Nucleare in Italia: rivoluzione o déjà-vu?

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Il nuovo DDL e la battaglia tra ambientalisti

Nel mondo dell’ambientalismo il nucleare è una spaccatura insanabile. Da una parte ci sono i pragmatici, quelli che lo vedono come l’unico modo per tagliare le emissioni di CO₂ nei tempi richiesti dalla crisi climatica. Dall’altra ci sono gli irriducibili oppositori, convinti che sia una tecnologia superata, troppo costosa e pericolosa, che distoglie investimenti dalle rinnovabili. Questo scontro ideologico ha dominato il dibattito anche in Italia, specialmente dopo che il 28 febbraio 2025 il Consiglio dei Ministri ha approvato una legge delega per il ritorno dell’energia nucleare. Ma attenzione: il testo non è lo stesso del DDL 1063, presentato nel 2024 e poi ritirato. Rispetto alla proposta originale, il nuovo disegno di legge segna un cambio di rotta netto. Niente riattivazione delle vecchie centrali, ma un programma di sviluppo basato esclusivamente su reattori di nuova generazione e sulla fusione. Un’evoluzione del piano? O solo un maquillage per rendere più accettabile una scelta politica già tracciata?

Il vecchio piano: il DDL 1063 e il ritorno ai vecchi reattori

La proposta originaria, il DDL 1063, puntava a riaccendere i quattro impianti nucleari dismessi negli anni ’80 (Trino, Caorso, Latina e Garigliano). Il testo imponeva alla SOGIN, la società pubblica di gestione nucleare, di ammodernarli e renderli operativi nel minor tempo possibile. Parallelamente, prevedeva la costruzione di nuove centrali e stabiliva entro 12 mesi la scelta del sito per il Deposito Nazionale delle scorie radioattive, una questione irrisolta da decenni. Questo approccio era diretto e senza fronzoli: riprendere quello che c’era già e rimetterlo in funzione.

Nonostante l’ambizione, il DDL 1063 si è scontrato con resistenze politiche e tecniche. Il nodo delle scorie radioattive, mai risolto, ha sollevato dubbi sulla fattibilità del piano. Inoltre, la riattivazione delle vecchie centrali non era affatto semplice: gli impianti italiani erano di prima generazione, tecnologicamente obsoleti e con standard di sicurezza inadeguati alle normative attuali. Con questi problemi, il progetto è stato ritirato nel maggio 2024 e il governo ha deciso di cambiare strategia.

La nuova legge: via il vecchio nucleare, dentro la “sostenibilità”

Il nuovo disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei Ministri il 28 febbraio 2025 cambia radicalmente direzione. Niente riaccensione delle vecchie centrali, che verranno definitivamente smantellate o, al massimo, riconvertite. L’intero impianto normativo sarà riscritto per puntare solo sulle tecnologie nucleari più avanzate. L’idea è abbandonare i grandi reattori tradizionali e concentrarsi su quelli modulari di piccola taglia (SMR), già in fase di sviluppo in diversi paesi, oltre a sostenere la ricerca sulla fusione nucleare.

Il testo prevede anche la creazione di un’Autorità indipendente per la sicurezza nucleare, che avrà il compito di regolamentare e monitorare lo sviluppo del settore. Viene inoltre introdotto un Programma nazionale per il nucleare sostenibile, che dovrà essere elaborato entro il 2027, definendo obiettivi, tempi e strategie per riportare l’atomo nel mix energetico italiano.

Sulla questione scorie, invece, si registra un’ambiguità sospetta. Se il DDL 1063 imponeva di individuare entro un anno il sito per il Deposito Nazionale, nel nuovo testo la gestione dei rifiuti radioattivi viene rimandata ai futuri decreti attuativi. Nessuna scadenza precisa, nessun obbligo immediato. Traduzione: il problema rimane irrisolto, e il rischio è che venga accantonato ancora una volta.

Il grande dilemma: il nucleare è davvero la scelta giusta per l’Italia?

Secondo il governo, la risposta è sì. Meloni e il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin vedono nel nucleare la chiave per ridurre la dipendenza dall’estero e abbattere le emissioni, allineandosi a paesi come Francia e Regno Unito, che stanno investendo massicciamente nell’atomo. Per i sostenitori del piano, i nuovi reattori modulari saranno più sicuri, più flessibili e adatti anche all’alimentazione industriale. La fusione nucleare, sebbene ancora in fase sperimentale, viene considerata un obiettivo a lungo termine, potenzialmente rivoluzionario.

Dall’altro lato, gli ambientalisti contrari gridano al greenwashing. Il ritorno del nucleare, secondo loro, non è né sostenibile né conveniente. Organizzazioni come Greenpeace e Legambiente sottolineano che il costo del nucleare è troppo alto rispetto alle rinnovabili, e che gli SMR sono ancora in una fase embrionale: non esistono impianti operativi commerciali nel mondo, e le prime unità potrebbero arrivare solo tra 10-15 anni. Inoltre, c’è il tema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi, che resta un problema aperto.

Un altro nodo irrisolto è l’accettazione da parte delle comunità locali. Il Veneto ha già detto no all’ipotesi di installare un piccolo reattore a Marghera, e in passato qualsiasi discussione su siti nucleari ha scatenato proteste furiose. Se trovare una collocazione per il Deposito Nazionale delle scorie è stato impossibile per trent’anni, come pensa il governo di ottenere consenso per costruire nuovi impianti?

Un piano solido o solo propaganda?

L’approvazione della legge delega segna senza dubbio una svolta nella politica energetica italiana. Ma basterà una firma per far tornare l’atomo nel Paese? La realtà è che siamo ancora lontani da una vera strategia nucleare operativa. Il testo approvato non fornisce dettagli su costi, localizzazioni, tempistiche concrete. Rimanda tutto ai decreti attuativi e al Programma nazionale che verrà elaborato entro il 2027. Insomma, un primo passo più simbolico che sostanziale.

La vera sfida arriverà nei prossimi anni. Riuscirà l’Italia a colmare il suo ritardo e a tornare un paese nucleare? Oppure ci ritroveremo con un altro libro dei sogni, pieno di annunci e senza una sola centrale funzionante? La partita è aperta, ma una cosa è certa: il nucleare, volenti o nolenti, è tornato a far discutere. E questa volta il dibattito sarà più acceso che mai.