risponde quindi a una necessità produttiva, ma solleva interrogativi sulla reale identità del prodotto e sull’efficacia delle certificazioni di origine nel tutelare i consumatori e valorizzare le filiere locali.
Un altro aspetto spesso sottovalutato riguarda la sostenibilità ambientale. L’importazione di carne dal Brasile comporta un impatto ambientale significativo, sia per il trasporto su lunghe distanze sia per le modalità di allevamento nei Paesi sudamericani. Alcuni osservatori sottolineano inoltre il rischio che la richiesta di carne per l’export contribuisca alla deforestazione dell’Amazzonia e alla perdita di biodiversità, anche se le aziende coinvolte assicurano il rispetto delle normative internazionali e dei controlli sanitari. Tuttavia, la tracciabilità della filiera resta un tema delicato, soprattutto quando si parla di grandi numeri e di mercati globalizzati.
La questione della trasparenza è centrale anche per quanto riguarda l’etichettatura dei prodotti. Per i salumi come la bresaola, non è obbligatorio indicare la provenienza della materia prima, a differenza di quanto avviene per la carne fresca. Questo rende difficile per il consumatore risalire all’origine effettiva della carne utilizzata e complica la scelta consapevole al momento dell’acquisto. Alcuni produttori hanno scelto di comunicare volontariamente l’origine italiana della carne per alcune linee di prodotto, ma si tratta ancora di una minoranza rispetto al totale della produzione.
Il dibattito sulla Bresaola della Valtellina IGP e sull’origine della sua carne riflette una tensione più ampia tra globalizzazione delle filiere alimentari e valorizzazione delle produzioni locali. Il successo commerciale della bresaola, diventata un prodotto di largo consumo e apprezzata per le sue qualità nutrizionali e la sua versatilità in cucina, si scontra con la percezione di autenticità e tipicità che molti consumatori associano alle certificazioni DOP e IGP. La sfida per il futuro sarà quella di trovare un equilibrio tra esigenze produttive, trasparenza verso i consumatori e tutela delle tradizioni locali.
La storia della Bresaola della Valtellina IGP ci insegna che dietro ogni prodotto alimentare si nasconde una filiera complessa, fatta di scelte economiche, regolamentazioni, esigenze di mercato e, spesso, compromessi tra qualità, quantità e identità territoriale. Sapere cosa si porta in tavola è un diritto di ogni consumatore, e solo una maggiore trasparenza potrà restituire valore reale alle eccellenze del Made in Italy.